Ci pensavo qualche giorno fa, spinto da cose così, situazioni contingenti, momenti, un po' l'aver preso spunto da quel che scriveva un amico, un po' dalla vita in generale e da chi incontri, un po' dall'umore del momento: dovessi definire che anno è stato questo, o comunque ripensare agli anni trascorsi in termini di positivo/negativo, io non saprei proprio che dire...
è stato un anno come gli altri, con un fondo di malinconia e di senso di quel che non è stato, di quello che (forse magari chissà) avrebbe potuto essere se – ma insomma non sarà così per tutti? Alla fine siamo tutti uguali, e ognuno ha speranze, progetti, idee. Chi più, chi meno, ma è una cosa che dovrebbe appartenerci come persone.
Forse, se mi guardo indietro riesco effettivamente a rivedere due begli anni, magari per ragioni diverse, e mi chiedo se siano stati tali veramente o se sto isolando soltanto dei ricordi un po' più forti e con quelli oscuro felicemente tutto il resto – è così banale che non vale la pena nemmeno di notarlo, quanto un singolo anno sia un insieme di cose positive e negative, un susseguirsi di eventi che vuoi e che non vuoi, che non dipendono da te e che dipendono da te in una piccola misura. Una periodizzazione fatta così, per ragioni di praticità e calendario, ma che in realtà non racchiude né delimita niente di preciso, perché certo non si cambia a scadenze regolari, o si vive tutto il bello e tutto il brutto in contenitori preconfezionati e sempre uguali.
Forse, ancora, posso dire di avere dei ricordi da tenermi stretto per il 2001, per il 2004, magari anche per parte del 2003 e del 1998. Il 2007, anche, che è stato più che altro un anno di bella fatica. O comunque sia questo è quanto i miei ricordi hanno sistemato, a posteriori. E prima ancora? Di prima non ricordo più nulla, come entità nel suo complesso, come periodo che parte da un giorno e arriva a un altro e via così. Ricordo – quello sì – bei momenti, momenti imbarazzanti, momenti grigi e momenti di solitudine (a volte felicissima, a volte tetra); forse un senso di energica speranza in più, qualcosa che mancava ma che al tempo stesso mi faceva trovare energie nascoste, giusto per essere cercato – una sorta di tensione verso, quella che qualcun altro potrebbe definire anche libido, magari, ma forse sarebbe riduttivo.
Ricordo bei viaggi, molti, momenti sparsi, libri teatro e cinema e mostre, pochi amici, gli studi e i giorni in cui scrivevo la tesi, i miei nipoti che sono nati, l'incontro con mia moglie. Ricordo cose che non avrei dovuto fare, e mille altre che avrei dovuto far meglio, o diversamente. Più di tutto, mi rendo conto che spesso sto pensando a cose che sono successe un tempo, valutando come sarebbero successe se l'avessi affrontate come sono adesso. E ogni volta mi rendo conto che l'avrei affrontate meglio, e avrei sempre risolto tutto (son drago, sì). Il che è una specie di tortura con (dubbia) garanzia: perché quelle cose non – troppo facile sarebbe! – si possono riaffrontare, e rimangon come furono; però da come ne uscirei capisco... cosa? Che sono migliorato? Che è una gran fregatura? Che un conto è vivere e un altro ri-vivere? E quindi gongolo o mi vien rabbia, tanto son stupido.
Capisco lucidamente che molto tempo fa una scelta sbagliata sta ancora determinando e appesantendo la mia vita, tirandomi sott'acqua come il Gordon Lachanche di Stand by me; d'altra parte, avessi fatto ieri quella scelta che oggi mi pare la più giusta, forse ora sarei messo pure peggio. Chi lo sa.
Qualsiasi cosa è determinata da una buona parte di caso e ambiente esterno. Basta che il vento soffi un attimo di più e tutto salta. In un certo senso, potrebbe meglio illustrare quel che penso questa breve storiella: da un paesino della Sicilia che si chiama San Fratello, agli inizi del - lo voglio dire, rende tutto così libresco... - secolo scorso partì emigrante e presumibilmente disperato, il fratello di mio nonno. Lui non fece fortuna, a quel che ho potuto apprendere (avremmo libri di storia sotto gli occhi, se solo volessimo, ma spesso siamo ciechi, riguardo a quel che ci è vicino), ma i figli sono americani, e vivono a New York. Mi piace pensare che suo fratello sia stato indeciso fino all'ultimo, e alla fine abbia deciso di entrare nel corpo dei carabinieri, vivere situazioni ed eventi di cui - ahimè! - nulla, proprio nulla so, e venire finalmente trasferito in Toscana. E se fosse partito anche lui? Sarei nato americano, avrei avuto mille e mille possibilità, scriverei forse sul New Yorker? Mi sarei perso in un sobborgo e in una gang? Avrei fatto la fame e mi sarei tagliato un dito in una catena di montaggio e mi sarebbe andata in cancrena la mano perché non avevo i soldi per la copertura assicurativa?
Chi lo sa.
Che anno è stato? Chi lo sa. Alla fine, mi rendo conto che ho tutt'altro che poco. La rovina è forse voler sempre di più, non accontentarsi; non già (almeno nel mio caso) nei termini di una cupidigia materiale o pecuniaria: la rovina (o la fortuna) è nella nostra immaginazione. Ma almeno ho capito il passato. Forse magari mi aiuterà ad affrontare il futuro.
Quanti forse...