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dicembre 24, 2009

NATALE A STRISCE, TUTTO VERDE E BLU (MA QUANTO SON POËTA). BABBO NATALE RICOPERTO. MA QUANTA NEVE - GUARDA LÌ: UNO, DUE, TRE FIOCCHI. PREM PREM PREM. HO UN AMICO CHE È LAUREATO IN CLARINETTO SAI? SÌ, SÌ (POESIA FUTURISTA)

Ci pensavo qualche giorno fa, spinto da cose così, situazioni contingenti, momenti, un po' l'aver preso spunto da quel che scriveva un amico, un po' dalla vita in generale e da chi incontri, un po' dall'umore del momento: dovessi definire che anno è stato questo, o comunque ripensare agli anni trascorsi in termini di positivo/negativo, io non saprei proprio che dire...

è stato un anno come gli altri, con un fondo di malinconia e di senso di quel che non è stato, di quello che (forse magari chissà) avrebbe potuto essere se – ma insomma non sarà così per tutti? Alla fine siamo tutti uguali, e ognuno ha speranze, progetti, idee. Chi più, chi meno, ma è una cosa che dovrebbe appartenerci come persone.
Forse, se mi guardo indietro riesco effettivamente a rivedere due begli anni, magari per ragioni diverse, e mi chiedo se siano stati tali veramente o se sto isolando soltanto dei ricordi un po' più forti e con quelli oscuro felicemente tutto il resto – è così banale che non vale la pena nemmeno di notarlo, quanto un singolo anno sia un insieme di cose positive e negative, un susseguirsi di eventi che vuoi e che non vuoi, che non dipendono da te e che dipendono da te in una piccola misura. Una periodizzazione fatta così, per ragioni di praticità e calendario, ma che in realtà non racchiude né delimita niente di preciso, perché certo non si cambia a scadenze regolari, o si vive tutto il bello e tutto il brutto in contenitori preconfezionati e sempre uguali.
Forse, ancora, posso dire di avere dei ricordi da tenermi stretto per il 2001, per il 2004, magari anche per parte del 2003 e del 1998. Il 2007, anche, che è stato più che altro un anno di bella fatica. O comunque sia questo è quanto i miei ricordi hanno sistemato, a posteriori. E prima ancora? Di prima non ricordo più nulla, come entità nel suo complesso, come periodo che parte da un giorno e arriva a un altro e via così. Ricordo – quello sì – bei momenti, momenti imbarazzanti, momenti grigi e momenti di solitudine (a volte felicissima, a volte tetra); forse un senso di energica speranza in più, qualcosa che mancava ma che al tempo stesso mi faceva trovare energie nascoste, giusto per essere cercato – una sorta di tensione verso, quella che qualcun altro potrebbe definire anche libido, magari, ma forse sarebbe riduttivo.
Ricordo bei viaggi, molti, momenti sparsi, libri teatro e cinema e mostre, pochi amici, gli studi e i giorni in cui scrivevo la tesi, i miei nipoti che sono nati, l'incontro con mia moglie. Ricordo cose che non avrei dovuto fare, e mille altre che avrei dovuto far meglio, o diversamente. Più di tutto, mi rendo conto che spesso sto pensando a cose che sono successe un tempo, valutando come sarebbero successe se l'avessi affrontate come sono adesso. E ogni volta mi rendo conto che l'avrei affrontate meglio, e avrei sempre risolto tutto (son drago, sì). Il che è una specie di tortura con (dubbia) garanzia: perché quelle cose non – troppo facile sarebbe! – si possono riaffrontare, e rimangon come furono; però da come ne uscirei capisco... cosa? Che sono migliorato? Che è una gran fregatura? Che un conto è vivere e un altro ri-vivere? E quindi gongolo o mi vien rabbia, tanto son stupido.
Capisco lucidamente che molto tempo fa una scelta sbagliata sta ancora determinando e appesantendo la mia vita, tirandomi sott'acqua come il Gordon Lachanche di Stand by me; d'altra parte, avessi fatto ieri quella scelta che oggi mi pare la più giusta, forse ora sarei messo pure peggio. Chi lo sa.
Qualsiasi cosa è determinata da una buona parte di caso e  ambiente esterno. Basta che il vento soffi un attimo di più e tutto salta. In un certo senso, potrebbe meglio illustrare quel che penso questa breve storiella: da un paesino della Sicilia che si chiama San Fratello, agli inizi del - lo voglio dire, rende tutto così libresco... - secolo scorso partì emigrante e presumibilmente disperato, il fratello di mio nonno. Lui non fece fortuna, a quel che ho potuto apprendere (avremmo libri di storia sotto gli occhi, se solo volessimo, ma spesso siamo ciechi, riguardo a quel che ci è vicino), ma i figli sono americani, e vivono a New York. Mi piace pensare che suo fratello sia stato indeciso fino all'ultimo, e alla fine abbia deciso di entrare nel corpo dei carabinieri, vivere situazioni ed eventi di cui - ahimè! - nulla, proprio nulla so, e venire finalmente trasferito in Toscana. E se fosse partito anche lui? Sarei nato americano, avrei avuto mille e mille possibilità, scriverei forse sul New Yorker? Mi sarei perso in un sobborgo e in una gang? Avrei fatto la fame e mi sarei tagliato un dito in una catena di montaggio e mi sarebbe andata in cancrena la mano perché non avevo i soldi per la copertura assicurativa?
Chi lo sa.
Che anno è stato? Chi lo sa. Alla fine, mi rendo conto che ho tutt'altro che poco. La rovina è forse voler sempre di più, non accontentarsi; non già (almeno nel mio caso) nei termini di una cupidigia materiale o pecuniaria: la rovina (o la fortuna) è nella nostra immaginazione. Ma almeno ho capito il passato. Forse magari mi aiuterà ad affrontare il futuro.
Quanti forse...

1 commento:

Lypsak ha detto...

Il giochino dei SE è un po' pericoloso. Se non avessi battuto il capo su quel gradino... Se mi avessero preso alle Belle Arti a Firenze... Se non avessi mai giocato di ruolo... Se.
Da una parte, meglio così. Poteva andare meglio, forse, ma sicuramente poteva andare peggio. Non guadagno un cazzo, ma dopo aver ingollato tanta merda finalmente son contenta.
Ti auguro la stessa cosa, a te e al Muflone, ma ritiro tutti gli auguri se non venite a trovarmi entro la Befana.