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febbraio 28, 2006

Un omaggio - visto che ora è il momento - a una delle (tante, tantissime) cose che fanno vergognare di esser parte di quel paesone piccino ma che fa finta di essere una metropoli che è l'Italia. Siccome io non c'ho voglia di scriverci su, prendo a prestito (e cito la fonte, ci mancherebbe!) le parole di Michele Serra, che è pure assai più bravo di me, su Repubblica, oggi:


Il Festival di Sanremo ha 56 anni, ma ne dimostra trecento. Sono i tre secoli (su per giù) che ci separano dal dopoguerra e dalla ormai lontana giovinezza della nostra società di massa, dalla massaia Pizzi e dalle maliarde in paillettes, dai tenoretti alla Claudio Villa e perfino dal moderno di Modugno e degli urlatori. E, soprattutto, da quando la televisione era una cosa vera, un occhio ingenuo e curioso spalancato sul Paese, cinegiornale popolare, teatro leggero, luci della ribalta, e il pubblico non era audience, erano "gentili telespettatori, buonasera".
Per questo bravi anzi bravissimi Panariello e le sue due ancelle (soprattutto la Victoria Cabello), che hanno cominciato a tirare la smisurata carretta di Sanremo senza poter contare su quello che fu il pubblico del Festival, gli italiani a casa, una volta di tifosi dei cantanti e meravigliatissimi dalla minima scollatura o stonatura, oggi così tramortiti dal video sempiterno, così assuefatti a trasgressioni, emozioni, visioni, polemiche, litigi, "breaking news", che già riuscire a non farli addormentare è un trionfo. Tanto che, nella annuale e annosa ricerca di ospiti clamorosi (ma il direttore generale della Rai Meocci, con lodevole basso profilo democristiano, li ha definiti "meritevoli di grande attenzione"), è probabile che solo la presenza di Bin Laden potrebbe dare una avvertibile scossa allo share.
Così ognuno si concentra, accendendo l'ennesimo Sanremo, sui dettagli. Come il culto consacrato delle modelle, quest'anno molto più numerose, all'Ariston, di quei mazzi di fiori così nerboruti da sembrare bistecche, l'alfa e l'omega del kitsch sanremese che lo scenografo Ferretti ha meritoriamente oscurato. Modelle enormi, bellissime, mostrate a stuoli, a battaglioni, con abiti di spaventosa magnificenza, quasi tutte fidanzate di calciatori, evoluzioni transgeniche di quelle che una volta si chiamavano belle ragazze.
Panariello, essendo veramente uno del popolo e credendo che il popolo esista ancora, le ha affrontate appunto come se fossero belle ragazze, con energica familiarità, come un corteggiatore rionale. Perché il segreto del Festival è la presunzione di ritenersi ancora, e per sempre, luogo popolare per definizione, come se gli italiani fischiassero ancora alle ragazze, e specialmente alle signorine straniere. Come se ci meritassimo ancora Alberto Sordi, che invece, come è noto, non ci meritiamo più da un pezzo.
Straordinaria, in questo senso, la visita remunerata di John Travolta vestito da pilota. L'accoglienza è stata festosissima e anche vagamente servile, proprio come quando arriva qui da noi, degnandosi, l'attore americano. Lo hanno vestito da pilota d'aeroplano e pagato parecchio, lui non ha fatto niente e detto perfino meno, salutava con la mano, sembrava Gary Cooper in via Veneto ma il problema è che non era Gary Cooper in via Veneto, era John Travolta al teatro Ariston, con ingresso sul retro in via Roma, e non so se l'avete mai vista via Roma a Sanremo...
Ma Panariello era assolutamente impeccabile nella parte dell'italiano ammirato e in fondo grato di potere incontrare una star di Hollywood, perché al Festival il canone è quello, il casalingo di Voghera che si eccita per la modella stangona, la sciampista di Frosinone che smania per la passerella del fusto americano.
È un canone intubato da anni, tenuto in vita come genere televisivo perché niente più gli assomiglia, nella realtà reale, e non si sa se siamo peggiorati o migliorati, magari il casalingo di Voghera adesso rapina i furgoni postali, e la sciampista di Frosinone ama i pattinatori olimpici e schifa Travolta che deve sembrargli come a quelli della mia generazione sembrava Fernandel.
Ma a Sanremo i cosiddetti mutamenti di costume arrivano, quando arrivano, sempre postumi, il bello del Festival è la compunta credenza che lì si incarni al meglio la tanto rimpianta mediocrità nazional-popolare, e infatti ogni tentato ammodernamento, specie di genere musicale, appare posticcio, e si preferisce gridare, da casa, "aridatece Bobby Solo".
Non basta uno scenografo premio Oscar che ha annerito quasi ogni rilievo visibile, creando un elegantissimo insieme di budelli che paiono corridoi di aeroporti, o camerini di show-room, per cambiare Sanremo o per ammazzarlo. Né gli sforzi dei pochi cantanti sintonizzati sugli ultimi due decenni.
Per fortuna, lo dico a nome di noi passatisti sanremofili, l'insieme sonoro, per quanto nella prima sera appaia sempre indistinto e assordante, è ancora e sempre dominato da quel vice-melodrammna straziante e impetuoso, con amanti disperati, peccatrici redente, tracolli esistenziali, che ha fatto la storia di Sanremo, e purtroppo anche la nostra.


febbraio 26, 2006

Z. H. “Colloqui di lavoro? Davvero hai fissato dei colloqui di lavoro?”
M. D. “Siamo laureandi, Zonk, non abbiamo altra scelta.”
Z. H. “Ma non ho idea di cosa sia un colloquio di lavoro! Mi mangeranno vivo!”
M. D. “Dai, Zonk… non c’è nulla di terribile… sono solo venti minuti di chiacchiere col selezionatore: basta essere te stesso!”
Z. H. “Ma… e se mi offrono un lavoro?
M. D. “Beh, è un rischio che si corre sempre...”

(g.b. trudeau)

febbraio 23, 2006

Sguardo fiero ma gentile d’un Maître d’Hôtel di altri tempi, Leopoldo Bryzzi ha la nobile severità di chi ha diretto le Salles à Manger dei più grandi e prestigiosi alberghi del mondo, e la raffinatezza e l’eleganza di chi questo lavoro, a contatto con persone d’alto, altissimo rango, lo aveva scritto nel destino. Ci riceve nella sua casa, una sobria e lussuosa villa di campagna, ormai tranquillo ritiro per la sua veneranda età, e ci accoglie stappando una pregiata bottiglia di Barbaresco Gaja Riserva Speciale Marchese Villadoria. Anno 1969.

Mister Brizzi, qual è a tutt’oggi il cliente di cui ha il ricordo più nitido?
Anzitutto, “veneranda età” lo può dire anche a su’ madre, quel tegame di steccoli. Io c’ho ancora una fava così [mima il gesto, arrivando al gomito N.d.R.], e proprio prima che arrivasse Lei a scassare il cazzo ero di là che schiavardavo la domestica. Comunque, per tornare alla sua gentile domanda, si può parlare senza dubbio del principe Aramèngo II di Batràcia, che soggiornò al Grand Hotel “Ciùo di Piombo” di Castrone, nel 1971. Sa, a quei tempi circolavano molte battute maligne sul suo conto, e lui era un po’ incattivito. La rima con cui i detrattori solevano accoglierlo era “ARAMENGOOOOO... NEL CULO TE LO TENGOOOOO”, che tra l’altro gettava ombra anche sulla sua virilità. Ma anche in quei casi, il Principe non perdeva la sua austera nobiltà, limitandosi a passarsi due dita sui baffetti, tutt’al più assumendo un’espressione accigliata. Con me parlava francese, solo che io non lo sapevo e lui non se n’era accorto, quindi ogni giorno era la stessa storia: poteva ordinare Ratatouille, Chateaubriand en cruste avec Petit pois, Bouillabasse, Lapin à la presse che io gli portavo sempre un piatto di zucchine lesse e due fettine di rognone della sera prima. Gli andava sempre bene, perché era cieco come un vicolo, e fin da piccolo aveva subito un delicato intervento chirurgico per farsi annullare l’attività delle papille gustative, perché qualcuno gli aveva detto che era chic. Quindi, con rispetto parlando, sentiva una ricca sega, lui, dei sapori.
Spesso per i personaggi dal Sangue Blu, a quei tempi, gli individui come lei diventavano una sorta di confidenti fidati e nobili. È successo anche a lei?
Certo che sì, idïota, le pare che sia più stronzo di altri? Ci fu, mi ricordo ancora, il regista Pipy Fruccica che entrò in confidenza con me riguardo alle sue preferenze sessuali. Ricordo che era una persona molto discreta e sensibile, e quando gioiosamente urlai – la sala era piena – che la sera prima l’aveva acciuffato ripetutamente nel Sacro Tobòga dall’aiuto macchinista (del resto me l’aveva appena confidato lui, sfido chiunque a darmi del bugiardo…), sbiancò. Stranamente non riprese colore nemmeno dopo che gli gridai giovialmente “VECCHIA BAGASCIA MARCIA!”, accompagnando il tutto da una virile e sonora manata sulla schiena. Ah, la nostalgia!
E le celebrità? Ha avuto modo di conoscere da vicino qualche personaggio da rotocalco, immagino. Si ricorda qualcuna fra quelle loro bizzarre abitudini per cui andavano tanto famosi?
Guardi, la più bizzarra di cui ho rimembranza è certo quella di Fornaciaro K. Panati, il famosissimo cantante. Questo bel tipo insisteva a non voler bere assolutamente nessun tipo di alcolici. Io la presi come un fatto personale, e gli portai un bel bicchierone di grappa, spacciandogliela per acqua. Lui bevve e diventò tutto rosso. Poi si accasciò lì, e si dovette chiamare un’ambulanza perché non accennava a muoversi. Penso sia morto in ospedale, o magari anche sul colpo, d’altra parte non è che mi possa ricordare tutto. Certo che quella gente è ben strana…
Ci racconti qualche aneddoto gustoso di quei tempi…
Beh, mi ricordo di quando capitava che qualche Capitano d’Industria, o qualche Politico importante portava qualche phya [e dice proprio così: phya – ah, la grazia di questo personaggio! N.d.R.] di nascosto in qualche suite. Sa, per trombarla o incularla, o che so io. Dopo poco che era salito, io lo chiamavo in camera e allarmato gli dicevo: “Attenzione, sta arrivando sua moglie!” Il tipo si agitava parecchio, si nascondeva, magari mandava via la tro… la signorina, e poi io lo richiamavo per dirgli che era tutto a posto, e che la moglie l’avevo intercettata e rimandata a casa, dicendole che lì suo marito non si era assolutamente visto. La cosa bella era che nessuna moglie è mai venuta a chiedere di nessuno, lì. E dopo, il Cliente, che pensava gli avessi salvato il culo (con rispetto parlando) era generosissimo con le mance. Con questo sistema mi sono costruito la villa che vede, non so se capisce, caro il mio merdone.
Oppure mi ricordo di quando al povero Rigilli, commis appena arrivato, proveniente da una famiglia di poveri ciabattini scionchi e sfortunati, dicevamo per scherzo che – ce lo avevano appena comunicato dalla segreteria – sua madre era appena morta di vajolo, solo che lui non poteva assolutamente assentarsi dal lavoro perché di lì a poco sarebbe arrivato l’ambasciatore di Samotracia per il pranzo di Gala in onore di Cane Pìpolo III, erede al trono di Mèrdia. Penso che per questi scherzi abbia perso svariati anni di vita, e forse è per questo che è schiantato in capo a due anni, dallo stress. Tanto, avrebbe sempre condotto una vita del cazzo, che ci vuol fare. In un certo senso gli abbiamo anche fatto un favore. Ma aneddoti del genere ce ne sarebbero a milioni (il regime di terrore imposto ai miei sottoposti per le mance, lo sgambetto alla vedova Nephey, la prova della bottiglia in culo ai nuovi assunti, ecc.). Dico solo questi perché la sua debole mente certo non reggerebbe ulteriormente lo sforzo...
 
Prima parlava delle lingue straniere. Ci dica: quanto è importante, in ambienti come quelli, essere poliglotti?
Beh, è senz’altro fondamentale. Io, comunque, me ne sono sempre sbattuto i coglioni, anche perché si figuri un po’ lei se dovevo anche mettermi a studiare qualche insulso e inferiore linguaggio da barbari (quando non da baluba: pensi un po’ agli idiomi parlati in négria – io rabbrividisco al solo pensarci). Dopo tutto erano loro che venivano in Italia; io per me restavo a casa mia, vuole mettere? S’avevano a arrangiare. Ma, più ancora che le lingue, o la cultura, o qualche altro inutile & tedioso cazzo, è una questione di signorilità: e lei, caro Palle ce n'ha? No direi... ma via, non mi faccia parlare, sennò divento troppo amaro. E poi, qui mi si decanta troppo il vino, mi si sciupa. Ah, gliel'ho detto che l'ho rubato a un Conte, come del resto tutta la sua adorata Cantina, quando soggiornò - era il 1975 - al Grand Hotel "Stambecco di Sterco" di Ambèriarotta? A lui dissi che un terremoto aveva distrutto tutta la sua riserva. Invece ero io, che facevo i rutti in un megafono e gli rompevo i vasi Ming, così per spregio e per rendere più credibile l'insieme. Pensi un po' lei...


febbraio 21, 2006

STEFANO TEGLIA, U.L.A.C., Ed. Cartapesta Malata, € 13,00
Sciupato, misero, che ha visto (o forse no, non li ha mai visti) giorni migliori: così si presenta Lupo Anziano, personaggio dalla vita insignificante, spesa all’insegna dell’inutilità e delle deficienze fisiche, mentali, spirituali. Tutto è miseria, in lui. O in lei. Già, perché non ha importanza nemmeno se sia uomo o donna, Lupo Anziano. È semplicemente Lupo Anziano, essere androgino, superiore al sesso e all’igiene, superiore (o nascosto) a un sacco di cose, affetto/a – tra l’altro – da chiara blesitudine.
Tuttavia, spinto dal latrare isterico e gratuito di un odiosissimo barboncino bianco fonato & cotonato, portato quotidianamente fuori a tarda notte – in realtà, tra le 23.28 e le 23.36; ma per Lupo Anziano quella è tarda notte – per la rituale Deposizione-Fecale e Abbaïo-Al-Niente, per mano della sig.na Lanciotto, di professione Zitella di anni 51, quasi nana, straordinariamente simile a un barboncino anch'ella, e pericolosamente incline ad agghindarsi vezzosamente con un enorme fermaglio a forma di fiore rosso (o giallo) fra i capelli (vestendosi solo a pois neri su vestiti rossi), Lupo Anziano decide di averne abbastanza, e uccide con gli ultrasuoni delle sue temibili Grida Topine la supponente bestiola. Diventa così, in breve volger di luna, l’idolo della via, e poi del quartiere, e della circoscrizione, fino a candidarsi entro pochi mesi a syndaco. Nemmeno a dirlo, vincerà le elezioni, imponendo repente il culto della personalità (ma di quella di un lontano cugino, per cui ha sempre nutrito una smisurata quanto ingiustificata ammirazione) e fondando di lì a poco un partito, l’U.L.A.C. (Unione Lupo Anziano e Cotto, il cui symbolo è il barboncino nano Deposizione-Fecale mentre traina la Zitella Lanciotto 51, alla memoria di entrambi), promettendo la messa al bando dei barboncini odiosamente latranti e l’aumento dell’importazione della barbabietola da zucchero, di cui è geloso consumatore (17 bustine in capo a un dì, ingurgitate in giojosa foga). In capo a un anno, si trova a concorrere nelle Politiche a livello nazionale, e il suo partito, spinto dall’entusiasmo popolare e da una malcelata benevolenza dei media, sale nei sondaggi al 25,7%.
Le sue ormai leggendarie Grida Topine furoreggiano ovunque, vengono imitate e prese a modello, pietra di paragone e di castigo. Da lì a brevettarle il passo è breve, e parallelamente all’attività politica, Lupo Anziano dà quindi il via ad una spettacolare scalata imprenditoriale, lanciando la linea Grida Topine™, che comprende il carnet degli assegni, l’eau de toilette, l’acido per pavimenti in cotto e il gelato al gusto omonimo.
All’apice del successo, Lupo Anziano si prepara ad affrontare la tornata elettorale, forte di una trionfale campagna di stampa e di media. Ma i rivali sono agguerriti: c’è la Vedova Tapi, leader del PPSD (Partito del Popolo Svilito e Deriso) forte dell’elettorato anziano; il sen. Giuppy-Napoleone Minchio, segretario dei Napoleonici Di Sinistra (NDS); e Susanna Tamaro, carismatico Leader dei battaglieri e intransigenti Radicali. Fuori da questo quadro, si situa la potentissima e misteriosa lobby creativo-finanziaria del RAAD (Riciclaggio Anche A Domicilio): il movimento che beneficerà del tacito appoggio di questa, governerà il paese.
Lo scrutinio finale si rivela un’agguerrita e cruenta battaglia, in cui i proiettili sono i singoli voti: uno, per la Vedova Tapi; un altro per Lupo Anziano, e via così, a sbaragliare tutti gli altri. Delfino Ubertoso, arcinoto speaker della Televisione di Stato (TGB, Tele Golosità Barocca), incaricato di uno speciale on-air, vede in tempo reale il risultato conclusivo. A lui il compito di comunicare l’esito al paese. La tensione monta, i sostenitori di Lupo Anziano, sparsi per il paese, cominciano ad emettere propiziatorie & stridule Grida Topine di solidarietà, per sentirsi più vicini e in comunione col loro eroe, il quale eroe si sveglia miseramente e scopre di aver sognato tutto. Di più, s’è anche cacato addosso dall’emozione. Ok, questo non avrei dovuto dirlo, ché così ormai v’ho sciupato il finale e il libro tutto, ma tanto sono stronzo, e voi ve lo meritate. O pìcchiami.

febbraio 15, 2006

UN GRANDE RITORNO: L'ANGOLO DELLA CRITICA LETTERARIA

WANDO CIAFFATA, Finanza Nostalgika, Edizioni A Mano Armata, € 11,90
Il libro narra ed indaga l’intenso rapporto fra Anèlito Luconi, impiegato ad Alta Contabilità presso la Svassi Importazioni srl, ed il suo capo, Miseria Morale, seguendo a filo una sorta di percorso segnato che dà a tutta la vicenda il peso e la tragicità di una fatale predestinazione: dall’infanzia di Anèlito, quando giocava stopper nel Ciapetti, e Miseria Morale ne era l’orgoglioso presidente, fino agli anni della maturità, allorquando il protagonista si ritrova casualmente impiegato nella ditta di importazione (illegale) Svassi e esportazione (legale) di Oro Pilla dello stesso Miseria Morale, che – un po’ invecchiato ma non domo – ha i vizi di sempre: puttane russe di altissimo costo, pasteggio a coca-cola e arachidi tostate, acquisto, nonostante la palese astemia, di casse di Prinz-Bräu perché gli piace la forma della bottiglia.
La placida serenità pacificata della vicenda è però incrinata da un funesto preambolo: per un tragico errore, all’atto dell’iscrizione della nuova Impresa alla Camera di Commercio, Miseria Morale si è confuso, e come Ragione Sociale ha dichiarato l’attività l’illegale, quella che sarebbe stata coperta dall’esportazione di Oro Pilla. A causa di questo stato di cose, la Finanza giungerà repentina il secondo giorno di attività (il primo giorno di lavoro di Anèlito Luconi) per un controllo, e constatate le più varie irregolarità fiscali, legali e penali darà il via a un rude scontro a fuoco, nel quale, tra stanze piene di Oro Pilla invenduto e ormai invendibile, morirà di morte violenta & cVvda (sì, proprio cVvda) Anèlito, con Miseria Morale che, cinicamente, corrompe i finanzieri (donando loro una muta di svassi reali ciascuno) e torna al chiavo, un po' preoccupato per l'Oro Pilla.



"Il libro è indubitabilmente bello. Scritto bene, avvincente e scorrevole. Profondo, anche. Vi prenderà. Non mancatelo!" (l'autore)

febbraio 11, 2006

Ri-ricevo (che culo, ancora… vedasi post anziano – gennaio, 17) e ri-pubblico (tranne i nomi; idem come allora)

Gentile lettore,
vuoi che uno scrittore affermato ti dia un giudizio spassionato sul tuo manoscritto: romanzo, o racconto, o poesia o... ?
XXX lo farà, promesso.
Mandagli il tuo manoscritto via e-mail rispondendo contemporaneamente a questa domanda: Nel romanzo di
XXX, XXX (Hobby & Work) quale personaggio legge le Confessioni del Capitano monco, zoppo & vilipeso?
Il talento è un bene nascosto, a volte sepolto e ignoto, a volte solo immaginato...finché qualcuno non se ne accorge.
In bocca al lupo!


Quindi ri-rido.
Ahahahahahahahaahahahahahridicolamassadidiotiahahahahahancheunpo'stronzi.

febbraio 09, 2006

(Fonte: Repubblica, autore: G.P. Serino)
Ruolo della tv, ridimensionamento del pubblico, yuppismo - Nel testo distribuito ai manager le fondamenta ideologiche di Forza Italia 1991, in un libretto top secret  l'Italia sognata da Fininvest 

MILANO - Un documento esclusivo: Le sfide per affrontare il cambiamento, è un libro sino ad oggi rimasto top secret, stampato in pochissime copie dall'ufficio relazioni interne Fininvest, e destinato unicamente ai massimi dirigenti del gruppo, che dimostra come Silvio Berlusconi non sia sceso in campo nel gennaio 1994, come ha sempre dichiarato, ma dal 1991. Un progetto, quello di Forza Italia, che conferma lo stretto legame tra il premier e le sue aziende.

L'accusa di aver creato un "partito azienda", che il Cavaliere ha sempre respinto, trova conferme nelle pagine di questo pamphlet. Il libro raccoglie "un programma", come si legge nel primo capitolo, "iniziato nel 1991 attraverso incontri con personaggi come il generale Carl Jean, Francesco Alberoni, Gianni Baget Bozzo, Giuliano Urbani". Si tratta di analisi che lasciano molto poco spazio alle interpretazioni.

Baget Bozzo, ad esempio, nel suo intervento (titolo "Il ritorno della morale") scrive: "Oggi l'uomo vive in un mondo fatto di tele-immagini e la conoscenza umana ne è arricchita, perché il più comune degli uomini posto davanti a un televisore è posto dinanzi ad un reale che, anche se interpretato, costituisce una verità obiettiva. Il vedere la televisione è il più comunicativo degli atti, è l'esperienza che rende tutti uguali, mentre l'udire richiede tutt'altra attenzione ed elaborazione, una caratteristica propria dell'intellettuale". Sarà per questo che da anni ci troviamo il premier su ogni canale? "Il mondo diventa - rincara Baget Bozzo - quello che noi vediamo in tv. Noi viviamo la storia contemporanea in visione diretta, la realtà e l'interpretazione insieme".

A rincarare la dose il generale Jean, esperto di strategie militari, che in un altro capitolo sottolinea: "La televisione e la comunicazione di massa diventano i mezzi per influire non solo, come capitava un tempo, sulla volontà dell'avversario, ma anche sul livello di consenso dell'opinione pubblica, che nell'attuale mondo della comunicazione globale in tempo reale sta acquisendo, da un punto di vista politico-strategico, un'importanza quasi simile alla forza militare".

Giacomo Vaciago, docente di politica economica all'Università Cattolica di Milano (che in seguito diventerà sindaco del centrosinistra a Piacenza), anticipa di 15 anni i disegni di legge del "Buon Governo": "Il nostro scopo è privatizzare e ridimensionare la presenza pubblica nei momenti sia di produzione che di regolamentazione. I fondi pensioni prenderanno il posto dell'Inps e del Trattamento di Fine Rapporto e una parte significativa della Sanità sarà gestita individualmente dal consumatore". In sintesi: se ti ricoverano in ospedale non sei più un paziente, ma un acquirente.

Per quanto riguarda la politica estera già in Fininvest-Forza Italia le idee le avevano ben chiare. Sempre Jean scrive: "Attraverso strumenti affinati di geo-economia il mondo industrializzato riesce ad avere i vantaggi delle ex colonie senza occuparne i territori: attraverso manovre economiche, finanziarie, alimentari e influenzamenti politici dell'informazione". Urbani, invece, nel capitolo "Interpretazioni e tendenza degli scenari", si lascia sfuggire che "qualsiasi sistema politico sta i piedi se supera una soglia di legittimità, anche una dittatura ha bisogno di una sua legittimità".

A impreziosire "Le sfide per affrontare il cambiamento" una serie di vignette che sintetizzano, al meglio, gli interventi dei relatori. Fin dalla copertina: una sorta di ibrido, un uomo con il volto alla Ridge di Beautiful e il corpo di scimmia tiene sotto il proprio pugno il mondo. Sotto, ben evidente, in giallo fosforescente, il marchio Fininvest.

Nell'introduzione, affidata a Roberto Spingardi, allora direttore centrale Relazione interne/esterne di quelle prime convention, il titolo è chiaro: "La nostra sfida: coniugare competenza, apprendimento ed entusiasmo". Nulla di anomalo se non fosse per il disegno che occupa mezza pagina: uno "yes-men", giacca e cravatta aziendale d'ordinanza, si insedia nel suo nuovo ufficio. Una libreria (che ricorda quella alle spalle di Berlusconi nei suoi collegamenti televisivi da Arcore), ma soprattutto televisori, decoder, computer, palmari, portatili. Non a caso non è un ufficio comune, ma come si legge in una targhetta in alto è il futuro degli uffici, il Signor Ufficio: è l'"Aula di apprendimento continuo".

Ad illustrare gli scritti di Jean, l'immagine forse più significativa delle "Sfide per affrontare il cambiamento": soldati lanciati all'attacco da un generale con elmetto griffato Fininvest. L'assalto alla politica, era il 1991, era ai suoi inizi, ma gli scopi sintetizzati alla perfezione dal fumetto. E anche dalla chiusura di Spingardi: "Noi tutti dobbiamo contribuire al successo dell'azienda Fininvest e possiamo farlo quanto più riusciremo a creare i presupposti perché ciò avvenga. Il mantenimento delle motivazioni e dell'impegno al risultato, la costruzione di un clima di consenso, sono responsabilità che non solo dobbiamo accettare, ma in cui credere per costruire il nostro domani". Forza Italia?

febbraio 07, 2006

E dopo Firenze, Modena! Forum Monzani, davanti a un bel po’ di adepti. Hotel Real Fini, con annessa la nuova cena di autofinanziamento campagna elettorale, lui ovviamente presente, stavolta con quota-contributo di 5.000 euro a imprenditore.

Queste alcune fra le più belle dichiarazioni:

“I sondaggisti sono tutti uguali: sono schierati a sinistra. Tra di loro c’è una sorta di accordo. Perciò abbiamo commissionato un sondaggio a un'agenzia americana di area democratica. I risultati saranno pronti tra 15 giorni, ma ci dicono già ora che siamo in testa”.

“I nostri pre-sondaggi ci portano a un’assoluta parità. C’è invece una disparità tra Prodi e il sottoscritto, Prodi è sotto di diversi punti” [detta poco più di tre ore prima della precedente]

“Noi sappiamo ridere e anche prenderci in giro, mentre loro sono sempre incazzati… forse, ha aggiunto sorridendo, sono arrabbiati perché la mattina, per farsi la barba, si guardano allo specchio”

“La sinistra offende le nostre radici cristiane. Non parliamo di cosa vogliono fare della scuola cattolica, adesso si sono rafforzati con i radicali e vogliono abolire l’8 per mille e rivedere il concordato, una cosa che offende le nostre radici cristiane”

“Siamo i primi per stabilità del lavoro, invece ci accusano di essere precari. Abbiamo ereditato i cosiddetti lavoratori socialmente utili o inutili, perché non fanno nulla. Abbiamo cambiato la disciplina del mercato del lavoro grazie a un martire italiano. Con 22 milioni e 600 mila dipendenti abbiamo raggiunto il record della stabilità del lavoro. Siamo i primi in Europa, perché l'87,7% sono contratti a vita. Solo il 12,3% sono a termine, ma la metà di questi diventa in realtà a tempo indeterminato. L’obiettivo è raggiungere ancora un milione di posti di lavoro, e non avremo più disoccupati per la prima volta nella storia; anche perché per 1 milione e 600 mila che non hanno lavoro, il 70%, in realtà, lavora in nero”.

“Se vincerà il centrosinistra avremmo un'Italia che si presenta sotto l’insegna della falce e del martello, la peggiore tirannia che ha conosciuto l'uomo”.

“Qual è il traguardo finale della riforma della giustizia?", si chiede poi il premier; ma non fa a tempo a finire la frase che dal pubblico qualcuno gli suggerisce: “Mandali a Cuba!”. Lui si ferma, riflette e poi attacca: “Ahimè, sono sicuro che hanno le idee radicate nel passato, nella scuola di Mosca, e se andassero a Cuba sono sicuro che tornerebbero solo dopo aver fatto turismo sessuale e senza aver imparato niente”

febbraio 02, 2006

I RICORDI


Mi ricordo, sì, mi par proprio di ricordare la fu Principessa Johnny Merda, che c’aveva un gran muso a topo, e che cacava solo in compagnia delle amiche/ancelle/serve/schiave, le quali dovevano andare a trovarla, fumarci due sigarettine propiziatorie, e accompagnarla indi al cesso, amabilmente intrattenendola & distraendola mentre lei si sedeva sulla tazza e cominciava a spingere. E quelle stavano lì, come se niente fosse. Ecco, lei so per certo che è morta: uno stronzo le si mise di traverso, nel culo, e non ne fece passare altri. In capo a tre giorni scoppiò.