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dicembre 31, 2004

PROLASSO INTESTINALE – IL TUO NUOVO, APPASSIONANTE, INCREDIBILE FILM DI NATALE


Arriva un nuovo, imprevedibile personaggio che amerete. È il commissario Aldino Pistone, detto Bottazzo II da Gàttide (per distinguerlo dal padre, Artidòro Pistone, detto appunto Bottazzo I, l'unico uomo capace di riempire un cappello da posta al sassello – grande record e orgoglio paesano, da sempre), che con le presenti festività entrerà nei vostri cuori e nelle vostre case per non uscirne più. Goloso di frattaglie, rigaglie e cervella di pollo, anche se ciò che lo fa letteralmente impazzire è la cipolla del suddetto animale, violerà la vostra intimità, venendo letteralmente a stabilirsi nel vostro tinello e/o soggiorno, entrando di prepotenza nelle vostre conversazioni quotidiane, spiandovi mentre rilassate le stanche membra, assisi su comode & linde tazze WC, che lui poi insozzerà coi suoi liquami & miasmi corporei, (avviso: mangia tanto, e se non gliene date s’incazza come un triceratopo impaurito. Il fatto che venga a stabilirsi a casa vostra, poi, non v’allarmi: egli sarà infatti in possesso dei nominativi di tutti coloro i quali, al cinema, faranno il biglietto per entrare a vedere il suo film e, ora da uno, ora da un altro – guai a creare rivalità, e/o far preferenze! – spenderà la sua immagine fisica venendo a trovarvi, allietando così la vostra altrimenti ben misera vita. Voi accoglietelo sempre festosi, celando al meglio che potete il vostro disappunto o la vostra intolleranza: potrebbe essere assai pericoloso. Soprattutto, non fate commenti sul suo esser completamente glabro, che si offende irrimediabilmente, e sputa)
Il film in questione, intitolato appunto “Prolasso Intestinale” (regia di Johnny Dr. Merda, nelle sale per l’epifania p.v.) vedrà il vostro futuro eroe alle prese col suo primo, intricato caso. Il commissariato di Gazzurrone Marittimo, provincia di Gàttide, è oberato dalle telefonate della popolazione locale, terrorizzata da una strana forma di morte: le vittime vengono trovate, il giorno dopo, con un prolasso intestinale e un ematoma al gomito destro. In un lago di materia fecale. Il tutto con una firma (nella materia fecale, ovviamente, e fatta rigorosamente a mano): JACK LA SEGA. Dopo che l’aitante commissario Bottazzo II se n’è ampiamente sbattuto i coglioni, di tutti loro (“voglio dire… m’impiegavo alla SITA, se volevo lavora’”, recita il nostro eroe, all’incirca dopo cinque minuti di film, davanti a una bella tegamata di frattaglie & cipolla di pollo, cucinategli dal suo inseparabile assistente & amico – ancorché di razza innegabilmente inferiore quindi destinato ai lavori più umili, tipo parlare al telefono coi cittadini, pulire le cucine impestate d’unto, giocare d’azzardo cogli allibratori clandestini per conto di Bottazzo II, spacciare crack nei più vicini asilî, riscuotere le mazzette presso le vecchiette, magari molestandole con uno steccolo intriso di materia fecale – il fido Canìsio Lo Rògnone), ecco che la situazione prenderà una piega imprevista con l’arrivo in scena di Gèppo il Folle, che in una banale lite (nel “Pub della Ralla”, unico locale del paese, stava discutendo su quale fosse il principio politico più importante nella Francia dell’Ottocento – e il buon Gèppo propendeva, com’è anche giusto, razza di asini senza cervello né memoria, ma come cazzo fate a non convenirne, per il “giusto mezzo fra gli estremi” di Guizot, nella Francia di Louis Philippe d’Orléans) ucciderà Canìsio, responsabile di un'espressione alquanto ingiuriosa verso lo stesso Guizot, idolo di Gèppo il Folle ("Guizot? e chi cazzo è?"), soffocandolo tra gli stessi vapori d'unto della cucina.
Gazzurròne Marittimo ne sarà sconvolta, e allora e solo allora (solo perché così non può più avere i suoi manicaretti rustici ma grevi?) il commissario Aldino Pistone, detto Bottazzo II da Gàttide, inizierà ad indagare. Inquietanti scenari gli si apriranno allora davanti agli occhi. Tantopiù che è solo da dopo l'apparizione di Gèppo il Folle (detto Jack la Sega dagli amici più intimi, giacché Gèppo il Folle è solo il nome della madre, da signorina) che son cominciati tutti quei casi, ma forse questo non dovevo dirlo, mannaggia ecco ora ho sciupato tutto il film. Porca troja.

Comunque... accorrete numerosi, il cinema vi aspetta! PROLASSO INTESTINALE! Fatevi affascinare dall’intrigante Gazzurròne Marittimo e dai suoi operosi & loschi Personaggi! Seguite il grande Bottazzo II, nel suo peregrinare! Andate un po’ affanculo, con l’anno nuovo. Merde.


Con Giorgio Ariani nella parte di Bottazzo II.
Sandro Bondi in quella di Canìsio (grande soddisfazione dello spettatore, quando spira)
Valerio Merola nella parte di Gèppo il Folle.


(e con le partecipazioni straordinarie poi di: Meat Loaf, Ferruccio Soleri, Hidetoshi Nakata, il budello di so' ma', Maurizio Costanzo, Paolo Poli, Pippo Franco, Franco & Ciccio, Lina Wertmuller, gli Articolo 31 però tinti di verde, varî amici del regista, anche carnalmente parlando)




PROLASSO INTESTINALE! E FARE LA CACCA NON SARA' PIU' LA STESSA COSA.

dicembre 27, 2004

...anche quest’anno il SS. Natale è alfin giunto, e giù al misericordioso orfanotrofio delle suore Lupine (scalze, ma con portafoglio) “San Lupone III d’Antiochia”, lo abbiamo passato nella gozzoviglia più sfrenata. Noi bambini, trepidi & giocosi come sempre, tutti gli anni, lo aspettavamo a gran gloria. E la festa non ha tradito le attese, alla faccia di quel mantrugione gobbo del Leopardi. Tiè.


Purtroppo, della mia classe, io sono il solo che possa raccontare come si è svolta la nostra giornata, poiché i miei compagni o sono ciechi da entrambi gli occhi, o hanno gravi malformazioni agli arti (piede porcino, focomelia spinta, ditini cioncati, etc.) che precludono loro ogni nobile attività scrittoria; tuttavia il fatto, lungi dall’infiacchire il mio animo operoso et umïle, m’inorgoglisce ancor di più, e mi spinge a vergar queste vetuste carte col mio pennino dorato, testé sottratto con l’inganno a Suor Lupèsia Superiora, tanto più che ella (la tapina) non sa scrivere, e anzi bolla come pura manifestazione del lubrico demonio ogni forma di comunicazione non orale (indi, includendo anche l’alfabeto muto, il che spiega quindi anche la malcelata ostilità di questa verso il Lupotrani, il Lupesci e il Lupazzy, i tre poveri mutini della classe). Ah già, ci sarebbe anche l'ottimo Lupeschi Attilio, che sa scrivere; ma, ahimè, è tragicamente caduto durante i giojosi festeggiamenti natalizi, quindi son proprio rimasto solo, e proprio innalzando una prece per quest’ultimo, vado ad incominciare il racconto di questa magica giornata, giornata in cui Nostro Signore Domeneddio ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, acciocché Egli sconfiggesse il serpeggiante demonio che s’annida dentro ognun di noi. Amen.


Alle ore 7.30 ci è suonata la sveglia, come sempre con il sacro inno pucciniano “O sole, che sorgi”, intonato eccezionalmente a quattro voci da (in ordine di registro vocale) suor Lùpo, suor Lùpola e suor Lupanària. Avevo detto quattro, ma Suor Gervaso, graditissima ospite dal monastero di Muscolo (“San Bastione Ambrogy” – tra l’altro, protettore dei PR vestiti bene e dei buttafuori), non s’è svegliata, o è deceduta nella notte non ho capito bene abbiate pazienza.


Dopo la consueta colazione a base di brodino di Lupo Cotto, con noi bambini che cantavamo allegri allegri carole natalizie quali “ben arrivato, bambin Gesù”, “che m’hai portato, bambin Gesù”, e “scappa finché sei in tempo, bambin Gesù”, le pie suorine ci hanno messo in mano ramazza e palettina, e ci hanno mandati a grattar via le gomme da masticare spiaccicate dai gradini d’ingresso dell’orfanotrofio, in vista dell’imminente arrivo (ci ha detto Suor Lupòta) di un ospite a sorpresa.


Alle 9.30 circa, con noi bambini che le correvamo intorno facendole amabile e vivace corona, Suor Lupèsia Superiora in persona è andata ad aprire la porta, distribuendo sapide calcagnate nelle gengive ai più bassi e più infelici di noi, che non desistevano dal proposito di rubarle le chiavi della dispensa, dove Ella nasconde (lo sappiamo tutti ormai – almeno a questo è valso il sacrificio del nobile Luprocrìsio, rimasto incastrato nei condotti per l’aria, di ritorno dalla missione esplorativa del mese scorso) cibarie & masserizie varie, delle più prelibate e rare (timballo di Lupo crudo, Lupone a tranci, Lupo Anziano sotto ranno e via così). Con nostro sommo gaudio, di là dallo stipite, un sacco gonfio fino a scoppiare sulla spalla destra, un’ombreggiatura di barba vera sotto quella finta e chili e chili di fard per nasconderla, c’era il nostro dispensatore di doni & felicità: Babbo Rachele! Così ha detto di chiamarsi, sculettando alacremente mentre entrava, la voce impastata di sigarette e di toni da far invidia a un corno di bassetto di verdiana memoria. Era un manfruito della vicina stazione tramviaria, che le dolci nostre suorine lupesche avevano assoldato acciocché ci rendesse men amaro il giorno della SS. Natività. E babbo Rachele, prendendoci ognun sulle robuste sue ginocchia, col suo bel vestitino rosso scollato e corto (si vedevano fior di rotondità d’indubbia origine ormonica fuoriuscire e prorompere) ha alleviato le nostre pene. Ai ciechini (ma storpi) Lupazziery e Lupocotto ha donato un paio d’occhiali da sole mod. RayBan da tamarri, “per fare i gagaroni al mare” (così ha detto); al Lupeschi un ciotolo ripieno di chicche (che ahimè si son rivelate indigeribili al suddetto, che è così, come avevo poco sopra ricordato, spirato poco dopo, in preda a forti dolori addominali); al Lupugi (focomelico) un rametto di pesco (con resina) da rabdomante, e via e via. Il tutto finché è arrivato al fondo del sacco, e non c’era più nulla. Bambini, ce n’erano ancor parecchi. Invano, allora, Babbo Rachele ha cercato di svignarsela, cominciando a parlar piano, (“tanto questi son tutti ciechi, magari pensano che mi stia allontanando”, avrà pensato) e a simular romor di passi, come ad allontanarsi. Invano: perché io (vigile come non mai), il Lupìnzy e il Lupafràtta l’abbiam denunziato alle nostre fidate suorine, che han provveduto a chiudere le porte, e a fornire noi bambini di trinciapollo e lanciafiamme, in grazia dei quali abbiamo tumulato la salma dopo averla frollata ben bene a testate (mirabile l’accanimento di Lupèci, che da povero monchino senza entrambi gli arti superiori qual è, menava testate a caso, spingendosi sui piedini – storpi anch’essi – che pareva caricato a molla).


A questo punto, ed era già mezzogiorno, è entrata Suor Pilota, la quale ha urlato: “Orsù bambini, andiamo a far razzia di Lupini alla fiera!”, e tutti siam partiti ilari e scoppiettanti – chi gridava “iuppiiiiiiiiiii”, chi “aléééééééééééééééééé”, chi “morte ai paesaniiiiiiiiii” – alla volta del suo pulmino “Lupo 1.100/Abarth”, novellamente truccato e corazzato per l’occasione. Ma sulla porta, Suor Lupèsia Superiora ci ha repente bloccati, e così ci ha rampognato:


“prima che partiate per il disordine più sfrenato, la razzia violenta, il furto con scasso, razza di manigoldi disgraziati, rivolgete un pio pensiero al misero figuro che qui, oggi, abbiamo immolato. Anche lui, come voi, è un povero infelice, e anche lui ha passato qui la sua puerizia. Tenete quindi a mente che anche il vostro destino è segnato, e che quando uscirete da qui, niente più che tutto questo vi sarà riservato, com’è anche giusto. Gli storpi si accartocceranno, i ciechini picchieranno nei pali della luce, e i mutini speriamo spiantino tutti, figli del sadico demonio che ognun v'assedia. Quanto agli altri, solo un’onesta opera di finocchierìa e manfruitaggio vario potrà offrir loro una qualche ragione di esistere, ma speriamo sinceramente che moriate tutti prima. Amen”


Abbiamo abbassato un attimo il capino, in segno di rispetto per le alte e sentite parole della Superiora, e poi siam corsi all’armeria, ove Suor Lupofréddo e Suora Mobile (ma Suora Mobile è solo il soprannome, dopo la paresi alla totalità delle di lei gambette, prima si chiama Suor Lupomagistro) ci hanno riforniti dei consueti Uzi, Shotgun, Mp-104, oltre a una cospicua manata di bombe a mano (“è pur sempre natale!” ci han detto, strizzandoci l’occhio), in vista della nostra consueta incursione natalizia.


Siamo saliti sul pulmino. Suor Pilota ha messo in moto, e noi subito abbiamo intontato il classico intramontabile “Proteggici San Lupo, sennò m’incazzo", mentre io pensavo: "maledetto viscido demonio, perché m'assedî, surrettizio?"

dicembre 21, 2004

E con l’imminente Natale torna (che cazzo c’entra? Ha qualcosa a che spartire col Natale? Qualcuno la rivoleva? Non hai di meglio da fare, stupido?) una bella & sapida

ISCRIZIONE MISTERIOSA

Per aggiungere quel briciolo di suspence alle vostre feste, altrimenti di merda, come ogni anno

STRADA PRIVATA.
A’ CAPITÒ
O CARABINIERI




Incisione vergata su cartapecora di origine probabilmente cinese (Pigna, reca essa in filigrana – probabile riferimento al nomignolo di Tetsuy Todoroky, ultimo rampollo della vetusta – IX sec a.C., che non vuol dire avanti Cristo, come gli stolidi posson pensare, bensì avanti Confucio – dinastia Huan-Zu Tree, e dovuto alle ragguardevoli dimensioni del suo scroto, o forse ancor più alla consistenza e materialità di questo), trovata letteralmente incastrata su di un altrettanto misterioso supporto, piatto e largo, dalla consistenza vitrea, e a questo fermata in grazia di una verga lunga e sottile, nera, rigida, con molla e spazzola incorporate. Secondo il Mangiacazzi – che ha un cognome serissimo, e chi s’azzarda a riderne lo tronco di botte – si tratterebbe di uno strano marchingegno di valenza e precisione quasi leonardesche, e che potremmo ribattezzare, in mancanza di meglio, tergicristallo & parabrezza (per la precisione, parabrezza & tergicristallo, ma non stiamo qui a cavillare).
Dall’iscrizione balza subito agli occhi la grande abilità dell’autore, capace con poche, sferzanti battute, di veicolare un concetto ben più profondo e articolato. 
“Per favore non parcheggi più il suo veicolo/ciclomotore/automezzo/autoblindo/camion con rimorchio/autotreno da 15 tonnellate per trasporto orche assassine (barrare le opzioni che non interessano) entro quest’area ben delimitata e segnalata da apposito cartello. Qualora non desistesse dal suo pervicace proposito (“qualora mi fosse ancor tetragono”, preferisce il già menzionato Mangiacazzi), la faccio partecipe della mia risoluta intenzione di denunziare il fatto all’autorità costituita, che saprà bene quali vie adire nei suoi confronti”

Ecco: di queste dimensioni sarebbe altrimenti il periodo, di questa sintassi sarebbe esso gravato; ma ecco che qui entra in gioco la strabiliante capacità del novello Matteo Maria Bandello (che puppava fior d’uccello – qui la battuta si poteva fare, giuro) il quale, giocando con la paratassi, l’ipotassi e anche un po’ con l’ipertiroidismo magari, s’inventa un costrutto che colpisce diretto e duro, specie quando si distribuisce accenti e apostrofi - apparentemente, ovvio - un po' a caso (ma comunque resta il dubbio – e c’è proprio una diatriba or ora in corso, sulle pagine di “O-O! Officina Oggi” – della conversione ‘O’ accentata – quindi ‘Ò’, o per la precisione ‘Ờ’, alla derviscia – in punto interrogativo, una consuetudine tipica, secondo il Mangiacazzi, delle estinte civiltà degli Antuàn; mentre il Catrone propende più per un retaggio inconscio e inconsapevole, anche perché, per dirla con quest’ultimo, “se gli Antuàn son tutti morti, ci sarà anche il suo motivo”), e quando apoditticamente pone una disgiuntiva (O CARABINIERI) con la funzione di ipotetica causale, un aut-aut imperioso e diretto che riassume e condensa la tradizionale formula pròtasi/apòdosi (“se tu ti azzardi a mettere la macchina ancora qui / io m’incazzo come un lupo della steppa, e ti gonfio di botte, altro che carabinieri”). 
“Ah, la sagacia popolare! Ah, l’acume plebeo!”, avrebbe certo commentato arguamente l’illvstre e avgvsto studioso Topone J. Ravagli (autore di saggi di capitale importanza, quali Le occorenze del sintagma 'Collo di papero' nelle Cene di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, e La Jena, questa sconosciuta - Accoglierla in casa, o no?), non fosse che proprio jer l’altro un tram della Copit l’arrotò senza pietà, facendone pappa per dinghi anziani. Pace all'anEma sua. D'altra parte, meglio lui che io, onusto dottor Merda qual mi sono.

(E poi, il tram lo guidavo io...)

dicembre 09, 2004

Una nuova, avvincente avventura per il micragnoso detective J.K. Malatrasio – un racconto noir, dalla diabolica mente di Jean-Cagotte LaMerde





Mercoledì, 8 Sterpajo 1987, ore 21:19
Lì, nel mio comodo tinello marron stavo alacremente compulsando quello che pareva decisamente essere un volume a cinque stelle, prima categoria assoluta in fatto di creazione scrittoria: Pravo Pravissimo, autobiografia a quattro mani di Patty Bravo. Tutto questo mentre amabilmente sorseggiavo una composta di mia creazione, la tisana-marmelloide al Giulebbe & Rosolio. Il Rosolio me l’aveva fornito Timmy, il mio amico frocio. Lo distillava direttamente lui, nella sua vasca da bagno. Ogni volta che pensavo al mio amico Timmy, chissà perché, mi venivano i brividi. Forse sarà perché di recente il temibile boss Palombaro Bistazzoni gliel’aveva giurata, promettendogli un biglietto di sola andata per Cerume, la mefitica località da cui non si torna; o forse perché il dottore gli aveva diagnosticato una rara malattia del Cinquecento, che aveva il potere di far diventare improvvisamente Daltonici. Timmy, quando non faceva la checca a pagamento su Alvarado Street, faceva il tassista, quindi ecco spiegate le ragioni del mio malessere. Beh, cazzi suoi. Finocchio del cazzo. Comunque fosse, sui miei brividi stavolta ci squillò sopra il telefono. Stavo per rispondere, quando ricordai la massima del mio ex-socio McGiorgetti, Orsus McGiorgetti (ora allettato sotto un buon metro di terra fresca): il telefono significa guai. Sempre. Specie se fosse stata mia madre, o qualche altro della famiglia, avrei potuto aggiungere. Quindi, da sopra, gli svuotai un caricatore Smith & Wesson, e funzionò. Smise di squillare, immediatamente. Tornai a sedere, fischiettando DITO-CULO, DITO-CULO, DITODITODITO-CULOCULOCULO, una composizione di mia recente creazione, di cui andavo particolarmente fiero. La luce, da un’elegante plafoniera della Normandia, sistemata con sobria eleganza nell’angolo sinistro della stanza, vicino alla porta, crepitava che era un piacere. Pagina centoquarantatré del mio libro mi aspettava. Recitava: “I malvagi l’hanno sempre in culo, per questo mi son fatta fotografare il rigoglioso pelo dal mio amico artista-zoppo Ampelio detto il-Cina”. Proseguii nella lettura, avidamente, mentre la mia mano giocava nervosa coi bossoli di UZI che avevo in tasca. È dura fare l’occhio privato, sapete: uno sporco lavoro, i bassifondi da bazzicare, e tutte quelle cose lì, insomma.

Sentii un POC!, un rumore sordo, secco, improvviso ed imprevisto. Alzai la testa. Niente. Sarà stato il vento, e nulla più, mi dissi. Ma la letteratura non serviva mai, in questi casi. E ormai mi aveva distratto, ragion per cui levai il culo dalla poltrona, presi la tazza (vuota) di Giulebbe & Rosolio, e andai in cucina, destinazione lavello. Girandomi, notai che da sopra il frigorifero colava qualcosa. Giallo o forse verde, viscoso ma liquido, passava attraverso la fessura dello sportello che incastonava perfettamente l’elettrodomestico alla cucina. Un fottutissimo blob inesauribile, a giudicare da come scendeva copioso. Febbrilmente, aprii lo sportello. La bottiglia dell’olio di Jano (il mio ultimo cliente, che mi pagava in bottiglie d’olio & masserizie varie) che avevo lì sopra era esplosa, e il liquido gocciolava giù, lento ma costante. Aveva già invaso il pavimento. Provai a pensare a qualcosa che non fosse morte & dannazione, porca puttana lurida & putrida, ora lo vedi che casino che fa quest’olio di merda sul parquet, io non lo volevo nemmeno ma quell’idiota giù a insistere, del tipo ovvia ne prenda un fiaschetto o due, che è tanto buono, poi mi rammenta quando lo mette sul pane, ma vaffanculo lui e tutta la di lui genìa. Ma non ci riuscii. Questo era esattamente quello che pensavo mentre facevo per prendere un pajo di rotoli di carta assorbente per tamponare quel disastro. Quell’orribile e viscido lago giallo-verde si spandeva sempre più. 

Poi, d’improvviso, l’illuminazione. Se mi sparo, pensai, non dovrò pulire questo schifo, e andrò in culo a tutto e tutti, magari pure portando sei di resto. Già, era esattamente così, maledizione. A volte avevo delle pensate grandiosamente lucide. Sì, Cristo Santo; era così che avrei fatto! Rivolsi la canna della pistola verso di me. Alzai il cane, e lo mollai di scatto. Ne valeva la pena. C’era stato solo un rumore, forte ma breve. E nulla più.

Più tardi c’era la ruota della fortuna, e non potevo perdermela per uno stronzissimo olio che colava da sopra il mio frigorifero. Senza contare che così avevo anche risolto i problemi di parcheggio che mi affliggevano ogni mercoledì sera, quando c’era la pulizia strade. E Loretta avrebbe pure smesso di darla al gatto, con la scusa che il cazzo mi sapeva di whisky (anzi, whiskey, specificava sempre – di quello irlandese). E c'avevo pure da pagare svariate taxes.

Non fosse che ero morto, la prossima volta che vedevo Jano, gli avrei detto il fatto suo, a lui e al suo olio di maledettissima merda.
Ma ero morto, dannazione. Riuscite, cazzo, riuscite a capire il mio dramma?

dicembre 06, 2004

E, per quei testoni che si dilettano coi giochi di cani (che, come insegna un noto detto abruzzese che financo EnnioFlaiano riporta, “finiscono a cazzi in culo”), oggi




PARLANO I FILOSOFI


Il filosofo di oggi è:




LOREDANA LECCISO


“ecco, io… insomma, sì cioè… gli insigni giornalisti… vi sembra poco, cari signori?... e quindi… il caso lecciso… egregi signori… e ma stiamo scherzando?... ma voi giornalisti prendete nota, mi raccomando… perché non dovrei fare televisione… mia sorella Erika… sì, beh, allora… Mara… Spinoza si chiamava Benedetto, però in Olandese, questo me l’ha detto Al Bano, che non ho mai capito se si scrive Al Bano o Albano... questo natale mi sono letta il Leviatano di Hobbes… e il caso lecciso… e non c’ho capito proprio un cazzaccio nulla… e la televisione... e m'è sempre piaciuto danzare... e io di qui e io di là...”




Elevate un po’ la vostra testolina di merda con le parole dei sommi filosofi del presente e del passato! Basta con la banalità e la vita presa come viene! Quest’anno, a Natale, ascolta i Filosofi (stronzo, pezzo di merda cacato a forza)!




Domani: Maurizio Costanzo.
Domani l'altro: Fichte & Schelling
Tra tre giorni: Michele Cucuzza
Tra quattro: Napo orso capo
A Natale: Il Dado Liebig

dicembre 01, 2004

Basta col vecchiume!


Quest’anno, a dicembre, fai qualcosa di nuovo…



VAI A FARE IN CULO


(stupido)



E l’albero di natale, una buona volta, fallo in


cartongesso & compensato!!!



Sì, èvverissimo!!! Basta una telefonata, assolutamente non a carico vostro (15 eurini al mEnuto, con scatto alla risposta di 20 – queste son cose che i maligni sostengono, non ci faccia assolutamente caso) alla ditta Testo Sterone Digiuno snc, e otterrete SEDUTA STANTE la possibilità di adornare il vostro salotto (di merda, sicuramente, con divano arancione e rosso, anni ’70, e tanta carta da parati marrone) con un bellissimo albero di natale CC (Cartongesso e Compensato). Funziona così: VOI telefonate, NOI veniamo a casa vostra, e dietro l’esborso di provi un po’ a dire lei? Eh? Provi un po’? no, no dica, via… voglio vedere se indovina… eh? Allora? Dice o no, imbecille? Ok dico io tanto Lei non sa nemmeno levarsi un dito dal culo, d’altronde ecco spiegate quelle mani tutte merdose: 110 euriny luridi e secchi (più il pranzo & la cena, mi pare anche ovvio, che vuol lasciare i nostri operai DIGIUNI?)! Si rende conto, caro il mio parassita della società Testo Sterone Appetibile snc? Eh? Sì, proprio così: i due nostri operaj Culo Sudato e Affare Turgido le busseranno alla porta (se non risponde alla seconda bussata la buttano giù, l’avvisiamo) e le monteranno l’ARNESE! Dove? Ma dove vuole lei, mi sembra chiaro! Saranno per questo provvisti di: a) mandato di perquisizione del KGB sez. Belgrado, non servirà a nulla ma non si sa mai, lascia fare; b) scaleo alto 3 mt. e mezzo per sistemare la punta (ah già, non le avevo detto niente sulla stella dell’albero? Che bambaccione che sono: realizzata in merda purissima di Val di Cairo, essa è oggetto pesantissimo e fine: pensi che è appartenuta nientemeno che a ora non mi ricordo bene chi, ma vedrai qualcuno di importante, che di sicuro ci faceva un uso migliore di quello che potrà farne lei, re degli imbecilli, una volta finite le piacevoli festività!); c) trapano “Marzapane Attilio” (è il nome del trapano, devo dirlo sennò s’offende e non funziona, è permalosissimo) provvisto di tutte le punte possibili (a ferro, a legno, a caldo, a cappuccino) per fare buchi un po’ qua e un po’ là, giocosamente a caso; d) orso bianco al guinzaglio, che fa tanto natale. Il tutto, ovviamente, oltre al materiale all’uopo servente per adornar la sua avita magione di una gemma di festosa belluria. Vale a dire: nr. 1 (uno, ma a seconda: se si viene col 450 fiat, anche due) ribaltabile di tavole 80x80 in cartongesso, da segare e molare; nr 1 (appunto) mola da industria, con seghetto incorporato (che userà lei, senza occhiali di protezione mi sembra giusto, sennò dov’è quel brivido che rende più frizzante la vita? Nel frattempo gli operaj usufruiranno del bagno, magari insieme a quel budello risaputo di sua figlia, trombandola ovviamente ALL'ACQUAJO) per modellare il cartongesso; nr. 43 tavole di compensato di infima qualità (le pare di meritarsi di più, a lei???) per inframezzare e incastrare il cartongesso; nr. 1 stella (o punta) per l’albero, in Merda Nera e stecchi portanti. Postisi all’opra, dopo l’atto matriale di cui sopra (il summenzionato budello), i due operai sistemeranno tutto, nel giro di una settimana o due. Mi sembra chiaro che in quelle tre (ho detto due, prima? Mi perdoni erano quattro!) settimanine, i due poverelli dovranno esser vestiti e nutriti. No, lo dico giusto per dovere; lo so che aveva capito, non mi permetterei mai, cara la mia testa-di-merda.


Se alla fin dell’opra, il risultato non fosse di suo gradimento, non disperi, caro amico (di chi? Mio no di certo; le par che me ne giovi?). Tanto gli operaj avran finito per befana o giù di lì, quindi le festività saranno finite, e così che cazzo gliene fregherà a lei? Eh? No dica un po’? Vuol grane? Ah, ecco... comunque, visto che lei è un tipo rognoso, ho bell’evvisto, basta che dica “no, non mi garba” che Culo Sudato e Affare Turgido la riempiranno di cazzotti, lasciandola poi fuori della porta, ché la sua casa dopo resta a noi della Testo Sterone Satollo snc, mi pare anche il giusto compenso per tanto disturbo.



Su, telefoni veloce (imbecille). Il numero è 347-4655034. Risponderà Grongo, il nostro Negro™ afghano da centralino.


Ah, dimenticavo: buon natale, con la Testo Sterone Digerente snc! E anche un po' buona pasqua!


Saluti, alla su' mamma in particolare.