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dicembre 16, 2005

XXX.
È tutto pronto: parto. Di C.X. (ah, mia adorata C.X.! È tutto finito, dunque?) non ho più notizie, almeno da quando mi spedì l’immagine di mio padre, Manlio Proaskinevic o come diavolo si chiama, ormai. Quindi partirò solo. Ahimè! È l’ennesimo ritaglio buio di questa storia. Da quando io proprio io, Manlio Sacchetti, (ops… no, volevo dire: Manlio Lo Presti), ho messo in piedi il mio sogno, sono successe un sacco di cose molto strane. L’ultima, ieri: ho incontrato Astante Torchia Bernardini, gestore dell’albergo “Gli Astrusi Asterischi d’Astante”, di stelle quattro ma dubbie (in realtà è un misero due stelle, ma si dice in giro che abbia a suo tempo corrotto gli ispettori Michelin, blandendoli con un paio di treni delle omonime gomme, ben sapendo che per quella gente vanesia e superficiale l’avere anche i pneumatici della macchina con stampate le proprie cifre è una tentazione irresistibile), e si è lamentato del fatto che da qualche giorno ha un ospite che perde peli in maniera esagerata, e che da quando c’è lui ha già dovuto far cambiare alla cameriera dei piani quattro sacchi all’aspirapolvere. Inoltre, quello gli ha finito la scorta di Guinness.
Mah.
Qualcosa mi è ronzato in testa per un po’, come se fossero parole di una canzone già sentita, ma poi ho fatto finta di nulla. Solo, mi chiedo sempre come mai l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghe del Mondo non sia venuto all’inaugurazione. È stato l’unico. E poi, soprattutto: come diavolo mi è venuto in mente di chiamarlo, un tipo così? Cosa c’entrava, in tutto il mio sogno? Non avrà chiamato lui, e non ricordo?
Non lo so. Io so solo che devo partire.
L’ultimo sogno che ho fatto (anche questo è un segno ben preciso, direi) è stato del tutto diverso: sopra un palco celeste e rosa, realizzato solo su dei tubi al neon, c’era C.X. Ballava, una scena che ricordava tanto un qualche film con Rita Hayworth di cui adesso non ricordo il titolo. Mentre ballava, canticchiando mi confessava che era stata l’amante del tipo del quale mi aveva fatto avere il ritratto. Vale a dire mio padre. Scusate se è poco.
Potrei vivere in un guscio di noce e credermi re dell’infinito, se non fosse che ho brutti sogni…
Ma non diamo troppo peso ai sogni – C.X., lì, ha anche detto che non vuole essere cercata più: TETRA DISPERAZIONE! – tutto si risolverà: adesso sono qui (uno dei miei sette gatti, Mytridathe II, il persiano antico, è appena saltato sulla mia scrivania, miagolando) che scrivo queste ultime righe prima di partire da Gianfrusto sul Nerchio, in provincia di Zorro, e magari è pure tempo di bilanci. Sì, insomma… ho già venduto tantissimo (soprattutto cacche); ho il mio bel tesserino magnetico viola verde e rosa, la foto del guru degli scherzi (che ho pure, tra l’altro, scoperto essere mio crudele genitore); conto di scalar presto posizioni su posizioni nella graduatoria dell’ALSCAR grazie ai miei geniali suggerimenti, e via così. Un uomo felice, no? Inoltre, ho fatto scoperte rivoluzionare sul cast di Happy Days, e sul modo in cui Winston Churchill consolidò il suo potere in anni difficili.
E poi… ehi, ma che sta succedendo? Qualcuno di fuori mi chiama… sembra la voce di Cristino… l’avevo lasciato in negozio da solo, un’ora fa… che diavolo… cosa sta urlando…
STA BRUCIANDO IL NEGOZIO!
NO! Le mie cacche…
ODDIO!
Le mie cacche… no… brucia tutto… come mio zio… cioè, padre… no… devo andare a salvarle… io proprio io… brucerò con loro… no…
mmmmmmmmmmeeeeeeeeeeeerrrrrddddaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!

(Suore Orsoline o no…)

dicembre 15, 2005

XXIX.
Decisionismo. Ho affrontato mia cugina, a muso duro. Siccome restava alquanto tetragona alla mia richiesta di collaborazione, l’ho legata ad una sedia e ho minacciato di lasciarla in una stanza con l’amabile compagnia di uno stereo (acceso) e la serie completa di cassette (autografate) di Mino Reitano, che Dito possiede e custodisce gelosamente (è un grande fan del cantante – non solo, pare si curino il look a vicenda). Anzi, già che c’ero – sono un perfezionista, io – ho aggiunto pure, come ulteriore minaccia, la presenza di Dito in carne ed ossa (il quale in verità mal sopporta che le sue preziose cassette girino senza di lui). E così mia cugina si è sciolta, subito – ho già detto che Dito ha una cotta per lei? E dunque, ecco qui quanto ho saputo:
è stato mio padre Prohaska a portarla lì quel giorno, ed è stato mio padre a costringerla a fare quel che ha fatto. Per scherzo, diceva lui. Poi il sole e la natura fecero il loro corso. Prohaska, con l’animo leggermente contrito (che bel genitore ho appena scoperto di avere!), fuggì, e la sua nuova missione per la vita diventò quella di continuare ciò che il fratello aveva lasciato: ne assunse il nome, il cognome se lo inventò (scarsa fantasia, direi) e andò ad abitare prima in Croazia (ecco spiegata la desinenza), poi sulle Highland scozzesi, dove creò un alone di mistero attorno a sé, con l’allevamento di Trote e le spedizioni all’USSC di quei moduli rivoluzionari e innovativi per il mondo degli scherzi di carnevale, il 4 di ogni mese.
Ma tutti vogliono dimenticare. Perché io non voglio capirlo? Perché ho voluto aprire un nuovo negozio di scherzi, e con esso anche le vecchie ferite? Perché, ha concluso mia cugina urlando, sono “COSÌ STRONZO DA FAR IMPALLIDIRE ANCHE LA MERDA DEI CANI?”
Mia cugina ha studiato dalle rigidissime suore Orsoline dell’altero convento “Picchia il Capino, Carmelitana” (PCC) di Marina di Zorro. Ogni tanto però non se lo ricorda…
ah, quasi dimenticavo, alla fine ha aggiunto che un’ambizione di mio padre – cosa piuttosto misteriosa e inverosimile, a dire il vero – era entrare a tutti i costi, per qualsiasi cosa o disciplina, nel Guinness dei Primati.
Mah.
Poi ha aggiunto, sibillina, che “quando i gorilla bevono birra, bevono la Guinness dei Primati”, sorridendo beffarda, compiaciuta del suo enigma. Se lo scioglierò, probabilmente, avrò in mano la chiave di tutto.
A questo punto l’ho slegata, e lei, per tutta risposta mi ha mandato “A FARE IN CULO”. Sempre urlando.
Ah, suore Orsoline, riprendetevela…
basta, la situazione precipita. Non andrò nemmeno il 4 del mese a consegnare il foglio all’USSC (lo spedirò – tanto sono SUO figlio!). Alla faccia di tutti (anche dello zoppo, sì…), rintraccerò mio padre, e gli chiederò conto di quello che ha fatto. Tanto più che nel solito sogno, stanotte, si è insinuato anche Dito, che mi canzona senza motivo. Insopportabile.
Ho già fatto le valigie. Sono pronto. L’A-112 del ’78 è calda; ho pure messo in bauliera la mia muta di gechi indiani (da sempre, non posso dormire fuori casa senza la mia muta di gechi indiani al muro, a mangiarmi le zanzare e gli insetti importuni – odio gli insetti, e loro odiano me). Infine, porterò con me anche qualcosa di mio padre, per intenerirlo coi ricordi quando lo vedrò. Ma in cantina, ci sono solo quelle lattine di birra. Guinness, perlopiù.
“Era un grande bevitore di Birra, tuo padre”, ha detto la mamma sorprendendomi lì.
Mah.
L’ho ricondotta su, mentre diceva qualcosa a proposito di “quel maledetto Napoleone” e di Trafalgar Square.

dicembre 14, 2005

XXVIII.
Incontro Limerno Pitocco, a giro senza meta né scopo. Ciondolava, triste. Io tornavo dall’aver appena noleggiato la macchina, per il mio imminente viaggio verso le Highland Scozzesi, alla ricerca del mio presunto padre. L’ho noleggiata spendendo praticamente niente – è bastato impegnare i denti d’oro e il femore di Cristino, per avere un’auto con tutti i comfort del caso: una A-112 del ‘78, con tanto di tettino apribile e posacenere in madreperla, pieno di mentine dure, per di più colorate.
Dicevo, ho incontrato Limerno Pitocco, ed era alquanto giù. Ho chiesto che c’era, e dopo un po’ mi ha confessato che è depresso perché si taglia ogni volta che si fa la barba. Gli ho risolto questo problema, confidandogli sulla questione un importante e risolutivo segreto (che essendo segreto, e per giunta importante, mi pare logico che non scriverò qui…), e lui per gratitudine mi ha confessato una cosa che mi ha alquanto scioccato. Ha cominciato così, con un tono da rivelazione biblica:
“sai perché ci conosciamo tu ed io, Manlio? Perché si conoscevano i nostri Padri & Avi! E perché si conoscevano i nostri rispettivi Padri & Avi? Perché lavoravano insieme. Già, Manlio…” e qui la sua voce, da cavernosa si faceva più morbida, “l’attività della tua come della mia famiglia era tutta nel ramo contabilità!”
Santi Numi, e chi ne sapeva nulla?
“Il tutto finché tuo zio, colui che è morto nell’incendio del primo Dingo Ceruleo – già, perché quello non era affatto uno zio da parte di madre, come ti hanno fatto credere… no, è il fratello di tuo padre, e si chiamava Manlio. Insomma, quando tuo Zio, Manlio Lo Presti, prese la decisione di aprire il negozio di scherzi, tuo padre, Prohaska Lo Presti (tuo nonno, Cilestrino Lo Presti detto Ceruleo appunto, era un grande fan del giocatore, e ai mondiali tifava sempre Austria…) lo canzonò per tre giorni e tre notti. Di fila. Semplicemente, non concepiva l’idea: la contabilità è roba solida, sicura; l’aprire un negozio di Cacche Finte di Carnevale & Affini, no, almeno ai suoi occhi. Ma tuo zio Manlio tirò per la sua strada ed aprì così il negozio, spolverando ogni giorno con allegria le sue Cacche Finte, lì in bella vista sugli scaffali. Inutile dirti che all’inaugurazione – una festa gioiosa con tanto di intervento di un anziano Robert Mitchum, di Moses Malone agli albori della carriera, di Moira Orfei e un sacco di altri personaggi, tra cui anche l’onesto Zac – tuo padre, il fratello di Manlio Lo Presti, non partecipò affatto, assai piccato”.
Quel goffo personaggio che solo poco prima era depresso perché si tagliava a farsi la barba raccontava bene; aveva un tono quasi da cantilena, fiabesco. Seduto su una panchina accanto a lui, quasi mi addormentavo. E lui andava avanti, e la sua voce mi cullava:
“e piccato, Prohaska, lo era soprattutto per una cosa: passavano i giorni e il negozio andava a gonfie vele! Non se ne capacitava, e piano piano diventarono sempre più tesi i rapporti fra i due fratelli. Finché l’uno decise di fare uno scherzo all’altro. Un giorno che l’aiutante di tuo zio al negozio, tale Luiso Di Pasquale, era in ferie (era nato suo figlio, quel Cristino che adesso lavora per te…), tuo padre condusse lì tua cugina, vale a dire la figlia di tuo zio. La prese in braccio e la mise accovacciata su uno scaffale su cui erano riposte in bella mostra – Luiso era di una precisione maniacale – l’assortimento di cacche. La bambina ci lasciò la sua. Prohaska pensava che sarebbe stato bello vedere la faccia di Manlio mentre faceva per prendere e incartare per qualcuno quella che pensava fosse una sue delle tante cacche finte!”
Mi stavo addormentando davvero, nonostante quello là mi stesse illustrando il mio vero albero genealogico. Come mai non riuscivo a star sveglio? Io, proprio io…
“sfortunatamente nessuno gliela chiese mai, e il sole, dietro la vetrina, fece il resto. Dell’incendio, sai già tutto, penso. Quello che non sai invece, è che tuo padre si rese subito conto della gravità dell’accaduto e in lui si fece strada la convinzione che fosse colpa sua…”
(già, come potè mai pensarlo?, mi chiedevo quasi ironico, mentre ormai i miei occhi cedevano al sonno, e nel dormiveglia irreversibile notavo che Limerno prendeva a ravviarsi i peli che gli spuntavano dalle ascelle, e che parevano lunghi, sempre più lunghi, lunghissimi… pareva anche che si stesse sfilando una maschera… e non riuscivo a capire se stavo sognando – e come allineare logicamente, pensavo, tutti questi eventi, e come collocare poi il fatto che mi stesse pure tornando in mente il fatto che Limerno Pitocco era da sempre completamente glabro, e suo padre faceva il ciabattino a Ramazza sul Chiorbo, lì vicino, e non il contabile? Maledizione, c’era qualcosa che non tornava, provai a dirmi, a partire dal fatto che gli avevo lasciato, a suo padre, un paio di scarpe a risuolare e quello non me le aveva mai rese… ma già ormai stavo scivolando nel sogno, nel mio solito sogno, che venne di corsa e obnubilò tutto quello che successe dopo… mi avvolse, e mi avvolse ancora, e ancora…ancora…).
Mi svegliai più tardi, ed ero da solo. Le parole finali che avevo sentito, o così mi pareva di ricordare, erano: “tua madre da allora è impazzita, e pensa ogni notte di essere l’ammiraglio Nelson. Tuo padre ha capito che il futuro sta nelle cacche, e ha preso il nome e l’attività di tuo zio, altrove. NON vuole essere trovato…”
accanto a me c’era un mucchietto di peli, che presto il vento scompigliò via.
Dannazione… che fare, adesso?

dicembre 13, 2005

XXVII.
Si avvicina il quattro del mese, e io ho preparato un paio di suggerimenti e migliorie che consegnerò all’USSC. (ne ho scritte un paio giacché sono figlio di Manlio Proaskinevic – lo confesserò anche a loro!). Roba esplosiva; conto di guadagnarci punti su punti. Poi, partirò per le Highlands scozzesi. Ormai ho preso la decisone.
Ecco di seguito quello che ho scritto nella sezione apposita del 34/a:
1) La Cacca Finta di Carnevale – Versione Morbida: Quando alla stessa persona fate lo stesso scherzo più volte, quella non ci casca più. È pacifico. Se, ad esempio, le fate trovare per casa una cacca finta in terra, la prima volta reagirà con disgusto, ma la seconda già si abbasserà a raccoglierla, senza più timore, e con sufficienza.
Provate allora l’innovazione che propongo: La Cacca Finta di Carnevale – versione Morbida! La prima volta usate una Cacca Finta tradizionale; la seconda questa. Il fesso di turno si abbasserà a raccoglierla, bonario, dicendovi qualcosa come “ah, ah… mi rifai lo stesso scherzo eh? E dagli con le Cacche Finte! Pensi che sia scemo?”
Farà per prenderla in mano e… Ops! Stringerà qualcosa di morbido! E diventerà verde di raccapriccio & schifo, per qualche istante, e voi avrete la Vostra agognata rivincita!
(Disponibile anche in un’ulteriore versione: Morbida e Odorosa, per una spassosissima terza puntata! Già, irrorata da un’ottima fiala puzzolente! – in questo caso ho proposto la vendita in una confezione sottovuoto, così per conservarne l’odore; oppure una confezione con tanto di fiala a parte, da versare sulla cacca a tempo debito);
2) Formaggio per i Vostri Spaghetti: Quante volte a tavola avrete chiesto un po’ di formaggio grattugiato da mettere sopra i vostri spaghetti, da buoni Italiani spaghetti-pizza-mandolino-baffineri-mafia, con tanto di mento sporco di sugo e canotta decorata con cospicue medaglie d’unto! (bella questa parte, suggestiva – eh, sì, son proprio pöeta!). Se procederete alla sostituzione del tradizionale formaggio con questa polverina gialla che lo imita alla perfezione, saranno garantite le risate, per tutti! Il malcapitato spolvererà copiosamente i suoi spaghetti di (crede lui, il tapino!) Parmigiano Reggiano o Grana Padano, e come per magia, gli spaghetti diverranno un pappone unico e schifoso, assolutamente impenetrabile ad ogni forchetta, del tutto immangiabile. Difatti la particolare composizione chimica di questo falso formaggio aderirà compatta al glutine presente nella pasta, formando sopra di essa una crosta spessa un dito, assai spassosa! Lì per lì lo smarrimento si impadronirà del commensale, e lo smarrimento poi cederà il passo ad una irresistibile ilarità.
Controindicazioni: dopo, gli spaghetti sono da buttare. Le esalazioni venefiche della sostanza inoltre, pare facciano diventare biondi. Ma questo non lo si dice. MAP Docet!
(La trovata, dal punto di vista della realizzazione della sostanza, è di Vinnegard Batrace, il mio chimico di fiducia, il quale ha lavorato per anni nei laboratori dei NAS sez. di Stramazzo, sbattendo la porta quando ha scoperto che le sue ingegnose trovate non erano usate dagli 007 locali, ma solo dalle Fiamme Gialle per farsi due risate alle loro feste private. Quindi, per sfogo & denuncia, è andato a pestare i calli a qualche caporione della sezione, il quale lo ha subito destituito, anche perché non sta bene, ha aggiunto questo, “che Lei mi monti sui piedi così, che mi fanno anche male, tra l’altro… senza contare che così la Sua faccia è a cinque centimetri dalla mia, e la mia segretaria, fuori può pure pensare che ci stiamo baciando! Virilità, anzitutto, almeno per i fulgidi tutori della legge!”).

dicembre 12, 2005

XXVI.
Sono prossimo alla pazzia. Quel maledetto sogno continua a tormentarmi. Di più, si arricchisce ogni giorno che passa. In origine era solo un comunissimo incubo, in cui mi appariva qualcosa di molto simile ad uno spettro, con dei serpenti per capelli, ed enormi ragni scuri al posto delle mani (avvicinandomi, però, scoprivo che erano serpenti e ragni di gomma, di carnevale). In faccia, assomigliava vagamente ad un visone, ma con la barba. Lo spettro rideva, e dopo un po’ cominciava a tossire e grattarsi dappertutto. Questo, finché si dissolveva. A questo punto dal nulla guizzava una trota, una bella trota fario, grossa e sana. Nemmeno un’iridea o una salmonata: no, una trota fario, la quale pensava bene di dirmi, con voce cavernosa (non si pensa mai a che tipo di voce possa avere una trota fario, almeno finché questa non si decida a parlarti – veramente sorprendente): “PARTI, FESSO!”
Poi, qualcosa è cambiato, man mano che i giorni passavano: dapprima, a condurmi al cospetto dello spettro compariva un vecchio zoppo, ravvolto in un tabarro unto, da straccione; poi allo spettro si è sostituito l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo, che col tempo teneva stretta a sé la mia vedovella preferita (ah, mia C.X.! Come puoi farlo? Non con uno come lui!); finché ecco come mi si propone al momento – e sono comunque pienamente consapevole del fatto che anche stanotte potrebbe essersi già rinnovato. Angoscia, angoscia tremenda.
Provo a raccontarlo, per farne esorcismo:
è il quattro del mese, ed io busso ad una porta enorme. Ho indosso la mia vestaglia d’ordinanza. Viene ad aprirmi uno zoppo piuttosto malconcio, tutto coperto da un razzimato tabarro. Mi guarda e mi dice, beffardo: “alla faccia dello zoppo!”, poi mi fa cenno di seguirlo. Mentre mi conduce da qualche parte (e io so già dove andremo), si gratta frenetico, e ad ogni passo pesta una cacca di cane. Ogni volta si gira, e ammiccando mi dice: “meno male che è finta!”. Poi scompare. Dal niente allora appare l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo. Mi guarda, comincia a ridere beffardo, e allunga un braccio nel buio che lo circonda. Lo ritira pieno, vale a dire con avvinghiata ad esso C.X., la quale ha ai piedi un paio di coturni rosa (le stanno a meraviglia, va notato). Dopo avermi detto qualcosa che ogni volta non riesco a ricordarmi, paiono sparire entrambi a bordo di una nave, mentre C.X. pare baciarlo. Io, qui, solitamente comincio a piangere copiosamente. La nave è guidata da Winston Churchill, e invece che nell’acqua, naviga per una verdissima e folta foresta shakespeariana, foresta dalla quale escono un visone inseguito da un feroce dingo azzurro, un coniglio bianco, e Ralph Malph (Donnie Most) con i capelli in fiamme. Quindi si fa buio, e appena i miei occhi si abituano all’oscurità mi ritrovo faccia a faccia con una persona che ogni volta stimo essere il cav. Aperitivio Terrazzy, e invece è Roberto Malone. Quest’ultimo mi mette in mano – dannazione: di tutti, proprio lui? – una boccia di vetro, dentro la quale Ares Tavolazzi & Ellade Bandini stanno amabilmente nuotando. Non c’è acqua lì dentro, ma solo la mia salsa Crescione & Bottarga. Guizza un elefante, con Moira Orfei in groppa, e quando è in aria mi sputa in faccia una trota (l’elefante, non Moira Orfei, che non si permetterebbe mai, ammetto). La trota è Fario, ancora. La scaccio con la mano, e quella, da terra, mi spara questi versi:

Amor è que’ che mi guida e conduce
nell’opera la qual a scriver vegno;
Amor è que’ ch’a far questo m’induce,
e che la forza mi dona e lo ‘ngegno;
Amore è que’ ch’è mia scorta e mia luce,
e che di lui trattar m’ha fatto degno;
Amor è que’ che mi sforza ch’i’ dica
un’amorosa storia molto antica.

Prima che possa riconoscerci il Ninfale Fiesolano di Boccaccio, la voce nasale di Valentino Zeichen (la riconosco ogni volta!) stride: “Parti, e raggiungi tuo padre!”
Così, ovviamente, sciupa la metrica, inzeppando un ottonario che nulla c’incastra con la serie di endecasillabi troteschi di poco prima, ma questo lui non lo sa – d’altra parte, il Quattrocento è finito da un pezzo… gliel’ho pure detto non so più quante volte. Senza contare che il Ninfale Fiesolano è pure del secolo prima.
Devo partire, devo andare alla ricerca di mio padre. Il mio PRESUNTO padre! Solo, vorrei tanto che C.X. venisse con me! Ma è come se non esistesse più. Che sia stata un sogno, anche lei?


dicembre 10, 2005

XXV.
Qualche notizia sparsa, prima di dar conto di un sogno che mi sta angosciando da un po’.
Ho saputo da fonti che non posso citare (in realtà me l’ha raccontato Dito – ok, non avrei dovuto dirlo, ma tanto lui è un povero mentecatto…) che ad aizzare Gianfrusto contro di me è stato Glenn P. Strömberg, il quale a tempo perso fa il sindacalista. Razza Dannata! Bel ringraziamento per aver letto e diffuso il suo libro! Beh, diciamo che qualche fialetta puzzolente nascosta nel di lui frigorifero, in Finlandia, dovrebbe esibirgli tutta la mia gratitudine! Manderò Limerno, appena la compagnia aerea Mule Lines di Staziona sul Pìloro (CX – ah, mia adorata C.X.! Dove sei?) si decide a risarcirmi l’abnorme debito che il loro direttore ha contratto verso di me, a dadi.
Inoltre Barkley, dagli USA, mi sta oberando di e-mail. Vuole, fortissimamente vuole, la ricetta della mia salsa Crescione & Bottarga. In segno di amicizia mi ha mandato una sua ricetta, che si chiama Timballo di Totano e Taleggio (Taleggio & Totano’s Timballo); ma io non cederò. In primis, perché è un segreto tramandato da generazioni, e poi perché Barkley non è sincero: l’American Way to cook anything: part 12 (ho tutta la raccolta, nella biblioteca di famiglia) riporta una ricetta assai simile. Soltanto, c’è il Mulo al posto del Totano (Mule & Taleggio’s Timbals). Che disonesto! Mi sono pure accorto che mi ha fregato il mio aspira-briciole da tavola preferito, dono di uno scià di Persia amico di un mio avo.
Ah, a proposito… io & il mio fòndaco siamo stati inseriti sul sito dell’ANSIA! Ci doveva essere qualche osservatore in incognito, alla mia festa d’inaugurazione. Ha parlato benissimo di tutto, dagli elefanti di Moira Orfei (non di lei, però, che ha definito “la tronfia e supponente Moira degli Elefanti”) a Cristino (“solerte e ligio commesso, il dipendente che ogni mastro di bottega vorrebbe sempre avere – mèches a parte”), e raccontando infine con una finezza di penna pari al barone Vivant Denon, l’episodio del cane di Giacometti. Invero, ho dei sospetti sull’identità di questa persona: alla festa era presente anche il noto pornodivo Roberto Malone, il quale girava sempre con un taccuino in mano, e ogni tanto ci scarabocchiava qualcosa sopra. La cosa mi ha fatto venire dei dubbi, dubbi che sono alquanto aumentati allorquando, ieri, Capogrossi ha telefonato, e parlando è venuto fuori che il secondo lavoro di Roberto Malone (e di molti altri divi dell’hard, a quel che dice lui), è quello di osservatore per molte riviste specializzate.
Maledizione, però… quel sogno mi avvelena i giorni e le notti. Riguarda mio padre. Il mio PRESUNTO padre…

dicembre 09, 2005

XXIV.
Il mio amico Gianfrusto Pupazzy si fa vivo. O meglio, dovrei dire forse ex-amico, visto che vuole a tutti i costi esser pagato, e parecchio. Gli ho offerto una notte d’amore con Cristino (di cui ovviamente, in quanto mio dipendente, dispongo a mio piacimento): lui ha accettato; ha consumato, e adesso fa finta di niente, tornando a batter cassa. Gli ho detto di stare attento a non tirare troppo la corda, ché questa prima o poi si spezza, ma lui non dà ascolto. E allora non mi lascia altra scelta: divulgherò il suo Terribile Segreto (!). In questo mi farò aiutare dal commendator Caloggero LoVòi, lo quale – cioè no, il quale – si è detto dispostissimo, e si metterà all’opera per stampare 1600 volantini, che farà spargere sul paese da un aeromobile di sua proprietà, guidato da un discendente di Gabriele D’Annunzio che, come l’avo, tanto adora volare e far di queste cose.
Ecco il suo Terribile Segreto, come apparirà di qui a poco sul volantino:

Gianfrusto Pupazzy, pittore in conto terzi e riparatore di molle da orologi belga, ha sulla coscienza un orribile delitto! Quando lui e la moglie, tale Gasparetta F. Zepponi, per l’appunto in Pupazzy, di anni 31, segno dell’accendisigari ascendente mensola, e capo-contabile presso la ditta di cani a rate “C. Lupo” (ove C. sta per Cane, è chiaro), abitavano un appartamento dello stabile di proprietà della povera Isolina Miconi, ved. Terrazzy, avevano un cane lupo (portato a casa ovviamente dalla Zepponi in Pupazzy, che lo aveva acquistato al lavoro, ovviamente a rate, e ovviamente al prezzo di acquisto e non a quello di realizzo, d’altra parte la contabilità non è un’opinione – pare in realtà che l’avessero comunque truffata, e che il sedicente cane Lupo, dal nome invero un po’ frou-frou di Django Filippo, fosse in realtà un incrocio tra uno spaniel di terra e un gargoyl di pietra, e che fosse venuto cane lupo solo per effetto del caso, ma questo è altro discorso), amabile ma vivace bestiola che tenevano nel loro pezzo di giardino.
Nella parte, opportunamente recintata, della padrona di casa, invece, scorrazzava quasi libero – perlopiù stava in una gabbietta, per motivi che adesso andrò a spiegare – un coniglietto nano, bianco, rispondente al nome di Flagèllo Rotùleo (il nome gliel’aveva dato il nipote della Miconi ved. Terrazzy, Bruto I, incline a vezzosi giochi di parole). Flagèllo Rotùleo aveva come hobby l’arrampicata sulla rete da giardino, cosa che gli valeva ogni volta gli alti lai della vecchia, che lo vezzeggiava come solo le vecchie signore sole sanno fare con i propri animaletti domestici, ma che al contempo aveva anche gran paura che la bestiola fuggisse.
Ciò per quanto riguarda l’antefatto.
Un giorno, la Zepponi in Pupazzy sente il cane raspare alla porta di casa. Va ad aprire e – spettacolo orribile! – il cane Django Filippo ha in bocca il bianco coniglietto. Un tantino morto stecchito, e tutto sporco di terra. Orrore, brivido e raccapriccio si impadroniscono della dolce metà di Gianfrusto (in realtà pare che lei già lo tradisse, praticando l’arte del libero maniglione a tutti quelli il cui cognome iniziasse per F. – da qui anche, forse, quella criptica iniziale nel suo nome per esteso, Gasparetta F. Zepponi-Pupazzy): “oddio, oddio… la vecchia ci caccerà di casa! Finiremo in mezzo a una strada!”
Da qui ad allertare Gianfrusto il passo è breve. Insieme partoriscono un’idea: poiché Flagello Rotuleo non presentava segni di morsi di cane, lo avrebbero ripulito alla meglio, e lo avrebbero rimesso di nascosto nella gabbia. In fin dei conti, la vecchia, finora non si era accorta di niente. “Quando andrà a dargli da mangiare, domattina”, argomentava un lucido & calmo Pupazzy, “lo troverà morto nella sua gabbietta in giardino. Tutti i conigli, prima o poi muoiono. E perlopiù, lo fanno per cause naturali!”. Inattaccabile.
Così fecero. Il giorno dopo, tornando dal lavoro (aveva riparato tredici molle per orologi, quella mattina, e dipinto una copia dell’Annunciazione del Beato Angelico, che un tale del vicino paese di Rimbalza val di Bosforo – fraz. di Frullo, a sua volta prov. di Zorro – voleva per farsi bello agli occhi dei suoi stolidi amici, dichiarando che il sig. Angelico Beato era suo amico intimo, e che quel DIPINTO l’aveva fatto per lui, pochi anni addietro), Gianfrusto trova l’ambulanza, di fronte a casa. Sirene accese.
“Ecco”, pensa il Nostro, “la vecchia ha trovato il coniglio morto, e il suo cuore non ha retto!”
Ed era così.
Più o meno, però… giacché pare che la Vecchia, poco prima di spirare e farsi accogliere in paradiso purgatorio od inferno che fosse dal di lei marito Aperitivio Terrazzy, cav. del Lavoro e anche (pare) del Sacro Graal, continuasse a ripetere in stato di semi-incoscienza, ai barellieri che cercavano di rianimarla:
“non è possibile! L'avevo seppellito ieri mattina!”

E questo è quanto. Aggiungiamo solo che poco tempo dopo, la famiglia Pupazzy-Zepponi si sfasciò. Evidentemente, non poteva reggere la pressione di sì terribile segreto! I coniugi litigavano ogni giorno di più, ed il cane Dijango-Filippo non obbediva più a nessuno dei due, ristagnando in un’atavica apatia che pareva proprio venirgli dalle sue origini gargoylesche. La goccia che fece traboccare il vaso però furono le vacanze. La Zepponi in Pupazzy voleva un mare con riviera sabbiosa; Gianfrusto esigeva lo scoglio.
“Andiamo in Croazia!,” ripeteva con animo inasprito ed amaro quest’ultimo.
“No!”, si ergeva fiera e altera la moglie.
La cosa andò avanti così per un po’, finché poi Gianfrusto si fece prendere dal bruciante sarcasmo: “senti, ho un’idea: perché non andiamo in Croazia ed aspettiamo, per duecento-duecentocinquant’anni, che il mare eroda gli scogli? Poi c’è sabbia anche lì!”
La moglie non gradì. Il giorno dopo già l’aveva lasciato, portandosi via i vestiti, la macchinetta per fare la salamoja (cosa, questa, che addolorò l’ormai ex-marito, il quale si nutriva quasi solamente di alimenti in salamoja, per convinzioni etiche maturate dopo aver letto – e frainteso, parrebbe, almeno ad una prima occhiata – il Trattato sulla Tolleranza di Voltaire) e ovviamente il cane lupo a rate Django-Filippo, che per inciso Gianfrusto aveva appena finito di pagare.”

Ah, il dolce sapore della vendetta!

dicembre 08, 2005

XXIII.
Primo giorno vero di apertura: ma ho avuto solo il tempo di attaccare, come da tradizione, il ritratto di Proaskinevic nel retrobottega, e poi sono dovuto correre al carcere della vicina Torricella Bottaja (presso il torrente Inganno, provincia di RGQ), per pagare la cauzione a Barkley, che domenica ha pestato chiunque si avvicinasse alla salsa Crescione & Bottarga. La cauzione è stata piuttosto elevata; ne ha pagata la metà Al Pacino, impegnando così tutto il suo cachet ricevuto per uno dei suoi film peggio riusciti, People I know. Nel frattempo, il dott. Marcello Melassa sposato Buccianti sta applicando la giusta dose di mignatte per salassi (miglior cura da sempre e per qualsiasi cosa, secondo lui) ai malcapitati. Lui lo farò pagare con un abile raggiro contabile da Limerno Pitocco, spillando quattrini dal conto corrente di Dito, lo scemo del paese (personaggio che gira sempre con un chiodo in simil-pelle, borchiato ma rugginoso, sul quale lui ha scritto, rigorosamente a gesso bianco, di quelli per lavagna: “THE FALCON”. Quando piove è sempre un dramma, poveretto…).
Inoltre gli elefanti, ballando il ragtime, hanno provocato ingenti danni alla strada e alle infrastrutture in genere, e il neo-sindaco di Gianfrusto, on. Achille Totaro (che ha stravinto una sessione elettorale lampo, e adesso me le vuol far scontare tutte, il permalosone), ha chiesto un conto salatissimo. Ovviamente, Moira Orfei fa orecchie da mercante, al riguardo.
Mi ossessiona il fatto che Manlio Proaskinevic sia mio padre. E la mia vedova di Ampelio sul Lago è come sparita nel nulla! Domande mi si accavallano nella mente: mio zio, quello che morì nel primo Dingo Ceruleo, era suo fratello, allora? E l’allevamento di trote? Cosa gli dà da mangiare? E che fine aveva fatto l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo?
Maledizione, mille volte maledizione! Devo saperne di più.
Comunque ho venduto già 237 cacche finte di carnevale. Cavalcare la tigre. Degli altri scherzi non mi curo nemmeno più. Cristino è abile venditore, anche se si è rifatto le mèches.

dicembre 07, 2005

XXII.
E venne il giorno della festa. Dall’alba, uno stuolo di persone lavorava, indefesso: nonostante i rispettivi rifiuti, i vari Burri, Giacometti (che aveva portato pure il cane, Filippo, bestiola assai acuta & carina, peccato fosse di scarsa collaboratività e, soprattutto, pesasse 80 kg, ovviamente a secco, cosa che non ci ha certo favorito quando – sia stato il caldo, o magari la noia, chissà – ha deciso di fare un tuffo nella vasca del ponce, raggiungendo così il rispettabilissimo peso di 130 kg), Pomodoro (giunto insieme a Piero Manzoni – sì proprio quello della “Merda d’Artista”… beh, insomma poteva mancare?), sono accorsi in aiuto, e lì mulinavano le loro gambette che parevano unti dal Signore Domineddio Nostro. C’era anche Valentino Zeichen, e se ne stava in un angolo, ancora imbronciato per il nostro recente battibecco; mi ha confessato di avere provato e riprovato a mettere insieme l’ottava che avevo chiesto – le occhiaie che gli cerchiavano l’occipite ne erano il miglior testimone e alleato. Intenerito, ho abbassato un attimo la guardia, e lui ne ha approfittato per mettermi in mano un foglio: “sa… intanto ho buttato giù qualche verso libero… no, mica vuol dir nulla, per carità, ma magari, intanto, mentre penso all’ottava, ci dà un’occhiata, così, per farsi un’idea… in fondo non mi sembra male, io intanto provo, se poi magari andasse bene anche così… insomma, capisce…”
anche in imbarazzo, il mariuolo cercava di uccellarmi! Notai che mentre parlava torturava qualcosa con le mani, dietro la schiena. Ho cercato di vedere cos’era, ma è stato rapido nel nasconderla. Capogrossi, che passava di lì con due vassoi di focaccine origano lampredotto & nutria d’Arno che avrebbe sistemato di lì a poco sulla tavola da rinfresco a centro sala, mi ha fatto cenno di lasciar perdere. Dopo, mi ha spiegato che si trattava di Orso, il coniglio di peluche che Valentino Zeichen porta con sé quando è nervoso, e che lui si ostina a chiamare Orso per motivi tuttora oscuri.
Cristino, il quale per l’occasione sfoggiava la classica pettinatura detta “schiaffo” (ogni giorno che passa sono sempre più perplesso relativamente alla virilità di Cristino), freneticamente saltellava con movenze da Colibrì di Maremma, ritoccando piccolezze stilistiche e suggerendo cosa era meglio e peggio in ambito di posizionamento dei fiocchi sugli scaffali.
Al Pacino conversava amabilmente un po’ con me, un po’ con Emilio Vedova (ah, mia C.X., la sua presenza è stata una vera tortura per me! Ho dovuto, per non pensarti troppo, chiamarlo sempre per nome, Emilio; e quello secondo me si è offeso, perché è uno – me l’ha detto Capogrossi, che pare sapere un po’ tutto di tutti – che a queste cose ci bada, e assai), e un po’ con Manzoni, il quale, piuttosto crudelmente direi, gli ha fatto credere di essere l’altro Manzoni, quello dei Promessi Sposi. Al Pacino era rapito, e continuava a ripetere, sbattendo gli occhi ammirato, nel suo italiano stentato: “questo matrimonio non s’ha da fare! Né domani, né mai!”. L’ingenuo.
Indi è arrivata la famiglia: cognati, cugine, sorelle, zie. Con il resto del menu da inaugurazione: oltre alle focaccine c’erano i crostini al burro di Persia (ricetta segreta di mia cugina – quella di otto anni, nessuno ha mai avuto il coraggio di chiederle come li fa), le tartine jena & trucioli, le coreografiche e delicate Pizzette sull’Orso (il quale, poi, è scappato in preda al panico furioso, lasciandoci così solo le pizzette, subito dopo che Giacometti è scoppiato a piangere. Capogrossi, al proposito, mi ha spiegato che lui si commuove sempre, alle feste), e infine i cornettini salati ventresca e scaglie di porfido. Il tutto accompagnato da tre vasche: una piena di Ponce al Mango, l’altra di spuma bionda, e l’ultima di raffinatissimo Angel Face. Ovviamente, non poteva mancare una bella zuppiera della mia salsa Crescione & Bottarga, al centro delle tavolate.
Così abbiamo atteso le 16 – orario di apertura rigidamente previsto dall’ALSCAR per tutti i negozi di scherzi di carnevale – amabilmente intrattenendoci, (insuperabili, al proposito, gli sketch a due di Piero Manzoni e Rotella). Il “Dingo Ceruleo” stava per nascere. Emozione. Gaudio. E, nell’attesa, sono arrivati: Ellade Bandini & Ares Tavolazzi (che viaggiano sempre in coppia, un po’ come Onoma & Rema), Moira Orfei, gli elefanti di Moira Orfei (non c’era Jazhir – lei mi ha detto che l’ha venduto, ma giuro che questa è l’ultima volta che invito o parlo con Moira Orfei!), Gianfrusto Pupazzy con il mio commercialista Limerno Pitocco, e infine l’on. Achille Totaro. Giacometti, di tendenze politiche tutt’altro che simili alle sue, ha pensato bene di aizzargli il cane Filippo, che invece di sbranarlo, ha a sua volta pensato bene di assaggiare il mio ponce, come ricordavo poco sopra. Le vasche utilizzabili sono così diventate due, e noi ci abbiamo guadagnato un cane ubriaco di 130 kg., che per tutta la durata dell’inaugurazione ha impazzato per il negozio e dintorni, seminando terrore & distruzione. Achille Totaro è scappato, e non ho potuto nemmeno fargli uno scherzo. Prima che Giacometti liberasse il cane, avevo solo potuto dargli un sigaro esplosivo. Abbiamo sentito un botto otto minuti più tardi, dalla strada che portava fuori dal paese. Siamo stati tutti molto soddisfatti, poi ho mandato Al Pacino a vedere che fine aveva fatto.
Quindi sono arrivate le 16, e la festa è iniziata. È arrivata la banda del paese, che suonava un ragtime di Scott Joplin. Gli elefanti ballavano a tempo, aggraziati. Moira Orfei no. Ci saranno state… non so… 1573 persone, nella piazzetta davanti. Il Dingo Ceruleo dell’insegna, ad un comando di Mimmo Rotella, si è acceso, tutto celeste e rosa. Io, pareva avessi un cucchiaino di zucchero nel cuore. Sono salito in soffitta, e da lì sul tetto del mio negozio-già-deposito-di-navi, e mi sono goduto lo spettacolo per un po’. Tutti si abbuffavano di tartine e crostini, e bevevano, e io rimanevo lì, in attesa di non avrei nemmeno saputo dire cosa. Ho sentito la voce di Cristino che mi chiamava; è salito sul tetto e mi ha dato un pacco a tubo, andandosene. Ho aperto: era il ritratto di Manlio Proaskinevic! Il cuore mi batteva, niente più ombra di zucchero. C.X. dietro aveva scritto, col rossetto (che peraltro non usa mai, cosicché la cosa dava assai maggior risalto all’evento): “questo è tuo padre. Mi manchi davvero…”
Dannazione. Il vento mi ha sferzato il viso. Poi mi sono accorto che non c’era affatto vento, ero solo io che stavo cadendo giù dal tetto. Fortunatamente sono caduto sul cane ubriaco di Giacometti.
Vedova (ironia del destino) mi ha tirato su. Mi ha presentato un tipo biondo, coi capelli lunghi lunghi che parevano spade: era Glenn Peter Strömberg, che siccome ha il dono della lucentezza, mi aveva “sentito” leggere il suo libro. Seppur corrucciato dal fatto che lo leggessi in traduzione – “orribile!”, ha garantito lui – ha comunque deciso di venirmi a trovare, per rendermi omaggio. Aveva portato con sé il suo cane, un spaniel turco di nome Achille, come Totaro, che appena l’ha saputo si è impermalito ed è riscappato via, con gran rammarico di Al Pacino, che l’aveva appena ritrovato e ricondotto lì. Stavolta abbiamo deciso che bastava così. E poi, lo avevamo appena spruzzato ben bene di polverina irritante…
“ma Lei non doveva essere morto?”, ho chiesto con discreto tatto a Strömberg. Lui non ci ha fatto caso, si è ravviato i lunghi capelli, e si è mescolato alla festa. Che continuava. Barkley ha passato la giornata cercando di rubare la zuppiera di salsa Crescione & Bottarga. Che dia una qualche forma di dipendenza?
Io, nell’ebbrezza, pensando un po’ al ritratto in mio possesso, un po’ alla notizia sconvolgente ivi vergata col rossetto, ho venduto un MAP ad un ragazzino coi capelli rossi. Speriamo bene…

dicembre 06, 2005

XXI.
Suonano il campanello, e vado ad aprire.
“SORPRESAAA!”, grida sguaiatamente la figura pesantemente incappottata che mi trovo davanti. È Al Pacino. Ci abbracciamo calorosamente, poi lui, ammiccando, mi fa:
“Guarda chi ti ho portato!”
E si scansa dalla soglia. Abbassandosi per non picchiar la testa, entra un omone che pare non finire più. È Charles Barkley, che si sfila gli occhiali neri, e con un’occhiataccia intorno delle sue, manda uno dei miei 7 gatti (Papègo, per la precisione, il mio gatto ellenico) a nascondersi sotto il divano. Mi stritola quasi, per salutarmi, mentre tutto il rumore ha attirato gli altri abitanti della casa: mia cugina, i miei due cognati con tanto di sorelle, bambini varî, mia madre. In particolare, la figlia di mia cugina (che adesso non so bene se può dirsi nipote, o bis-cugina, o semplicemente cugina anche lei), esclama, indicando Al Pacino:
“Mamma, guarda… Robert DeNiro!”
Ha otto anni, questa qui, e la scaccio con un calcio, per evitare altre figure. Al Pacino fa finta di non sentire, ma dentro di sé si vede bene che ha accusato il colpo. Ha sempre avuto il complesso di inferiorità nei confronti di Robert DeNiro, perché ha vinto meno Oscar di lui. E poi, pare sia geloso del fatto che DeNiro riesce ad assorbire meglio i colpi dell’età. Per non parlare del discorso relativo a quella maledetta parte ne Il Cacciatore. Ma questa è un’altra storia.
Comunque sia, guido i due ospiti a sorpresa per la casa, non ancora rendendomi conto di cosa stia succedendo (in effetti li aspettavo per il giorno successivo, ma una telefonata sardonica di Al Pacino, da San Francisco (sic!), in cui mi diceva che stavano partendo e che mi avrebbe portato una sorpresa, mi avrebbe dovuto mettere in guardia – in realtà, erano appena arrivati a Roma; ma questo l’ho scoperto solo dopo).
Resta il gran problema di dove sistemare Barkley, ma lui insiste a dire che dormirà nel garage. Lo vuole assolutamente vedere subito, e non capisco bene il perché. Ce lo porto; lui sistema un giaciglio in un angolo, e poi prende a frugare nel suo borsone. Tira fuori un trapano, quattro tiras del 16, e tutto di colpo mi si fa chiaro: si ricorda ancora dell’ultima volta! Non mi chiede neanche una scala, e comincia canticchiando a forare la parete esterna del mio garage. Al Pacino guarda compiaciuto, stropicciandosi le mani nella sciarpa di cachemire bianco. Fatti i fori, torna al borsone e tira fuori un canestro, e un pallone regolamentare NBA. Dannazione! Dovevo saperlo che quelli come lui se la legano al dito: anni fa – lui si stava giocando l’anello contro i Bulls – lo battei in una serie di memorabili One-to-One, a Los Angeles, nel campetto in asfalto della villa di Al Pacino (che faceva da arbitro). E non me l’ha mai perdonata.
(Ricordo che ogni volta che andava a canestro mi gridava in faccia: “NOBODY CAN GUARD MEEE!” per intimorirmi. Ricordo pure che, frustrato, volle provare anche un due contro due, chiamando per questo suo cognato – uno squallido botriòne intellettualmente nullo o comunque assai tardo dell’Arizona, che aveva come passatempo quello di bere birra e giocare a snooker – gabellandomelo per fenomeno incompreso, e lasciando a me Al Pacino. Riuscirono a costringerci all’overtime ma, mi sembra chiaro, la colpa fu tutta di Al Pacino, che sbagliò, a quattro dal termine, i due liberi decisivi, ottenuti per un discussissimo tecnico – gli aveva ruttato in faccia – fischiato al cognato di Barkley).
“Giocheremo domani”, faccio io, “sarai stanco”.
Ma Barkley pare non volerne sapere e si sfila la maglia. Sotto ha il 34 dei Phoenix Suns, proprio la maglia di quei tempi. Mi tira il pallone con fare minaccioso, gridando “COME ON!” (ma Barkey urla e basta? mi chiedo io), ma per fortuna mio cognato, quello che mi ha ceduto il fondo, viene a chiamarci per la cena. E quindi andiamo. Il giorno prima avevo preparato una deliziosa salsa Crescione & Bottarga, ottima per tartine e come sugo per la pasta. Barkley impazzisce per il suo gusto delicato e se la spolvera tutta. A tavola lo guardano allibiti, tranne Al Pacino, che lo conosce, e che poi mi sta tempestando di domande riguardo all’imminente apertura del mio negozio. Per farlo contento, provo alcuni scherzi, prendendo come cavia Barkley, il quale ormai è ridotto ad uno stadio di devozione schiavesca & catatonica dalla mia salsa. Lo faccio bere dal falso bicchiere (e sarebbe ancora lì che ci prova, se non glielo avessi sfilato di mano dopo una mezz’oretta buona), lo infiammo accendendogli un sigaro col MAP (tanto Barkley è già rapato di suo), lo ricopro di scorpioni di gomma (ma di quelli motorizzati, che si muovono, e lì Barkley, salsa o non salsa, diventa bianco…), ecc ecc.
Poi tutti a letto. Nella notte, sento singhiozzare dalla camera accanto.
“Oh, Gesù”, sospiro, “ospiti!”
Mi infilo la mia Vestaglia del Mercante di Scherzi (la vestaglia di ordinanza, grazioso regalo di Caloggero LoVòi della Carnasciali Gioiosi srl), e busso alla sua porta. Solita crisi notturna di Al Pacino, che rimpiange i tempi passati.
“Perché? Perché il tempo è così… mai più Toni Montana”, confessa tra le lacrime, con pause a effetto, “…una volta ero Carlito Brigante, e Mike Corleone... e poi il colonnello Frank Slade, altri mille, e anche di più… e adesso tutto è andato… sono bastati pochi anni… capisci? E quel maledetto Robert DeNiro… cosa ha più senso, così? dove vado a finire? Il tempo è…”, e tira pesantemente su col naso. Magari Barkley è in garage che ronfa, penso.
Coccolo Al Pacino nemmeno fosse la mia vedova di Ampelio sul Lago (ah, mia adorata C.X… che farai ora?), al chiaro della luce lunare che entra dalla finestra, e cerco qualcosa da dire. In realtà, so benissimo che gli passa dopo poco, in genere.
“È così, è la vita, dai... tu non pensarci… e poi Frank Slade era già un personaggio di mezza età”, butto là, così per ridere. Ma non fa effetto. E allora rincaro la dose:
“ognuno ha i suoi problemi… guarda me. Solo ora riesco nel sogno della mia vita, ma mica è tutto a posto. Sai che quasi ogni notte, qui, mia madre va a giro per la casa con un pareo celeste e io devo inseguirla dicendole: no, mamma, no; non sei il fantasma dell’ammiraglio Nelson, torna a letto!”
Questo invece fa effetto, e Al Pacino si calma, sdraiandosi. Faccio per andarmene, ma lui mi chiama, e commosso mi porge un suo Oscar (li porta sempre con sé, tutti quanti), per ringraziare. Rifiuto, e torno a letto. Il giorno dopo c’è la rivincita con Barkley, e bisogna esser riposati.
Difatti…

…giorno successivo – mattina, sul presto
vengo svegliato dal rumore di un pallone che rimbalza. È già pronto, mi aspetta, e quando scendo giù, trovo il frigorifero devastato. Mi informa mia cugina (che continua a non approvare il mio progetto, specie da quando ho scoperto quel che ho scoperto riguardo a Happy Days e al MAP – mi vado pure a mettere contro il Governo, ripete sempre), che il bestione è di umore nero, perché non ha trovato nessuna tartina Crescione & Bottarga. Sarà dura.
Vado fuori, e mi scaldo un po’. Cominciamo la partita: 13-4 per me. Lo faccio imbestialire chiamandogli continuamente “passi”; qualche volta arriva pure a far fallo di piede. Nel frattempo, è arrivato anche Al Pacino, che come sempre fa da arbitro. È allegro, stamani, e quando mia cugina (quella piccola) lo chiama ancora DeNiro, si gira e le risponde: “ehi, ma dici a me? Ma dici a me?” (proprio in Italiano, con la perfetta doppiatura di Ferruccio Amendola). Barkley è sempre più nervoso, ma anche Al Pacino, col suo fischietto nero da arbitro, concorda sulle sue infrazioni di passi.
Il tutto dura fino al 37 a 29 per me, esattamente fin quando Barkley, di rabbia – e anche un po’ di frustrazione – decreta la fine della partita: palla in mano, con uno schiaccione distrugge il canestro staccandolo dal muro. Ok, slam dunk. Riatterrando, mi guarda e grida: “NOBODY CAN GUARD MEEE!”
Poi, rientrando, mi chiede se a pranzo gli faccio i ravioli Crescione & Bottarga.
Che cafone, però, Charles Barkley… non mi ha chiesto nemmeno nulla del mio negozio.

dicembre 05, 2005

XX.
Agghiacciante. Ho scoperto il motivo per cui il mio accendino, punta di diamante dei miei scherzi, è bandito in così tanti paesi. O meglio, la questione è solo un’ipotesi avanzata in un libro, a titolo Giorni Felici – Fu sempre così? Tensioni sotterranee e oscurità nel serial «Happy Days». L’autore è Glenn Peter Strömberg, perito in elettronica (nel 1991 – prese una grossa scossa, che iddio l’abbia in gloria, da un traliccio dell’alta tensione). Ovviamente, io lo leggo in una traduzione, giacché l’originale (indisponibile nella pur vastissima biblioteca di famiglia) era in Bapi, dialetto-variante del Finnico. Tuttavia l’ipotesi è, a mio avviso, assai ben fondata, e ne do quindi conto di seguito.
Sappiamo che la fiamma del MAP è del tutto innocua, a meno che uno non abbia i capelli rossi. Di più, la scheda accompagnatoria non dice. Ma pare che ci sia proprio il MAP all’origine della sparizione di Ralph Malph (Donnie Most) e Ricky Cunningham (Ron Howard) dalla seconda serie di Happy Days. Questa la vicenda:
Il buon Ralph Malph, in una pausa delle riprese del primo episodio della seconda serie, stava mostrando a Fonzie (Henry Winkler), alcuni degli scherzi che avrebbe tirato fuori in una puntata successiva (pare in quella di Halloween, ma la cosa non è del tutto certa), ai danni di Alfred (Al Molinaro). Tra questi l’accendino in questione. Presa una sigaretta fra le labbra, Ralph incita così il compagno ad accendergliela, con l’accendino che lui stesso gli passa. Il risultato è catastrofico: in pochi secondi il malcapitato è oberato dalle fiamme, che gli divorano ESCLUSIVAMENTE i capelli. Si noti che a tutt’oggi egli è perfettamente calvo, ma solo sul davanti. Ricoverato, nei minuti successivi l’incidente, in ospedale, vede cancellato il suo personaggio dalla serie. Si adduce un improbabilissimo, visto il carattere del personaggio, arruolamento nei Marines, con interminabili missioni in Europa, nell’ambito della Guerra Fredda e del Maccartismo imperante. D’altra parte, impossibile era rappresentare un teenager calvo.
Ma fin qui la cosa non uscirebbe dall’ambito della tragica fatalità. Sennonché Joanie (Erin Moran) aveva assistito all’incidente. Dapprima con animo sinceramente contrito (come Fonzie d’altro canto, duramente provato dal tutto – pare non avesse capito che era stato solo un difetto di produzione in quel maledetto aggeggio, e si era così attribuito la colpa piena dell’incidente, tipo per aver schiacciato troppo forte l’accendino), assistette Ralph nel trasferimento all’ospedale; poi dentro di lei si fece strada un’idea subdola e crudele: eliminare il fratello, allo stesso modo. No, non quello vero, della vita reale (Erin Moran è notoriamente figlia unica): quello del serial, del cui successo e spazio Joanie era fortissimamente gelosa. Ella aveva oscuramente intuito che ciò che era accaduto a Ralph andasse messo in relazione con i suoi capelli rossi, e alla prima occasione accorse ad accendere la sigaretta di Ron Howard, in una pausa di registrazione. Il risultato fu lo stesso, con le fiamme impazzite a devastargli i capelli. E notate, sia detto per inciso, che anch’egli è perfettamente calvo, sul davanti, a tutt’oggi. Ricoverato nello stesso ospedale di Ralph, ebbe del pari cancellato il suo personaggio. Anche in questo caso, stessa scusa: arruolamento nei Marines, e spedizioni in Europa.
E non a caso Joanie è al centro della seconda serie, (peraltro di peggior riuscita della prima, è indubbio).

Per tutto questo, migliaia di quegli accendini, che sarebbero sicuramente entrati di prepotenza nella moda del periodo, se solo Ralph avesse potuto fare quello scherzo ad Alfred Del Vecchio, rimasero invenduti, giù nel magazzino della produzione.
Ma il danno era troppo grande, a livello economico… ed ecco perché passati un po’ di anni, li ritroviamo in commercio, con in più quel talloncino di avviso riguardo ai capelli rossi. La cosa mi mette un po’ in imbarazzo, nonostante le rassicurazioni degli ambienti televisivi hollywoodiani, che bollarono il libro di Strömberg, al suo apparire, come un’inezia di cui non tenere nemmeno conto. Pare anzi che il produttore esecutivo della seconda serie di Happy Days ne abbia una catasta, a casa, e li usi in sostituzione di una zampa del suo tavolino ottocentesco del soggiorno, dopo che la sua muta di castori domestici del Canada ha rosicchiato il manoscritto originale (e la zampa di cui sopra, a dirla tutta). Particolare curioso, Erin Moran invece, nella sua tenuta del New England, li usa come attizzatori per il caminetto e zeppe in genere.
Il produttore della seconda serie di Happy Days ed Erin Moran sono stati (in)felicemente spostati per nove anni e tre mesi, ed hanno divorziato l’anno scorso.
Di quei libri, in commercio, sembra non se ne trovino più.

dicembre 04, 2005

XIX.
Arrivati gli scherzi. Ne ho di meravigliosi, come dicevo. Certo, non è proprio come avrei voluto all’inizio, ma una telefonata del sig. Caloggero LoVòi (mi ha detto lui che il suo nome va scritto con due -g) della Carnasciali Gioiosi srl, mi ha convinto che è controproducente iniziare ex-novo un’attività specializzandosi subito in un settore. Nel mio caso quindi, meglio lasciar perdere solo ed esclusivamente le cacche finte, e allargare gli orizzonti a tutti gli scherzi. In un secondo momento, quando avrò dato vita alla catena dei miei sogni, allora potrò fare come meglio crederò: un negozio dedicato alle cacche, uno dedicato alle barbe, eccetera, come da programmi iniziali. È stato molto gentile, il signor LoVòi; in particolare, mi hanno definitivamente dissuaso i suoi discorsi relativi alla certa presenza di tre energumeni rispondenti ai nomi di Bruce, Bongo e Callo nella mia camera da letto in tutti i giorni dispari del mese, almeno finché non avessi cambiato opinione. I dettagli relativi al mastodontico fallo di Callo e alle di lui tendenze (Sodomia Attiva & Cattiveria Gratuita in genere), hanno sgombrato poi il campo da ogni dubbio.
Comunque, tornando agli scherzi, ecco quello che ho disponibile al momento. O meglio, questi sono, diciamo così, i pezzi da novanta (riassumo dalle schede tecniche che li accompagnavano – miei i corsivi, con eventuali commenti e aggiunte):

- Il Jeans Panato. Novità assoluta per l’Italia, e me la sono accaparrata io PROPRIO IO, battendo tutti, grazie ai miei buoni uffici con il consolato Polacco, da dove pare provenga questo scherzo. Nella confezione c’è una toppa di jeans della misura, più o meno, che avrebbe una fettina di vitello, o una cotoletta di tacchino. Lo scherzo sta nel cucinarla per qualcuno, passandola nell’uovo sbattuto, impanandola sopra e sotto e mettendola a friggere in padella. A quel punto gliela si può servire in tavola, magari con contorno di patate fritte, o nascosta fra altre fettine di carne, queste però vere. Non c’è che dire… ottimo acquisto, e in esclusiva per di più. Sarà uno dei punti di forza del mio Dingo Ceruleo.
- Maroso, l’Accendino Pauroso (MAP). Mai andare in giro senza! Così, se uno vi chiederà di accendere, voi vi avvicinerete, magari anche con fare alla Bogart; farete scattare col pollice la classica rotellina che ogni buon accendino ha, e… PEM! Fiammata abnorme! Matte risate! Anche perché la fiammata in questione (pari – l’ho testato personalmente su Cristino di Pasquale, che per inciso è fuggito terrorizzato, e ho dovuto poi sbarbarlo letteralmente dal confessionale della nostra ven. Chiesa San Gianfrusto Martire, di Gianfrusto appunto, dove si era rifugiato a recitare un rosarione incrociato per scacciare il maligno fiammeggiante, il tutto ovviamente con l’abituale stuolo di vecchine tra cui mia zia – pari, dicevo, a quello di un lanciafiamme LF-127XP, in dotazione, tra l’altro, al temibile esercito Siriano e Libanese, per il tramite della Francia) è rigorosamente del tutto innocua, a meno che uno non abbia i capelli rossi. Proprio per questa piccola controindicazione, l’accendino in questione ha una storia, ed è stato messo al bando in America, con l’esclusione della zona di Panama, Costarica e la quasi totalità dell’America del Sud (anche se quest’ultimo dato è tutt’altro che certo e continuo, vista ovviamente l’endemica instabilità istituzionale di tali paesi. La tendenza, comunque, pare sia questa: accendino permesso sotto le dittature di stampo militare; accendino assolutamente vietato nei casi di governo “istituzionale”). Non so quale sia la storia, vedrò di informarmi in nottata. Tanto, ormai, mi è impossibile dormire. Le mie notti sono riempite dall’immagine della mia Vedova e, di fatto, le passo rigirandomi nel letto, fissando il vuoto e grattandomi la schiena (cosa che facevo a Lei, d’accordo, e Le piaceva pure tanto, e anche se so benissimo che non ha senso, almeno così cerco di sentirmi più a mio agio, fingendo che la schiena sia la sua. Tuttavia, la mattina mi sveglio sempre con vivide striature rosse sulla mia, chissà perché).
- La falsa cacca di uccello: scherzo da farsi ai maniaci della pulizia, coloro che sarebbero rubricati alla voce “soggetti con problemi di fissazione alla fase anale”, dal dottor Freud, se Egli fosse ancora qui tra noi. Comunque, in una confezione ci sono dieci pezzi, del tutto trasparenti nella loro parte adesiva, da attaccare al vetro di una finestra. I pezzi riproducono (con grandissima efficacia, peraltro) cacche di uccello, con una insistenza quasi ossessiva su quella dell’audace ma comune piccione di città. Ebbene, una volta attaccate al vetro del fesso di turno, queste sembreranno delle vere, verissime cacche, e non verranno affatto via allorquando questi accorrerà, provvisto di straccio e soluzione nettatoria tradizionale. Né Vetril né altro, gli varrà: in preda allo sgomento, allora, magari accuserà crisi epilettiche, o anche respiratorie, cosicché voi, (prima che spiri possibilmente; in caso contrario la legge potrebbe crearvi delle noie), potrete mostrargli il trucco: un solvente apposito, venduto nella stessa confezione. Casomai, occhio a non finirlo prima degli adesivi, se non volete guadagnarvi le maledizioni perenni del soggetto (che come avrete capito dalla bava alla bocca, non è il massimo in fatto di sanità mentale. Testuale: “si dice per voi; non Vi abbiano ad arrivare, tutti quegli accidenti”)

Ecco… tutto questo, più ovviamente l’armamentario tradizionale, e soprattutto ben 12 tipi 12 (!) di cacche finte! E su quelle ho già alcuni suggerimenti pronti per il 4 del mese successivo!
Ah, quanto è lontana la disperazione del P-37 bis! Quanto è squillante la fanfara della vittoria prossima e ormai certa! Variabile, è la fortuna! Manchi solo tu, mia adorata C.X.!

dicembre 03, 2005

XVIII.
Sfrutto le mie limitatissime, ormai, capacità di concentrazione (posso solo pensare a lei… C.X., mia adorata vedova di Ampelio sul lago!) per dar conto di alcune cose – presumo – assai importanti. Anzitutto, la realizzazione plastica del logo: alla fine, dopo indecisioni, ripensamenti & tormenti varî, la scelta è fatta: Mimmo Rotella. Mi ha inviato un delizioso bozzetto, in cui il dingo è realizzato con tubi al neon colorati: attorcigliati e lavorati, nelle tonalità del celeste e del rosa, fa molto anni ’50, e ne sono stato subito entusiasta. L’ho chiamato e ho chiesto informazioni riguardo alle tariffe. Mi ha detto che è più che onorato di realizzare una cosa simile per un progetto come il mio, e che anzi, se ho bisogno di qualcosa chieda senza ritegno, lui è dispostissimo (“tanto”, ha anche aggiunto, “l’idea del neon l’ho pure rubata a Bruce Nauman, non ci ho dovuto nemmeno perder tempo. In cambio, poi, gli ho regalato il mio Cubo di Rubik, e lui ha detto che siamo pari così. È un agguerrito collezionista di Cubi di Rubik, vedessi come gli brillavano gli occhi, quando gli ho dato il mio”). Troppo buono, mi sono venute le lacrime agli occhi. Devo ricordarmi di spedirgli un po’ di campioni dei miei scherzi, quando arriveranno. Inoltre, Emilio Vedova e Giuseppe Capogrossi si stanno offrendo per abbellire i miei interni con dei loro lavori. Penso che accetterò, specie per quel che riguarda Capogrossi. S’intona a meraviglia con lo spirito del fondaco!
Valentino Zeichen, poi, vorrebbe scrivere una poesia sull’argomento. Ma non gli darò il permesso, questo è certo. Io volevo un’ottava, lui mi ha risposto che il Quattrocento è finito da un pezzo. Siamo piuttosto distanti, evidentemente.
Infine, last but not the least… L’APERTURA. È prevista per la prossima settimana.
Ieri notte, saranno state le 2.00, ho ricevuto una telefonata: era Al Pacino, che mi diceva, dopo essersi scusato abbondantemente (e ci mancherebbe) per l’ora, che arriverà tra qualche giorno con il volo SFO324, a Fiumicino. Gli ho detto che non potevo andarlo a prendere, e ha risposto che si arrangerà da sé, magari noleggiando una macchina. L’on. Achille Totaro c’è, ma è convinto di essere parte attiva in un comizio dal tema Immigrazione e prospettive lavorative per l’Italia degli Italiani – Che Fare? Sai che risate quando scoprirà perché è stato invitato! Per Moira Orfei tutto ok: mi ha comunicato che verrà con una carovana di elefanti, come Annibale. Spero che quel giorno mi lasci cavalcare Jazhir, il suo elefantino bianco. Invece, non so più niente dall’Uomo con i Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo. Non vorrei che fosse morto frustato, giacché ho sentito al TG che nella sua zona (abita a Castrone Val di Minchio, provincia di Gàttide) ci sono state forti raffiche di vento, nei giorni scorsi…
ah, mia adorata C.X.! Dove sei adesso? Che farai? Mi pensi? Brucio come volgari sterpaglie nel vento, sotto il fuoco della passione che tu stessa hai acceso, Aonia Diva di Ampelio sul Lago (WC)! Il primo Dingo in tubi al neon celeste e rosa è tutto per te, mi pare ovvio.
Nel pomeriggio arrivano gli scherzi. Ne ho ordinati di meravigliosi.
E il 4 del mese si avvicina.

dicembre 02, 2005

XVII.
Wow, ragazzi, che donna! Non avevo detto nulla ancora, ma non posso trattenermi oltre…
La storia è questa: sapevo che sarebbe stato difficile entrare in possesso della foto di Manlio Proaskinevic, e così si stava rivelando. Il Tomi, nel suo “Coturno Rosa” di Sulmona, mi aveva sparato un prezzo esorbitante (esageratamente esacerbandomi, fra l’altro, per avermi fatto far fallace viaggio fin là, a vuoto!); il rigattiere Petrusco Méntolo, quello di Frullo, l’aveva appena venduta. Mi sono sentito gelare il sangue, ma effettivamente era rimasta, tra le opzioni di mia conoscenza, solo una carta da giocare: la vedova di Ampelio sul Lago (WC), la quale tra l’altro non aveva mancato di farmi perfidamente sapere, tramite cartolina – Santi Numi, ma come aveva saputo? – che non sarei mai riuscito ad entrare in possesso della sua copia.
Che restava da fare? Tentare il tutto per tutto. Quindi, l’ho chiamata, e mi ha invitato per un drink, a casa Sua. Avrei voluto farLe notare che siccome tra me e Lei ci sono 800 Km di distanza, magari la cosa era un po’ scomoda, ma mi sembrava anche scortese iniziare subito all’insegna dei rinfacci & dei litigi. E poi, che diavolo, avrei prenotato un hotel. Così, mi presento a casa sua, con un completo di gabardine chiaro e una cravatta fucsia, e in mano un mazzo di rose arancione (che non stavano affatto bene col completo e la cravatta, lo so, però quelle bianche erano finite, o così ha detto il fioraio). Suono il campanello – metterò solo le sue iniziali, giacché son gentiluomo: C.X. (come la macchina, e questa è stata pure la prima cosa che le ho detto, provocandole un incontenibile moto d’ilarità) – e lei viene ad aprirmi. Wow, ragazzi, che donna! Fasciata in un semplice ma sensuale vestitino rosso con spalline mi fa entrare, e mi abbraccia (io le avevo solo porto la mano, quella senza rose, ovviamente), schiacciando così irrimediabilmente le rose tra il mio e il Suo corpo. Dopo, mi conduce per mano nel suo salotto, facendomi accomodare, con un sorriso (la cosa non è certo facile, provateci). Si allontana un attimo, ed io ne approfitto per sprimacciare un po’ le rose – ok, si dice per i cuscini, ma le rose erano proprio ridotte male… – ed infilarle in un vaso con un po’ d’acqua. Siccome non ne vedevo, le ho infilate nella boccia di vetro dei pesci rossi, lì su una mensola vicina. Il di Lei cane (bestiola sorniona ma infìda, dal risibile nome di Ampelio II), guatava il tutto dal suo scranno canino, in un angolo della stanza. Lei torna e io mi alzo in piedi, per cavalleria.
“Cosa beve, dottore?”, mi chiede, con voce di miele.
“Mi dia del tu, La prego…”
“del tu? Non conosco… come si prepara?”
Balbetto qualcosa, e un attimo di imbarazzo aleggia tra noi; poi Ella decide che un bicchiere di liquore all’Anacardo (specialità di Ampelio sul Lago) è quello che ci vuole per sciogliere il ghiaccio. Difatti, ce ne mette due cubetti e quelli si sciolgono subito, entrambi. Poi prepara un cocktail – sua invenzione, dice. Io la guardo, beandomi dei suoi movimenti e dei suoi gesti morbidi e precisi. Le mani e il suo ancheggiare (ma forse più il suo ancheggiare) mi ipnotizzano appieno. Vedo che ci mette dentro gin, silicone e tessuto sintetico. Il tutto guarnito da una ciliegina e un dente di leone appassito, che ci sta sempre bene. Inizia a raccontarmi la Sua storia. Ascolto rapito, finché non mi si viene a sedere vicino, sul divano, porgendomi il drink. Dopo cinque minuti buoni riesco ad articolare una frase:
“sa che è proprio bella?”
La cosa sembra non farLe né caldo né freddo, ed è anche normale, perché fuori ci sono sì e no 23 gradi, la temperatura ideale per due corpi umani seduti su un divano, vicini vicini. Mi dice che ad Ampelio sul Lago spesso la temperatura è quella, e si avvicina un po’. Io mi sono del tutto scordato di Manlio Proaskinevic, del perché sono lì, e del perché quando fa notte il cielo diventa scuro nonostante le stelle e la luna. Do una bella sorsata al cocktail di Sua invenzione, solo che nell’emozione bevo dal bicchiere che ha in mano Lei. Ampelio II intanto si è alzato e sta bevendo dal mio. Siccome Le ho finito il cocktail, Lei pensa bene di riprendersene il sapore assaporandolo dalle mie labbra. Sussurra:
“anche tu non sei male…”
e mentre sono lì che mi chiedo cosa diavolo avrà voluto dire, mi bacia. Cioè, forse l’aveva già fatto bevendo il cocktail come dicevo, ma ora non stiamo qui a cavillare. Ampelio II torna al suo posto. Wow, che donna!
Poi succede ………………………….. e anche ………………………………………… cavolo! ……………………. finché…………………..………………… ma…………….……….. oddio!…………………………… e mi porta ……………………… e poi ci scordiamo perché….....
Quando ci svegliamo siamo ancora………. E allora…………………. E poi………….. e ancora…………. ma infine……….. sicché così……….. e ciao ciao, che…………..
Che bambola ragazzi! Che donna!

Alla fine non ho la foto, ma a dire il vero non ne abbiamo nemmeno parlato troppo. Magari tornerò presto, mia dolce C.X., vedova di Ampelio sul Lago (WC)! Riparleremo? Mi rivorrai da te? Magari cambierò la foto del Proaskinevic con la tua, nel mio retrobottega!

dicembre 01, 2005

XVI.
Ta-dà!!! Come per magia, sistemati mille e più aspetti, ivi inclusi cavilli burocratici & affini.
Grazie all’aiuto di Limerno Pitocco, mio amico commercialista (Pitocco è il nome, e lui vuole, da buon burocrate, che sia sempre posposto al cognome), ho finito di compilare tutti i moduli, compreso il P-37/bis. Adesso ho il mio blocco di moduli 34/a, e il mio bel tesserino magnetico viola, verde e rosa – che figura fa, la mia foto formato tessera lì sopra! Ah, quale possente emozione!
Poi, presso l’ufficio registrazione marchi ho provveduto alla registrazione del “Dingo Ceruleo” (ho avuto alcuni problemi per il semplice fatto che la denominazione risultava tuttora registrata; ma, essendo al tempo stesso leggermente defunto il titolare, vale a dire mio zio buonanima, ho potuto/dovuto/voluto rilevarla), e quindi ritirato la nuova insegna, preparatami da Gianfrusto Pupazzy, il quale in realtà si è un po’ lamentato del fatto che in precedenza gli avessi dato altre direttive (relative ad un improbabile “Alla Faccia dello Zoppo”, sosteneva lui): ma è bastato somministrargli un paio di sapide calcagnate nelle gengive (date bene, certo), e fargli ballare innanzi agli occhi la possibilità che rivelassi il suo Terribile Segreto (!), che quello ci ha lavorato di buona lena tutta la notte di ieri, consegnandomela stamani. Inoltre, al proposito, avevo pensato a far realizzare delle piccole sculture (piccoli dinghi in bronzo o rame, però laccato in uranio – o anche pecorino di Leccino, dipende da quale dei due costa meno) da dare in omaggio ai clienti, magari ogni tot. di spesa. A tal proposito, scartato il bozzetto che mi ha inviato in visione Alberto Giacometti (troppo scarno, il suo dingo), la scelta rimane fra Giò Pomodoro (buono il suo lavoro, direi) e quell’altro lì, quello che usa sempre i sacchi di juta nelle sue installazioni, come si chiama… ah sì, ecco, Alberto Burri.
Inoltre, alla fine ho ceduto, ed ho assunto Cristino di Pasquale come mio assistente, facendolo però, grazie ad un abile mio sotterfugio psicologico sulla di lui debolissima mente, lavorar gratis. Anzi, per i primi tre mesi siamo d’accordo che mi corrisponderà una somma pari a 578,00 eurini secchi al mese. 578 x 3 = la cospicua cifretta di 1.734 euretti, giusto giusto la somma che mi rifonde delle spese di vernice e di un mio modesto debito di gioco con il dottore di Stramazzo (PH) e Gianfrusto sul Nerchio, dott. Marcello Melassa sposato Buccianti (ha una moglie solidamente femminista, e questa ci tiene a che si ricordi sempre il Suo cognome).
Infine, sono regolarmente iscritto all’albo (ASSCAR); è arrivato il bancone; ho fatto gli ordini (maggiormente, per ragioni di dogana, presso la ditta Italiana Carnasciali Gioiosi snc, anche se come prezzi non è proprio la più conveniente).
Aspetto fremente il 4 del mese successivo, per suggerire migliorie a josa.
Manca solo una cosa. Quella foto.

novembre 30, 2005

XV.
Incredibile. Assolutamente incredibile. I diari di mia zia hanno rivelato qualcosa di sconvolgente. Mio zio era un negoziante di scherzi di carnevale. In particolare, si legge, prediligeva le cacche finte. Il suo negozio ne allineava tutti i tipi allora disponibili, in bella mostra su uno scaffale vicino alla vetrina principale. Faceva grandi affari, mio zio, specie nel mese di febbraio.
Poi, un bel giorno, qualcuno gli fece uno scherzo. Mentre lui era nel retrobottega, qualche burlone sostituì un paio di quelle cacche finte, con alcune vere (magari, ma è solo un sospetto di mia zia, fatte sul momento, direttamente lì, anche se non si spiega – e non lo faccio nemmeno io, a dire il vero – come sia stato possibile, dal momento che lo scaffale era posto piuttosto alto per un uomo… ehm, come dire… in posizione defecatoria). Cosa successe allora? Che il sole, amplificato attraverso la vetrina del negozio, fece ben presto fermentare le vere cacche e, di lì a qualche ora, divampare un furioso incendio nel negozio – ignea catastrofe che si portò via le cacche, gli scherzi, il bancone e mio zio. Naturalmente tutto questo è una congettura di mia zia. Di certo c’è solo che in un giorno del lontano luglio 1975, mio zio si arrostì del tutto nell’incendio che distrusse il suo negozio di scherzi, il “Dingo Ceruleo”. Rimase solo il piccolo simbolo di quel negozio, che il mio povero consanguineo aveva fatto coniare da non so bene quale fabbro: un piccolo dingo torvo ma giuocoso, in metallo e polistirolo, dipinto di celeste, appunto. Ho trovato anche quello, in cantina, tra miriadi di lattine di birra che non sapevo nemmeno di avere.
Ecco spiegata, almeno in parte, la profonda ritrosia di mia cugina. Quell’arpia. Ma ciò non mi fermerà: sono sicuro che è proprio mio zio che mi sta guidando da lassù, dal suo paradiso di cacche celestiali, giacché vuole che segua le sue orme. E io credo nel Destino. Nel Destino, nei Numi. Ebbene, anche la mia catena si chiamerà “Dingo Ceruleo”. Io, proprio Io, Manlio Sacchetti, riuscirò laddove il mio grande zio aveva fallito, lasciandoci (tra l’altro) la ghirba!
Ma sarà meglio cercare di dormire, adesso. Spero solo di non rifare quel sogno…

novembre 29, 2005

XIV.
Arrivati i cataloghi. Li ho strappati dalle mani di mia cugina – in un certo senso anticipandola, giacché lei voleva strappare loro. Tra l’altro, sto iniziando a capire le ragioni del suo astio. Ho ritrovato per caso i diari di sua madre, nonché mia zia, e li sto alacremente compulsando. Notizie bomba. Appena avrò finito ne darò conto.
Intanto, alcune informazioni importanti dai cataloghi di scherzi. Ho appreso che sono quattro le compagnie principali, per l’Europa: la Bardous Jokes inc. per l’Inghilterra, la Helmotz-Swanstuck Entertainment Group (HSE) per l’Austria, Les Salaces Salopes Salées per la Francia, e la nostra Carnasciali Gioiosi srl. In realtà ogni paese, tranne la Germania – popolo evidentemente poco propenso agli scherzi, per propria intrinseca natura – ne ha uno, ma questi sono i principali, e tra l’altro in dura lotta fra loro. Non mancano infatti nel catalogo dell’uno, polemici riferimenti agli altri, con toni estremamente esasperati. E tutti, poi, rivendicano come appartenente alla loro storia l’aneddoto più famoso relativo alle cacche finte: nel 1940, mentre la Luftwaffe bombardava Londra, Winston Churchill parlava alla radio, incitando il popolo inglese alla resistenza. Tutti dovevano stringere i denti, e tener duro. Pochi sanno però che la stessa cosa egli doveva fare con i parlamentari inglesi. Per questi ultimi, però, ci voleva ben altro che un appello quotidiano alla radio, ed ecco allora il colpo di genio: il Grande Statista ordinò ad una compagnia di scherzi di carnevale (e qui siamo al punto controverso: QUALE? Ognuna di loro si autoindica come la prescelta) un migliaio circa di cacche finte, che poi a turno faceva mettere dal suo segretario sulla sedia di questo o quest’altro parlamentare, così, per fare allegria. In questo modo risollevò il morale della classe dirigente inglese, guidando la Nazione alla Vittoria. Tutti ridevano, allorquando un parlamentare si sedeva e rialzandosi trovava sotto il suo sedere una cacca finta.
(A questo proposito, però, mi corre l’obbligo di riportare anche un’altra versione della vicenda, così come la racconta il catalogo della HSE. Secondo questi, il premier ordinò loro (sic!) le cacche in questione solo per screditare l’opposizione. Difatti, pare che egli incaricasse i suoi più fidati collaboratori di metterle soltanto sulle sedie dei membri di quest’ultima, per poi, durante le sedute, tacciarli di codardia e scarso senso della Nazione: “Voi, anacronistici e codardi Tories, non sapete pensare che al Vostro esclusivo bene!”, tuonava il grande statista, “e non appena la Nostra Grande e Amata Isola ha bisogno di Voi, Voi che fate? Ve la fate sotto!”
Pare che subito dopo questo discorso invitasse tutti ad alzarsi in piedi, e facesse controllare dal vicino di posto la sedia dell’altro. Immancabilmente le sedie dei Tories recavano, nel centro, una cacca, chiaro simbolo della loro codardia – si noti che le sedie della Parliament House britannica erano molto profonde e morbide, ragion per cui non era detto affatto che uno sentisse la cacca sotto di sé non appena si sedeva.
Comunque fosse, in questo modo il Grande Ministro rinsaldò la sua posizione – traballante prima di allora – riuscendo al tempo stesso a screditare l’opposizione agli occhi di tutti i membri del parlamento e soprattutto della regina che, come tutti sanno, non poteva sopportare l’idea di un suo suddito non coraggioso).

novembre 28, 2005

XIII.
Breve riepilogo dello stato di cose, a tutt’oggi:
1) È arrivata la liquidazione da quel maledetto ufficio. Sono stato felice quasi tutta la notte (quasi, perché verso le 4.30 mi sono addormentato e ancora una volta ho rifatto quel maledetto sogno). E l’ho impegnata quasi completamente per comprare il bancone, un cupo ma elegante mobile in cedro scuro del Libano, con tanto di vetrina orizzontale azzurrata e cassetti ad apertura controllata (da chi, a dire il vero non so spiegarmi, però). Una cosa chic. Arriverà la prossima settimana.
2) La tinteggiatura (si dirà così?) delle pareti è conclusa. Stanotte (io imbianco di notte, per motivi chiaramente religiosi) ho dato la seconda mano. Mi ha aiutato Cristino Di Pasquale, di anni 19, il quale è intimamente e pervicacemente convinto – invero, ignoro su quali basi – che sarà il mio commesso, al momento dell’apertura. Vedremo, di sicuro è un tipo bovinamente affidabile. Ma deve assolutamente togliersi le mèches.
3) Ho preso contatto con i primi fornitori. I cataloghi dovrebbero arrivarmi a breve, per posta. Ho dato l’indirizzo di mia cugina (dato che io non ho recapito concreto, ma solo domicilio, per motivi anche qui religiosi, e anche un po’ fiscali, a dirla tutta), quantunque ella abbia minacciato più volte di strapparli, semmai le dovessero capitare fra le mani. Mi sa che tra qualche giorno dovrò far la ronda alla sua cassetta della posta. Non è mai stata favorevole al mio progetto, fin dal principio… chissà perché!
4) L’insegna sarà disegnata da Gianfrusto (si chiama così in onore del Santo Patrono del paese, il cui monumento è proprio dietro al fondo di quell’accidenti di zoppo dalla parola assai poco sincera) Pupazzy, disegnatore di molle per orologi e riparatore di tele (o viceversa, non ho mai capito bene) a tempo perso. Ricordo che siamo stati bambini insieme. Letteralmente. O meglio, il fatto è questo: eravamo grandi amici, e una volta stavamo facendo dei dispetti ai ragazzi più grandi del quartiere, e uno – me lo ricordo come se la cosa avvenisse, diciamo, circa ventisette anni e sette mesi fa – ci disse: “se non la smettete con questo scherzo del basilico e dell’uovo marcio la vedete”. Il fatto è che quello soffriva terribilmente lo scherzo del basilico e dell’uovo marcio. Sopportava (e ci rideva di gusto) quello della carota con la benda da pirata, o quello del monitor in fiamme; però il basilico e l’uovo marcio proprio no. Due bambini, però, non possono resistere alle debolezze altrui: alla terza volta che lo fregammo, ci prese con rabbia e ci legò insieme, così stretti che nessuno riuscì a slegarci per i successivi sette anni, vale a dire fino a quando ne compimmo quindici. E anche in quel caso penso fosse più per il fatto che i nodi si erano allentati col tempo, che non per la forza bruta del domatore di leoni del circo Medrano presso cui ci eravamo recati, speranzosi.
5) Infine, il comune mi ha dato tutti i permessi necessarî e disponibili affinché possa inaugurare quanto prima (manca solo il permesso relativo al 4 di ogni mese, ma questi sono dettagli, vedremo). Grazie alla mia estesa rete di contatti internazionali, inoltre, per l’inaugurazione mi sono assicurato le presenze di: Moira Orfei (la quale non mi ha mai perdonato il fatto che da bambino abbia usufruito del circo Medrano, per slegarmi da Gianfrusto, come ricordavo poco sopra – magari questa è l’occasione per dimenticare il passato), l’on. Achille Totaro (su chi sperimenteremmo i primi scherzi, sennò?), Al Pacino, e L’Uomo con i Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo (in arte, U.P.A.L.M. – non ci conosciamo personalmente, ma si è detto entusiasta ed onorato di partecipare all’evento. Non ricordo nemmeno come sono riuscito a contattarlo, a dire il vero; ma mi pare che il suo numero di telefono fosse sul Guinness dei Primati).
Ci stiamo muovendo, direi…

novembre 27, 2005

XII.
Mio cognato, anima pia, mi ha consegnato le chiavi. Felice, subito mi sono recato presso un negozio di vernici, per acquistare il necessario. Avevo pensato ad un giallo limone siciliano colto dalla pianta da cinque massimo sei giorni, per le pareti; ed un verde foresta di Birnam mentre muove a Dunsinane del Macbeth shakespeariano, per gli scaffali; ma al commesso sono spiaciute le mie ardite e alate perifrasi e mi ha dato – con sprezzo, devo annotare – un secchio di vernice giallo ocra, e uno di verde ramarro. E adesso me ne tornerò al fondo, con questi due secchi in mano e qualche pennello sottobraccio, triste come una roulotte…

novembre 25, 2005

XI.
Interessante novità. Sul sito ufficiale dell’Associazione Negozianti di Scherzi per l’Italia e l’Austria (A.N.S.I.A. – chissà perché tra l’altro stanno insieme Italia e Austria… bah, comunque sia il sito in questione ha questo indirizzo: www.ansia.ost.it; ma per poter accedere bisogna, avviso, inserire il numero del tesserino magnetico che comprova la vostra natura di negoziante di scherzi e cacche); in questo sito, dicevo, c’è una sezione in cui i vari utenti si scambiano informazioni relativamente agli esemplari delle foto del grande Manlio Proaskinevic. Ovviamente, le informazioni vengono da negozianti che già ne posseggono una per conto loro. Ebbene, ho notato che in Italia, a quel che se ne sa al momento, conosciamo l’esistenza di tre copie, per così dire “libere”: una è a Frullo (provincia di Catrone, CRT), presso un rigattiere di Via Mendrisio, 487/A, zona stadio; l’altra la custodisce gelosamente una misteriosa vedova di Ampelio sul Lago (ridente cittadina – mi sono informato – del Wicentino); l’ultima invece è acquistabile presso il mercatino dell’usato “Coturno Rosa” di proprietà del sig. Ovidio Tomi di Sulmona. Cioè, a quel che ho capito, LUI è di Sulmona (nome nomen – scherzone anagrafico, già di per sé. Lo adoro fin d’ora, il tipo, ammesso che egli sia consapevole della sua natura), laddove il negozio ha sede a Savoiardo sul Nilo (no il fiume egiziano, questo è un monte vicino Terni), provincia di Caimano (ZG).
La vedova credo sia difficilmente corruttibile; restano il rigattiere e il Tomi. Vedrò cosa posso fare. D’altra parte, posso aprire il negozio senza una foto del Proaskinevic? Io, proprio io?
Ah… iniziati i lavori al nuovo negozio, quello (già) di mio cognato. Ma di che colore tingere le pareti? E gli scaffali?

novembre 24, 2005

X.
Novità scoraggianti ma al tempo stesso ottime, dal fondo: quel maledetto zoppo non vuol più vendermi il suo bilocale! Nega addirittura di aver mai avuto contatti con me! E io che mi fidavo della sua zoppìa e del legame spirituale che per questo ci univa! Eravamo praticamente già d’accordo e così, dietro il suo rifiuto, ho subito pensato ci dovesse esser qualcosa sotto: difatti, dopo alcuni indagini private ma illegali, l’ho scoperto ad aver concluso l’accordo con un tale, presunto cognato della di lui fantesca (ah-ah… il riccone!), per l’apertura di una rivendita-spaccio di mortadelle & culatelli della Grande Brutòpia. Maledizione, maledizione e maledizione! Ma perché? Gli avrà offerto di più? Avrà potuto mettere in campo tre zie zoppe e un paio di nipoti segaligni, intenerendolo come un bocconcino di vitello in uno spezzatino al vino rosso, magari il pregiatissimo Systolone di Brutòpia, per l’appunto? Ah, cento volte maledizione! Pensavo di passare sotto casa sua camminando a zoppetto, come fanno i bambini, per sfotterlo! Me la pagherai, sàppilo!
Però, per ogni notizia brutta, ne esiste un’altra che fa da contraltare, o almeno così mi insegnavano i miti frati Scolopi del pio convento “Baviera in Fiamme a Capodanno” (BFM) di Marina di Zorro, dove ho studiato quando ero ragazzo: Olivo Tadini, il minore dei miei tre cognati (quello dell’albergo, insomma), impietosito nel vedere tutte queste cose andare a scatafascio, ha acconsentito a farmi usare una sua rimessa. Ci teneva le barche che smontava (sua grande passione: amici gli portavano le barche che smettevano, nel caso ne comprassero di nuove, e lui si dilettava a smontarle pezzo pezzo, catalogando i vari componenti); ma ha detto che è troppo vecchio e impegnato ormai per dedicarcisi compiutamente. Quindi, signore e signori, ho il primo fondo. Adesso lo riempirò di cacche! Resta da vedere dove butterò le carcasse delle navi di mio cognato…
già, infine... il nome, il nome… “Alla faccia dello zoppo – Scherzi Vari”, andrebbe bene? Come logo, uno zoppo malfermo che si gratta spasmodicamente (polverina!), mentre con la gamba buona sta per pestare una cacca finta. E non la vede, né la vedrà! Mai. Ahahah!
Velenosa vendetta.

novembre 23, 2005

IX.
Mio dio mio dio, in che impresa mi sono imbarcato? Le complicazioni stanno spuntando come funghi su un terreno pieno di castagni in una settimana d’autunno: adesso è spuntato fuori il misterioso Albo degli Scherzi di Carnevale (AL.S.CAR), presso cui ogni gestore di negozi deve essere rigidamente registrato. Ecco come funziona, me l’hanno spiegato gli organi competenti: dopo la registrazione, per la quale è necessario pagare e compilare molti moduli, tra cui il famigerato P-37/bis appunto, il nuovo affiliato riceve un tesserino magnetico viola verde e rosa (oggettino assai fine, e vieppiù decorativo), e un blocco di moduli, il 34/a. Quest’ultimo dovrà mensilmente esser compilato dal gestore, con tutti i dati all’uopo occorrenti: quantità di scherzi venduti (il 34/a è cumulativo, e vale per tutti gli scherzi; in altre parole, non esiste più un modulo diverso per ciascuna categoria – 34/a per le cacche, 34/b per le maschere di gomma, eccetera), orari di punta nell’affluenza della clientela, e addirittura suggerimenti da parte del venditore circa possibili migliorie agli scherzi già esistenti (non più però di un suggerimento per modulo – sono molto severi al riguardo, pare). Il giorno 4 di ogni mese, il 34/a dovrà essere tassativamente consegnato presso l’Ufficio Suggerimenti Scherzi di Carnevale (U.S.S.C.), il quale ha carattere regionale. Possono però accedervi solo i gestori di negozi di scherzi di carnevale, tramite la presentazione di un documento di identità e la solenne ostensione del tesserino magnetico viola-verde-rosa, che sarà strisciato e conservato dall’incaricato di turno, il quale lo riconsegnerà poi nel momento in cui il venditore lascerà l’edificio, onde evitare possibili smarrimenti e complicazioni generiche. Le posizioni nell’ALSCAR – c’è anche una graduatoria, con tanto di punti – variano ovviamente in base al numero di scherzi venduti, ma soprattutto in base alla percentuale di suggerimenti e migliorie accettate. Si narra di tale Manlio Proaskinevic (di padre presumibilmente Croato, ma non è certo se questo sia il suo vero nome o un nome d’arte) come di colui che sta al vertice assoluto, in quanto inventore vero e proprio delle cacche finte e di molti altri scherzi. Pare che abbia 259 punti, e che adesso si sia ritirato dall’attività, per condurre una tranquilla ed agiatissima vita di allevatore di trote fario in un ameno ma misterioso sito delle Highlands scozzesi. Voci di corridoio però sostengono che ogni trimestre egli dia sue notizie, inviando all’USSC (solo a lui è permesso l’invio; tutti gli altri sono tenuti a consegnare i moduli di persona, cosa che spiega peraltro come mai tutti i negozi di scherzi di carnevale italiani siano chiusi, il 4 di ogni mese) uno o addirittura due 34/a compilati solo nella parte dei suggerimenti. Esistono – li ho visti io, personalmente – anche gestori di negozi che hanno incorniciato ed attaccato la sua foto, nel retrobottega o comunque nel magazzino.
Io, al momento, cominciando ex-novo l’attività, avrei 10 punti, gentile omaggio dell’USSC.
Devo procurarmi subito una foto di Manlio Proaskinevic, e iniziare la scalata.
In fondo mi chiamo Manlio anch’io. Destino?


novembre 22, 2005

VIII.
Dura lex, insana lex! L’ufficio registrazione marchi respinge la mia idea. “Il marchio non può contenere al suo interno un’indicazione fallace o comunque fuorviante per il consumatore”: così si è espresso l’addetto a cui ho fatto visita stamani. Spero sinceramente si ammali. Ho provato a spiegare che, essendo un negozio di scherzi, esso dovrebbe godere di una sua libertà, di una sua possibilità di muoversi agilmente all’interno delle leggi. Mi hanno solo risposto che se io scrivo Alimentari Marina sull’insegna, poi è reato se i clienti all’interno non trovano pane, uova, farina, pasta e così via. Decisamente, non hanno nessun senso dell’umorismo. Anzi, hanno pure minacciato di chiamare la sorveglianza se non la smettevo di importunarli col mio pitone di gomma – ma insomma, cercavo solo di fare allegria.
Così non ho avuto tempo nemmeno per proporgli la mia seconda idea, quella del “Visone Merdoso”. Ragionevolmente, credo però che non avrebbero apprezzato nemmeno quella. Tristezza.

novembre 21, 2005

VII.
Siamo alla resa dei conti. Questa mattina, foglio bianco e penna alla mano, ho messo su carta gli ultimi nomi possibili. Dopo aver scartato tutto il resto, mi era rimasta questa idea, almeno per il logo che avrebbe dovuto esser visibile sulle insegne della mia futura catena di negozi: un visone stilizzato (da realizzare il progetto, eventualmente poteva anche andar bene un castoro, animale assai giocoso quando non già è arrabbiato per fatti suoi d’altra parte ci sta anche, mica si può essere sempre allegri – esclusi invece il bue muschiato, troppo bolso, e il celacantide, troppo estinto), con accanto qualcosa che definisca la specializzazione del singolo negozio. Ecco allora “il Visone Merdoso”; “il Visone Barbuto”; “il Visone Che Dà La Scossa”, ecc ecc. (da decidere se l’animaletto disegnato avrebbe dovuto portare i segni del nome anche nell’immagine). Avevo anche già pensato di contattare qualche zotico imbrattatele che mi debba quantomeno la fama, quando… PEM! L’illuminazione! È o non è un (o più) negozio di scherzi di carnevale? E allora sull’insegna scriverò Alimentari Marina. La gente entrerà, per comprare il pane azzimo, o un barattolo di capperi d’Antiochia, o due etti di prosciutto di Mangusta tagliato fine e… SCHERZONE!!! Rideremo tantissimo, e poi, da lì a comprarmi qualcosa, il passo sarà certo breve. E ogni negozio avrà un nome diverso: quello di barbe finte si chiamerà Latteria da Mauro, quello di scherzi generici Fotografia Marraccini, e via così. Mio dio, son proprio un genio. Compiacimento, a profusione
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