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ottobre 30, 2007

Stanco della solita minestra? Della solita vita in bianco e nero? Del fatto che la vicina (bionda, fianchi larghi ma sodi, faccia da lontra a disagio e du’ puppe così) di casa preferisca intrattenere con copule & atti matriali varî i peggio para’ della vicina caserma “Vitige Bercello II detto Trippen”, invitto eroe di Macedonia e medaglia al valor militar-anfibio per le pedisseque imitazioni dell’astice a bollire con le quali intimorì il vil nimico in occasione della myssion di pace “S.T. – Sterminali Tutti”, tenutasi in Armenia dal 22 al 31 luglio 2005, con la partecipazione straordinaria di boNbe & altri congegni fuori da ogni codice d’onor militare & miliziano. Insomma giù, vieni anche tu al

RISTORANTE-CHAMPAGNERIA-ABBIGLIAMENTO
CIPIGLIO®


CIPIGLIO® - l’unico esercizio che ti offre la certezza del successo, anche muliebre. Forti (ma non garantiti) probabilità di fellatio, anche dopo la cena o dopo il passaggio in camerino per provarsi i nostri esclusivi quanto ambiziosi capi, per lui e per lei.
CIPIGLIO® - Assaggia le nostre Pennette al Carisma e Polpa di Stronzo, o la nostra Zuppa di Fibre di Maglioni. Il Trionfo di Nani in Crosta, ricoperti con la nostra celeberrima Salsa Ambiziosa. Indossa i nostri elegantissimi capi (giacche, smanicati, giustacuore, corsetti, redingote, cotte, camicioni informi) marcati SETE DI POTERE™, e colpisci dritto al cuore la tua bella (troia). Pòniglielo.
CIPIGLIO® - e subito sentirai dentro di te il coraggio per prendere finalmente in mano la tua vita (e questo bel pajo di coglioni), ergerti fiero e scacciare con mano ferma e pugnace i fastidïosi paracadutisti che concorrono con te al tafanario della tua bella (troia – tanto loro ce l’avranno già pigiato in mille guise).


RISTORANTE-CHAMPAGNERIA-ABBIGLIAMENTO
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in via dello Spavento Feroce, 118 - Sant'Omobono Imagna di Verderio (GEC)


COSA ASPETTI? VIENI ANCHE TU, AL RISTORANTE-CHAMPAGNERIA-ABBIGLIAMENTO (& RITORSIONIFYSCALI AL 3.3%, ma in marchi tedescbi)
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Entra fiero, e mettiti a sedere con far sicuro & dispregio del più debole, dello zoppo e del minore.


Certo, poi pàgaci, magari. Ciò, onde evitare spiacevoli conseguenze, per noi quanto (soprattutto) per voi.

ottobre 29, 2007

La ‘R’ più arrotata dell’Avvocato Agnelli buonanima, la voce un po’ rauca per le sigarette da working-stress – “la mia amica Ines ha i denti quasi completamente neri, per il fumo”, puntualizza ammirata – l’accento fortissimamente milanese – noblesse oblige, nonostante non sia originaria del posto, (né ci ha voluto rivelare da dove venga) – N.C.T. è un personaggio estremamente importante nel mondo delle Public Relations lavorative milanesi. Marketing Manager, Advertising & P.R. Expert, Seller d’alto rango nonché rigorosissima imprenditrice free-lance di se stessa, ha fra i suoi meriti il rilancio del marchio Zoppas, l’aver agganciato il ricco cliente cileno Diego Montoya de tu Madre, e molti altri brand. Inoltre, ha visto il cazzo di Zucchero “Sugar” Fornaciari.
Non si è mai sposata, per – dice lei orgogliosa – “doveri di carriera”. Preferisce rimanere anonima, ancorché – aggiunge – sia molto probabilmente un tentativo inutile.
E allora ascoltiamo di
quell’importante esperienza. Il cazzo di Zucchero, dico. Ce ne gioverà.


“AlloRa – ascoltare la sua ‘r’ è già di per sé un’esperienza appagante – anzitutto, mi faccia diRe, peRò, che non mi sono mai sposata, sì, peRò a volte scopavo con dei diRigenti. Con un paio potevamo pure sposaRci.

Comunque sia, la mia azienda mi aveva dato la missione di seguiRe a livello di marketing e P.R. ZuccheRo. In occasione di cene di lavoRo coi vari brand facevo anche da inteRpRete. Io lo tRattavo malissimo, ZuccheRo. Anche peRché eRa veRamente una peRsona odiosa, che aveva pRetese che non stavano né in cielo né in teRRa. Una volta, duRante un incontRo per un recruitment in DanimaRca, a cena, RicoRdo che feci in modo di tiRaRlo fuoRi dal tavolo, con una scusa, e a quattR’occhi gli dissi: «ZuccheRo – io lo chiamavo ZuccheRo – ma sei fuoRi? Non puoi pRetendeRe cose del geneRe. Ma chi ti cRedi di essere? Quello si alza da tavola e se ne va». DavveRo, guaRdi, gente brava davvero, tipo MoRi Kanté ad esempio, con cui avevamo avuto a che faRe la settimana pRecedente, eRano tutt’altro tipo di peRsona.
Aveva anche un modo tutto suo di poRsi; molto aRRogante, diciamo. AltRe volte non capiva un cazzo di quel che l’inteRlocutoRe diceva e alloRa si giRava verso di me, chiedendomi ansiosissimo «cosa ha detto? Cosa ha detto?»; «ZuccheRo, cazzo! – Rispondevo io – stai calmo», e cominciavo a tRadurgli, a quel coglione. AltRe volte ancoRa faceva inteRventi completamente fuoRi luogo. Io lo sbRanavo con gli occhi, sul posto, e poi dopo gli dicevo: «ZuccheRo, ma che cazzo dici?».
E poi eRa aRRapatissimo, ZuccheRo. CeRcava in tutti modi di poRtarmi a letto. Una volta, dopo un incontRo in un albeRgo di PadeRno Gonzagone con un impResario belga per una sponsoRshiping, venne a bussaRe in cameRa mia. Io gli apRii e me lo tRovai subito lì, imploRante. Voleva entRaRe. Io gli dissi: «ZuccheRo, cazzo vuoi, oRa? Vai a faRe in culo!» Lui peR tutta Risposta si tiRò giù i pantaloni e tutto il Resto. Rimase a cazzo di fuoRi, lì sulla soglia. Disse:
«eh, ma che male c’è se ci sono due persone che vogliono fare l’amore!»
Io Risposi, pRendendolo per il culo:
«mah, io ne vedo soltanto una, ZuccheRo!»
E lo spinsi fuoRi dalla poRta e gliela Richiusi sulla faccia.
Lo lasciai lì nel coRRidoio dell’albeRgo, a biRillo di fuoRi. Maledetto ZuccheRo!”

ottobre 27, 2007

ED ORA, STRONZONI INCOLTI ED ABBRUTITI DALL’ALCOOL E DAL FETIDO GUANO CHE VI COLA SUI POMELLI (?), UN PO’ D’ALTA & SANA LETTERATURA. IL NOTO TRADUTTORE RAUL “BONGO” LAMORCHIA SI È CIMENTATO – BONTA’ SUA, IO NON ME NE SAREI DAVVERO GIOVATO – CON LO SCRITTORE KIRGHIZISTANO (NON SUCCEDE MAI UN CAZZO IN KIRGHIZISTAN. COME MAI? VE LO SIETE MAI CHIESTO? CONOSCEVATE L'ESISTENZA DEL KIRGHIZISTAN? ESSÌ CHE SON VICINI ALL'IRAN, ALL'UZBEKISTAN, ALLA CINA, POSTI PIENI TRADIZIONALMENTE DI GRANE & UCCISIONI ARBITRARIE. NESSUNO LI VUOL CONQUISTARE, NESSUNO NE STERMINA UN'ETNÌA, NESSUNO NE RECLAMA LA SOVRANITÀ SPODESTATA CON LA FORZA DA QUALCUN ALTRO. CAZZO FARANNO IN KIRGHIZISTAN PER STAR COSÌ TRANQUILLI?) PULCHRAM K. ISHMET BETUCCHI, REGALANDOCI LA TRADUZIONE DEL SUO NUOVISSIMO QUANTO PROFONDO ROMANZO DIPENDESSE DA ME TI GRATTUGEREI IL CAPO A FURIA DI NOCCHÌNI (INVERO, SI TRATTA D'UN TYTOLO PROVVISORIO, TIPO ERRIPÒTTER), IN USCITA IN ITALIA NEL BRUMAJO PROSSIMO (O ANCHE NO), PRESSO LE EDIZIONI LIMITROFE (LIMITROFE RISPETTO A COSA? MA A QUESTO BEL PAJO DI COGLIONI, MI PARE OVVIO)

“Mi chiamo Lorbetti Baurilio, come tutti – ma anche questa frase non è mia. Faccio o farò un lavoro qualunque, tipo rispondere al telefono e prendere appuntamenti, o ordinare materiali per costruire porte e infissi in legno. A volte sono felice; molto più spesso, triste. È che son sempre di più le cose brutte, rispetto alle cose belle; o comunque le prime pesano di più, come disse qualcun altro che ora non so bene. O magari è che è sempre più facile e comodo esser tristi. Siamo così stupidi che alla fine, penso, la cerchiamo proprio, la tristezza. E vogliamo che ci inquini tutto, anche se ci troviamo a vivere un momento bello. Che diritto abbiamo di vivere un momento bello, se si deve esser tristi perché le cose brutte sono di più rispetto a quelle belle? Perché dovremmo scindere e riuscire a attingere a presumibilmente piccole oasi di felicità, se tutto intorno è tristezza? Sai la fatica, alzarsi in piedi e scuotersi di dosso la cappa grigia che ci tiene giù, seduti piantati a terra nell’autocommiserazione e nella flagellazione della nostra personalità derelitta, ricercando il momento esatto in cui qualcosa è andato storto, perché dio solo sa se noi, proprio noi, non ci saremmo meritati quel destino, e allora dev’esser stata per forza una mancanza di un attimo, un calo di tensione, una leggerezza esecrabilissima, qualcosa che è accaduto e non ce ne siamo accorti e che ci ha fatto precipitare giù, giù, giù, in un limbo grigio e senza cielo, in cui per forza ci dev’essere negato ogni altra cosa che non sia quella, la tristezza. D’altro canto, come possiamo essere felici se tutto quello che dobbiamo fare, sempre, è rispondere al telefono per prendere appuntamenti, o ordinare materiali per costruire porte e infissi in legno? Produrre cuscinetti frenanti per sistemi meccanici? Registrare fatture? Promuovere la vendita dei nostri prodotti e servizi; i migliori, Signore, nel campo della telefonia fissa e mobile, mi creda? A voi, ve ne frega qualcosa?
Passo giorni interi senza ridere. A volte penso di essermi scordato come si fa. E invece non me lo scordo mai, sembra incredibile. Quando sono felice tendo a parlare di più, a sentire un fuoco dentro, che è forte, è contagioso, energia che si sviluppa – potrei costruirci un grattacielo, abbracciare una donna, suonare il pianoforte; scrivendo costruisco frasi subordinate, una pletora di congiunzioni, disgiuntive, avversative, pronomi relativi, i quali vanno a mostrare all’esterno quanto sono vivo, che ho ingegno, un ingegno e una voglia di vedere o questo o quello, che non è fine a se stessa, ma è un feroce bisogno di sapere, conoscere, capire, sentendosi magari i brividi addosso quando si entra in un concetto, si esperisce una nuova sensazione davanti a un quadro, si è felici perché si assapora che la vita è qualcosa di più.
Ma poi mi ricordo che il mio destino è sempre lì che mi attende, la mia dannazione continua, la mia tristezza sotto le ceneri di un attimo. E quindi torno triste, censurandomi e dando l'alt a tutto il resto. Perché: che diritto ha uno di essere felice e sentire tutto quello, se c’è sempre, poi, il basso continuo della tristezza? Quando sono triste tendo a chiuder tutto dentro, a veder tutto velato e fonte di fatica immane. Non scrivo, ma se scrivessi sarebbero frasi cortissime e secche. Così. Non c’è niente da dire, nella tristezza. È inutile e faticoso. Che senso ha capire un concetto? Perché una nuova sensazione? Prendersi la briga di fare, quando tutto quel che dobbiamo fare è vendere complementi d’arredo per il bagno, telefonare e piazzare prodotti gestionali per l’ufficio, archiviare documenti protocollati, produrre circuiti stampati per dio sa cosa. Tutte cose di cui non c’è mai fottuto un beneamato cazzo, gesù. E tutte cose che finiscono per contare più della nostra vita. Perché? Se, giocoforza, ci capita qualcosa di bello, lo viviamo quasi come una colpa, da sminuire o cancellare al più presto. Siamo un continuum che ha necessariamente un colore – ed è sempre più facile che sia il grigio, o il nero – non un agglomerato di momenti vari e diversi. Una dis-armonia grigia e triste che preferisce desiderare qualcosa d’altro e di lontano, invece di ragionare e scindere le cose e godersiproteggersi, a seconda del momento. Perché?"

ottobre 24, 2007

SEBBENE CI SIANO ZONE & PERIODI DELLA MIA VITA (PRATICAMENTE TUTTA, GIORNO PIÙ GIORNO MENO) CHE MAI E POI MAI VORREI AVER VISSUTO, TIPO QUANDO ANDAVO A SUONARE WONDERFUL TONIGHT IN PIAZZA A TABAGISMO MILIZIANO VAL DI SOPRA COL MIO PARENTE PANETTONE® CHE CANTAVA E STRIMPELLAVA, EMULO PROVETTO DI UMBERTO SMAILA E TUTTA QUELLA FOTTUTISSIMA GENÌA (PER TACERE DI QUANDO SALTAVA GLI A CAPO O PERSISTEVA A CANTARE SUGLI A SOLO STRUMENTALI); SEBBENE TUTTO CIÒ, PVRTVTTAVIA (SÌ, PROPRIO PVRTVTTAVIA) STUPIDITÀ MI MÒVE A DAR NOVELLAMENTE LA STURA A


I RICORDI

Mi ricordo, sì mi ricordo, la professoressa Bertelli. Orbene, la professoressa Bertelli – insegnante d’inglese presso il regio istituto delle pie suorine maculate e repubblichine, scalze e senza portafoglio “Aurelio Fierro” eroe d’emigrazione & lagrime – sosteneva d’essersi fatta potenziare l’udito, all’esclusivissimo fine di impedire il loro sporco gioco agli alunni che suggerivano ai compiti o alle interrogazioni. Nonostante fosse alta un metro e un cazzo e avesse capelli color della stoppia degli spaventapasseri, elegantemente raccolti in un taglio a paggio/mocio vileda, tutti la temevano molto, e l’avevano soprannominata PROFOCOP. Quando qualcuno non sapeva la classicissima segaccia nulla, alla lavagna come davanti all’apodittico foglio protocollo bianco piegato in due, la professoressa Bertelli sorrideva serafica ma inesorabile, guardando negli occhi il malcapitato che credendosi fvrbo, aveva ardito suggerire alla stolidissima phya de’ suoi sogni, confidando magari in future ricompense al cambio dell’ora (toccata poppe/dito-nel-culo/masticone rrrapido): “è inutile che ci proviate, vi sento, ho l’udito potenziato”. Non era permesso neanche alzare la testa dal foglio. La professoressa Bertelli era sposata col professor Bertelli, il quale invece insegnava lettere e aveva la voce perennemente fioca e dei meravigliosi denti da cavallo, tantoché teneva le labbra arricciate per farli  vedere meglio. Il professor Bertelli andava in giro con un orridissimo shearling peloso e (ce ne sarà di gente strana, al mondo?) le scarpe coi tacchi. Molto alti. Dopo un po’ di tempo nella stessa scuola entrò la figlia dei due, che insegnava Tedesco, e aveva altre particolarità, tipo i metodi da nazista e l'interrogazione-confessione.
The Bertellis sapevano a memoria tutto lo scibile, dividendoselo.
Comunque la si voglia mettere, poi gli anni son passati veloci come merde che seccano sui binari del tempo (ah, son pöeta!), e adesso (sempre che non sia morta, sepolta & mangiata da’ vermi – si sa: la vita è crudele et inesorabile) la professoressa Bertelli probabilmente avrà fatto installare nella parte esterna della coscia destra una pistola laser (nella sinistra c'è già lo scanner delle inclinazioni di pensiero dell'interlocutore), utile per terminare qual dei riottosissimi alunni moderni osi anche solo pensare di suggerire al compagno in difficoltà il past tense del verbo to bring.

ottobre 22, 2007

COSA GIUNTA CAPO HA. O - ALLE VOLTE - ANCHE NO. MA CIO' - COMUNQUE SIA - NON E' BELLO?
 
"Nel ringraziarla per l'interesse dimostrato (1), la invito a visionare il nostro sito: www.media-work.org.
In questo modo avrà la possibilità di conoscere meglio l'opportunità che Le offriamo: nella sezione Programma Affiliazione ed ancor più nella sottosezione Affiliati (2), potrà comprendere appieno per quale motivo parliamo di "rivoluzione" nel settore delle Risorse Umane.
Come avrà modo di capire, visionando il sito, stiamo cercando persone in grado di fare la differenza, con un marcato spirito imprenditoriale e che alla domanda "in quale azienda lavori?" VOGLIANO poter rispondere: "Io lavoro nella MIA azienda, lavoro per ME STESSO!" (3)
Dopo aver visionato il sito, se la risposta alla domanda "in quale azienda lavori"?, è sempre: "Io lavoro nella MIA azienda, lavoro per ME STESSO!", allora ci invii una mail di risposta alla presente indicando in Oggetto: VOGLIO FARE LA DIFFERENZA (4).
Provvederemo immediatamente ad attivare la seconda parte della selezione.
La ringraziamo nuovamente per l'attenzione dimostrata nei nostri confronti (5) e nell'augurarLe di realizzare il Suo sogno, la salutiamo cordialmente.
Il responsabile sviluppo
L. T. (6)"

________________
 
(1) quale interesse dimostrato? Quando? Chi diavolo siete, voi? Chi v’ha mai cercato?
(2) scusi la sintassi
(3) cfr. nota precedente
(4) ahahahah scusi eh? Ma a scrivere tutte queste puttanate, a volte mi ci scappa anche un po’ da ridere, spero capisca, se non capisce è uguale
(5) chi le avrebbe dimostrato attenzione? Quando? Chi diavolo siete, voi? Chi v’ha mai cercato?
(6) Latrina Tonante? Leprecauno Troncato? Lamezia Terme? Lèvigamelo Tutto? Leccami il Turgore? Che tipo di usanza porcella è, esattamente, quella di firmarsi con le iniziali?

ottobre 20, 2007

MORCEAU #39, in la minore con piselli e crosta di pepe

“Chi diavolo è quell’elegantone che balla come un tortiglione, là?”
“Quale elegantone?”
“Laggiù… il misto fra Ricucci, Umberto Smaila e Mauro di Francesco”
“ah, quell'elegantone. Non lo so; so solo che è il fidanzato di quella con cui balla, quella mora…”
“fidanzato? C’avrà cinquant’anni, c’avrà…”
la festa volgeva al termine, più o meno. Ricucci-Smaila-Di Francesco ballava come se avesse avuto diciott’anni, invece dei suoi cinquanta, sfoggiando una rovescia improponibile su jeans attillati, camicia bianca, scarpe a punta e panciotto lucido su giacca blu. Tremendo.
Io mi diressi al bar. Chiesi un caffè; lo zucchero ci cadde come uno stronzo nel cesso. Plop. Dall’alto, un blocco unico. Plop.
Poi notai quell'altro, con un look che pareva mirabilmente sintetizzare fra un buon vecchio zio itle e un Oscar Wilde da cartolina, zazzera a ciuffo e baffetti a sfregio su vestito grigio antifrastico con cravatta a calzino.
Guardai fuori. Fuori era molto freddo. O pioveva, il che fa più o meno lo stesso.
Niente avrebbe valso il mio mug che fumava; non fosse che non era affatto un mug.
E non fumava.

ottobre 14, 2007

when it is truly time,
and if you have been chosen,
it will do it by
itself and it will keep on doing it
until you die or it dies in
you.
there is no other way.
and there never was

(C. Bukowski, so you’d want to be a writer?)


what you do is take whatever luck comes your way and pretend
you know more than you ever
will.
right?

(id., the Mexican fighters)

ottobre 12, 2007

Ah, quanto tutto è molto quïeto, quanto tutto è molto calmo, dacché son dysoccupato, e mia optima occupatio è rifare il letto, risciacquar stoviglie-scodelle-terraglie, tender panni anziani. Son qui con un mug del MOMA, nero nero come il caffè modello Starbucks che c’è dentro, con tanto di spruzzata di cannella e sugar-in-raw da frugare. Potrei lumare dalla finestra del mio loft un po’ di miseria, giù da basso, e scrivere di rabbia & frustrazione il Grande Romanzo che il mondo brama. Potrei mettere il camicione di flanella a quadri e guardar la pioggia sui vetri appannati dal vapore sprigionato dalla mia tazza di caffè, pensando pensieri acutissimi & lucidi su come questa società schiacci l’uomo e tutte le sue migliori aspirazioni, tenendolo compresso in una prigione che si chiama lavoro&dovere. Ma sono il tytolare dell’unico (un dei pochi, via…) blog che sdogana la merda e tutti i suoi derivati. Inoltre, non ho un loft, e non piove. Se guardo dalla mia finestra vedo una casa deserta colle persiane anziane, e un bel po’ di putridissimo pacciame. A dirla tutta non ho nemmeno il caffè con me. C’ho pensato sì a farmelo, poi mi faceva una fatica strafottutta, quindi niente. Tutt'al più un biscottino alla lampreda.

Tutto ciò premesso et considerato, cosa assai più a misura sarà il tornare ad occuparsi di ciò che mi si confà maggiormente, che nel caso in questione mi pare siano i

RECORD DI PALESTRA™

Quest’oggi (sì, quest'oggi una sega, neanche fossero quotidiani, ma vaffanculo): SFIGA®


Sfiga® dispone di due belle file di denti, in bocca. Due sopra e due sotto, come gli squali. Si badi bene, non si tratta di una manciata di denti sparati a caso; no, son due file, una davanti e una dietro, ordinatissime, solo magari un po’ pigiate. Perlopiù son tutti canini, non affilati. Sfiga® porta un par di tristissimi occhialini tondi, da vista ma con le lenti che s’oscurano, ed ha una capigliatura a metà strada fra il paggio con ciuffo (che si ravvia con la mano – brivido terrore & raccapriccio!) e il tortino di merda colato sulla calotta cranica, la quale è incredibilmente tonda ma sgraziata. Sfiga® pare un po’ Dan Aykroyd di qualche anno fa, solo meno interessante e più Sfiga®, se si capisce quel che intendo. Sfiga® è nerd e brindellone ma col buzzo, ed ha il mondo in gran dispitto. Il suo umorismo, pur essendo buono d'animo (si badi, quasi come Fungo - qualcuno studi la sintomatologia dei due casi), è vicino allo zero. Fa esercizi quieti e inutili; par fatto col trincetto, e ti saluta e dice “ah, io son contrario al computer”. Peccato che anche il computer sia contrario a lui. Sfiga® l’ha detto - pare - anche al suo professore. Fa statistica, o qualche cosa di matematicamente inutilissimo. Come si può, come, non volere bene a Sfiga®? Si può, eccome se si può. Tutti possono essere odiati. Anche voi. Ancor più se siete Sfiga®, con la vostra dentatura meravigliosa.


ottobre 10, 2007

Ed ora, per il consueto (consueto?) angolo dell’aforisma, tre massime/quesiti zen. Si badi, per rendere il tutto più interessante (interessante?) di fatto uno dei tre non è valido o vero o comunque applicabile ad una ipotetica filosofia zen (es. te rivògamelo pure nel ciarrapìco, che tanto non men cale, a me, son zen io sissì). Si provi a indovinare quale. Chi vince diventa zen (o anche zang, dipende dal cognome) seduta stante, e sarà omaggiato di relativo giardinetto pènco e mini-rastrello utile anche per grattarsi fra le scapole nella pausa pranzo.

a) È possibile vedere un gatto nero in una stanza buia, se il gatto non c’è?

b) Per quanto tempo si può asciugare un lavandino con una spugna da piatti?

c) Come può un albero fare rumore cadendo in una foresta, se schiaccia quelli che erano lì per sentirlo?

Tentate la sorte, su, stronzoni! E ricordate che, per quanto sia certamente meglio un amico oggi di una gallina domani, un po' di brodo però costa sempre poco. Così disse il saggio, prima d'illuminarsi e divenire un ottima fonte di calore indotto (a cosa? Ma al mal fare, è chiaro!).

ottobre 09, 2007

Bada un po’, amore:
non ti par che quella pasticceria, lì, païa un po’ il Flatiron Building? Eh?


Report #1 (comunque sia non ne seguiranno altri)
Ebbene, mie’ sodali (de’ miei coglioni); sono stato sì un po’ in girino, e ora son tornato, pronto et agile, per raccontarvi quel che m’è successo. Ve ne fotterà forse il proverbiale nerchione™ d’Aronne? Supporrei anche – e sareste pur nel giustissimo e nel retto; purtuttavia, non volendo venir meno a natura & inclinazioni mie molestissime & spregiose in sommo grado, certo non posso tacer l’inevitabil mossa (di corpo) che mi spinge a – lagrimando – dire. Eddunque.
Eddunque, da’ miei peregrinamenti pel mondo ho riportato la ferma convinzione che se (voi) state a casa vostra, è sycuramente troppo meglio: meno gente in giro, meno casyno, meno dementi con la maglia di Gattuso che cantano pooo-po-po-po-po-pooo-poooooooo, meno sgallettate che diranno miii ma io guesta gua già l’avèvo viscta, ma era molto pppiù rrròssa, di fronte ad un qualsivoglia ritratto di Dora Marr o Stanze blu o chissà che altro.
A giro pel nostro globo terracqueo (son stato a Capresia Inferiore, Remigio, Lago Sornione, Puliciclone, FanteQuadro di Sorcagna, Castrone Val di Minchio – ah, la bellissima Castrone Val di Minchio!) ho visto tanti cartelli di attraversamento alci, alci mai, una volta una puzzola schiacciata, iosa di scoiattoli codoni e (ma meno) scojattoli cip&ciop (è la razza – si chiama veramente così, potessi morì), un qualcosa che volava alto e che poteva anche esser un falco ramaccione o (più probabile) un piccione tabagista; ho pestato nr. 1 merda di (presumo) cane, mangiato in svariati posti tutti diversi e orinato in relativi quanto diversissimi orinatoj; ho visto pettinare molti cani altezzosissimi e pieni d’un sussiego ignarissimo della consapevolezza d’esser bestie del tutto inutili e moleste; urtato un gobbo proprio sulla gobba (m’ha guardato malissimo, e m’ha detto pure pezzo di merda nel locale idioma – dico: son garbi, questi?), e rubato nr. 6 mele dalle ceste degli alberghi, pur se in tempi e luoghi diversi; riportato e battezzato ben 3 (uno) gatti di pezza e legno (separatamente: uno di pezza, due di legno): Arturo, Barney e ZonkerHarris. Questo, nell’ordine.
E poi ho vissuto lei. L’esperienza più mystica possibile nel nostro globo terracqueo, che domeneddio signore l’abbia in gloria (il globo, no l’esperienza più mystica possibile nello stesso, ché la cosa va da sé, mi par chiarissimo & superfluo).
Quindi: cena in quel di Wurstellone, ridente paesello ai piedi del monte Topo. Il ristorante in questione (Elettropus, di Emilio Piancastelle, aperto tutti i giorni anche la sera a cena e il giorno a pranzo, prezzi modici e luci spente sennò si consuma troppo) proponeva, con spiritosa incongruenza anatomico-animale, le “ali di bufalo”, riportando il nome sur la carte (è francese, bestie!) in un’antica lingua locale, un misto di indiano e celtico che ricordava tanto l’inglese, ma ora non stiamo qui a sfrucugliâr l’arcano, né tampoco il fatto che poteva agilmente trattarsi (come argutamente suggerì l’ottimo quanto povero Ampelio Beluga, subito prima che un subitaneo et improvviso crampo totale gli fosse fatale, jer l’altro sera, dopo che s’era appena visionato insieme “Terrore a Vajano/Vernio”, dei fratelli Coen) di ali (di pollo, o di simil bestia pennuta et indi dotata di appendici sul genere) cotte alla maniera di Buffalo.
Le ali presentavasi sur una terrina immacolata, ricoperte di salsa rosso elettrico fluorescente e circondate da’ sedany et altre cose inutilissme (tipo il Cardone, o anche gli Zerri) che il nostro globo terracqueo si ostina capzioso a darci, scordando che l’omo vero ha da essere carnivoro e regnare su tutte le bestie ammazzandole a testate (o anche a schiaffi) per poi mangiarle completamente, ponendosi meritamente a capo della catena alimentare fatto salvo quando caschi in mare e c’è gli squali che allora si rifanno di tutte le angherie a nome anche dei polli nelle stïe e de’ porcelli macellati.
Scansato veloce quanto giustamente l’inutìl verzura, gettavami avidissimo sul proteico manufatto, pensando tutt’al più a qualche ingrediente radioattivo o a simil diavoleria gustosa quanto pericolosissima, scoprendo invece tosto il pervicace piccare del piatto in sé, capacissimo di sommuovere alla sudorazione frontale copiosa et al lagrimar delle cavità occipitali.
Tuttavia, trovandomi io in muliebre quanto aggraziatissima coNpagnia, giocoforza trovavami a dissimulâr (abilmente, mi lusingo) il pizzicor perniciosissimo, anche coll’ausilio del ripetuto passare (elegantissimo) della sarviette à papier di cui ero stato fornito, sulla fronte prima e sulle mani unte poi, giacché le ali, come ognun sa, si mangian COLLE MANE®.
Proseguito tenacemente nell’opra fino all’esaurimento del manicaretto, tintomi d’unto financo alle basette, e negato ostinatamente l’eccessivo piccar dell’orribilissimo intingolo, trovavami dunque a necessitar d’infuso delicatissimo al finocchio&meringata per calmare lo stomaco in subbuglio; indi proponeva (io) alla muliebre coNpagnia, con una nonchalance a cui verisimilmente non avrebbe saputo attingere nemmeno il duca d’edinburgo, fosse stato ancora vivo: “osséssi pigliasse un tisanyno, Ravanesyo?” (Ravanesyo è ‘l nome in codice della mia coNpagnia della sera in questione; ciò imperocché io, essendo gentiluomo, non l’ardisco certo nomar col nome vero, pur se questo avesse a esser’Ampelio, o Nedo, o Rufus).
La risposta a metà non favorevole (“te t’attacchi… io piglio ma ‘l dolcino al canapé”) non scoraggiommi troppo, e proseguii ordinato nel tentativo di calmar la bile, surgandomi placido ma solo il riposante nappo pien di liquame tèpido & giallo, ottimo alla bisogna.
La notte passò indenne, e similmente la mattina, fin verso l’ora di pranzo, allorquando trovavami a dover lasciare Ravanesyo raminga presso la locale fattoria Waylon Smithers inc., posticino veramente fine ove c’eravamo recati nella speranza di poter ryportar NECO (che si dica, neco?) locali prodotti della local pastorizia & agricoltura (il cheddar alle pere, lo sciroppo di crescione, etc.) e, a seguito della pressante nonché abilmente dissimulata, quanto ad urgenza, richiesta della presenza o meno d’un bagno ne’ paraggi all’inserviente, recarmi tosto entro il vespasiano (c’era!), a pagare il dolorosissimo e dilazionato fio che ‘l bufalo serale imponeva, a mezzo d’una defecatio calidissima et piquante, col teNpo che passava a piene mani (oddov’eri finito, chiesemi appo Ravanesyo; sta’ bona; dopo ti racconto) e lagrime che sgorgavano dagli occhi, involontarie eppur tenaci. Una cosa veramente mai provata, e una sensazione nuova nuova, a rinverdire il detto che a girare il mondo t’impari tante belle cose e vedi posti e genti e cessi.


...è proprio vero, sì: gente che vai, paese che trovi. (Cazzo c'entra?)

ottobre 03, 2007

Signore; Signori; Merde:
è con gïoja somma et alacre (in realtà con malcelatissima scarsità d’entusiasmo frammista a stizzitissima malavoglia) che vado INDJEGNIOSO a rinnovar tosto (tosto una bella sega, come si potrà ben arguire; ma come diciamo noi in quel di Calatrava, quand la fava si puppava in cul s’andava e seco un cazzaccio si portava: chi va piano va sano e s’infarina, va lontano chi dorme giù in cantina – tanto per cytare il sommo demiurgo di qui, oh bontà sua, quando ne rimembro ‘e versi sapeste sapeste il pesto antico, per tacer delle mosse di corpo e botte forti a seguir rrrapido) il mio complicatissimo congegno genera-rutti (per cerimonie, facili momenti di trionfalismo o solennità, trivialità amena, etc.), assommata alle consuete (e a marca CEAP – ora però basta parentesi, eh?) lyngue di menelicche (però aromatizzate al ginseng agliato e in fiamme, per una ancor più sympatica riuscita), palloncini scorreggioni et simil maraviglie ludico-fanfaristiche; il tutto - 'nzomma - per comunicare a tutti quanti voi, signore (ivi includendo anche troje & bagasce – s’era detto basta parentesi, oggesummaria, non ci si capisce più un cazzo), signori, merde, che…
IL PAPERO È TORNATO!!!
(cioè, questo è da ritenersi valido almeno ai sensi dell’art. 346/bis del D.Lgs 1006/2007 comma 1 fratto 2, elevato a potenza al 15 e stretto fortissimo cor una brugola del 16 tipo jer sera che stringevo quella della doccia e nel frattempo pensavo a te, o Bruno – insomma, ciò vale almeno finché non mojo, o la pellagra non mi fiacca nel corpo, oltreché nello spirito; il tutto senza tener conto certo delle normative sulla privacy, che m’imporrebbero anche un bel ballino di cazzi mia, coatti e necessarissimi, anche perché non avendo io né idee né costrutto alcuno nell’apporre scritti tipo di questo tenore, cosa cazzo ci scrivo a fare? Eh? Eh? Eh?)
Comunque sia: ne siete contenti e/o orgogliosi? Ylari? Gai? Ghei? Frei? Gei? Pei? Tei? Ci-ci-ci-ci zzzif? Frim-frum-frum-prem-prem? Preeeeeeeee? Broooot? Zum prim prem graaaa prem prem prem PRO! ZOT! PEM!
Sì amici (amici una bella sega, mio unico vanto e potere è dirmi orbo e monco soprattutto d’amici, dai quali mi guardi bene iddio, come diceva bene il saggio Sasgavronsgkij, prima di morire morto stiantato causa il meccanismo a pressione del suo necessaire), son tornato, e dunque m’è d’uopo in urgenza assoluta salutare il Fratini, che trovasi disperso nel mar della Cina, a seguito d’un maldestro nonché pedissequo tentativo d’imitatio Marco Polum Florentinum. Il Kublai Kahn l’ha iNprigionato, offeso dalla di lui gradazione rosso-arancio del cuojo capelluto, oltreché dal bieco tentativo di spaccio di sostanze nocive (il cumino) presso l’autoctona popolazione indigena. A breve (anche no) farò partire una sottoscrizione/colletta/rosarione-a-boe affinché il mariuolo/manigoldo/facciona-di-cazzo-gialla ti liberi, non temere, caro Lei (Lei chi?). In the meanwhile, una prece per te, caro Lei (Lei chi?) e pensa, mentre guardi il mar giallo, a spiegarmi come cazzo farà un mare a esser giallo, oh ma allora se le cercano proprio eh? È come se laggiù, tipo in NÉGRIA™, ci fosse il Lago Negro – eh, voglio dire, almeno non tiriamoci la zappa su’ piedi, eh?
Comunque sia, svelto (participio passato di svellere, lo dico péi meno abbienti culturalmente e/o grammaticalmente – ammesso che così si dica, poi, sai la figura da Capomastro-A-Palazzo) dagli umani obblighi quotidiani qual questo presente testé sbrigato, assenza forzosa et ingiusta m’imporrebbe ora, a rEmedio & consolatio degli afflitti, che raccontassi quantomeno un dracma di quanto m’è successo et accaduto (pleonasmo, sì: sfava?) in questi ultimi mesi e giorni et ore.
E invece nulla, puppatemelo duro. Alterigia & dispregio son gl'unici miei palpiti, ormai.
Pvrtuttavia vi rammenterò io che, notando com'in sede di commento precedente avete Voi mentovato – bontà vostra, io al massimo ricordo quando Ivano Bonetti giocava ala sinistra nella SANDORIA – Isozaki, quello del museo di Milwakee (“Lamiere mosse da magico vento, forse di provenienza rettale”, opra da me vysionata solo in foto, PULTROPPO) di cui ora non ricordo il nome, oltreché soprattutto il Calatrava (sia in forma d’inclito principato nonché d’architetto); vi ricorderò, dicevo, che di ponti di Calatrava ce n’è uno anche nel ridente paesello di Gello (puppatemi l’uccello – oioi, la rima, LA RIMA!), vicino al Turco, notissimo ristorante in cui è possibile fumare-come, bestemmiare-come, cacare-come – appunto – un Turco, non fosse che il proprietario trovasi ad essere Ferruccio Mirco, anni quarantatré, nativissimo della vicina Val Fiammona (prov. di Degrado), nonché orgoglioso possessore di regolare abbonamento al mensile “Beccaccia Oggi”, rivista in cui l’omonima bestiola vien vezzeggiata péi suoi cangiantissimi colori et piumaggio, salvo poi averlo regolarmente in culo ad opra di cani, cacciatori e picadores; ragion per cui – in definitiva (ora caNbio discorso & soggetto & costrutto, tornando a bomba al Mirco, scusino l’arditissima syntassi) – se assumete coNportamenti riconducibili agli usî dei discendenti dell’Impero d’Oriente il proprietario magari se n’ha parecchio a male.
Orbene, questo ponte di Calatrava - al contrario dell'altro, syto sul sivilliano Guadalquivir (tocca quir - ahahahahah) e constante in un complessissimo quanto spartano e di dubbissimo gusto pezzo di cemento ritto nell'aere (sì, proprio tipo fava), con agganciati ogni sorta di tyranti a gioiosissimo caso & capriccione dell'artista - è tutto di ferro e joni d'elettricità, ed è uso comune che la gente l’attraversi canticchiando un facile quanto orecchiabile motivetto, che qui non riporterò, giacché a scriver l'ovvio si fa peccato, ma ci si azzecca quasi seNpre, come diceva coso lì, cé ghevara (o era Scevarnazze?). Che poi, conoscendo io il sommo Avviatura™, lascio benvolentieri (in realtà no, è solo che c'ho da andar a prepararmi un bel panino alla frittura & cecy fischioni) l'onore a lui, di scoprir l'arcano.
Come direbbe il Calatrava: porgetemi la mano, vi saluto. Giuro, non vi ce la metto, la fava...

PLOP!