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agosto 24, 2009

Questo posto è per me una costante, mio estremo malgrado. Un luogo in cui finisco sempre per trovarmi, in un modo o nell'altro. Avrò avuto... ma sì, non importa che dica “avrò avuto”: avevo 14 anni, 14 anni ancora da compiere, ed era il 1989. Si può esser precisi anche parlando di cose non tangibili o troppo chiare, come un malessere, un'idiosincrasia, una repulsione somma. Perché questo è quello che è: una repulsione, una non possibilità di sopportazione, cui fa da contraltare una qualche forza che qui mi riporta, a intervalli irregolari – perché niente è regolare nella vita – ma costanti.
Questo posto è il mio personale pozzo dei non-desideri; oppure, con meno wonderland, quanto di più negativo ci possa mai esser stato, per me. Ci sono venuto a scuola; ci sono tornato una prima volta per lavoro; poi una seconda; e poi infine una terza, adesso. Sullo sfondo – e mi domando: poteva essere diversamente? Sì che poteva, ed è molto significativo che non lo sia stato, invece – anche orride frequentazioni/disavventure con l'altro sesso. E – badate – non è solo perché ero un adolescente ed ero a scuola ed eran le prime esperienze e quindi è normale e chi non ha mai vissuto 'ste cose e via così. No. Poi, non ero più un adolescente, non ero più a scuola e non eran le prime esperienze. E il risultato era lo stesso.
Voglio dire: tutti noi abbiamo avuto momenti brutti, senz'altro. E tutti noi li abbiamo legati in un modo o nell'altro a qualcosa: a una persona, a una stagione particolare, ad un semplice dettaglio, ad un odore. Le madeleines di Proust, per citare illustre esempio nobile, che a lui aprivano le porte dei ricordi d'infanzia. Le mie madeleines andate a male: io non posso certo sostenere che tutto quanto mi è capitato di brutto o spiacevole nella vita sia da mettere in relazione a questo posto (o a tutto ciò che da questo discende) e far così la più semplice delle equivalenze; tuttavia non c'è, dico, non c'è un evento positivo che pur riesca a ricollegarvici. E questo, pur avendoci sprecato ormai una buona parte della mia vita. Ma non è questo, il punto, in fin dei conti. Sarebbe chieder troppo, né vorrei momenti belli da ricordare. Quelli li ho, e li ho su tutt'altro piano e fanno parte di me e mi fanno anche da scudo. Semplicemente, io continuo a chiedermi: cosa diavolo c'entro io, con questo posto, con questo posto e la sua mentalità e la sua globalità e i suoi spiacevoli individui? Niente. Io non c'entro niente. Perché non riesco a lasciarmelo semplicemente alle spalle? Se tu capisci di non essere un pesce e ti trovi nel mare, ti rendi conto che dovrai per forza uscir dall'acqua, prima o poi. Cosa ti succederebbe se continuassi a rimaner nell'acqua e non fossi un pesce? E non sarebbe forse la cosa più naturale del mondo per te che hai appena scoperto di non essere un pesce uscir dall'acqua? E, allo stesso modo, non sarebbe perfettamente consequenziario non rimetterci più piede – perché hai scoperto che son mani e piedi, non pinne – se non per poco tempo e con l'assoluta certezza che nell'acqua ci sei solo di passaggio?
Sì lo so, gli exempla sono un conto e la vita è un altro, e non sempre – anzi, quasi mai – si fa quel che si vuole o si desidera; ma insomma, a tutto ci dev'essere un limite, no?
E io a me ci tengo, tra l'altro. E so che scrivere è esorcizzare.
O così pare, o così mi immagino io. In ogni caso, si tratta di provarci: scrivendo puoi rimettere in scala le cose, o dargli il giusto peso, o farti più forte rispetto a loro. Scriverne è lasciare quel che vogliono sia fatto per dir qualcosa che senti di dover dire, pensandoti, anche se per poco, libero - e la parola libero, credetemi, sarebbe da intendersi nella sua accezione più piena: libero, libertà, assenza di costrizioni, senza nessun vincolo o pastoja; ma anche adesso vale eccezion fatta per il telefono, il fax, l'e-mail - d'altra parte, devi  sempre servir qualcuno, diceva Bob Dylan, e questo è quanto di meglio posso essere e fare al momento. Anzi, a pensarci sento già le urla di domani, le continue insopportabili tirate e bofonchiamenti perché a seguito del solito sconclusionato controllo questo non è stato fatto, questo nemmeno, quest'altro neppure.
Io so che vado in un'altra direzione, e se anche c'è una forza che qui mi riporta, in un modo o nell'altro, riuscirò ad uscirne, perdio.
E questo è il massimo che posso fare, per adesso.
E adesso vaffanculo, torno a provare a vivere lo scampolo che ne resta al di fuori.

4 commenti:

Lypsak ha detto...

Ho un'idea.

Trasferitevi a Tolosa. Anzi, a Osaka, più lontano.

Poi voglio vedere come fai a fare il pendolare da là.

ciofo ha detto...

Purtroppo non funziona cosi', ci sono posti in cui si torna in un attimo indipendentemente da dove e quando siamo :-(


Sarebbe anche bello tornarci per poterli nuclearizzare adeguatamente cosi' poi vedrai imparano, butwoman neverwing!

utente anonimo ha detto...

è bello, butwoman neverwing...

molto bello...

utente anonimo ha detto...

E allora continua a scrivere e renditi libero e più forte di loro. Quella stessa forza che ora lì ti riporta, prima o poi, si piegherà alla direzione che tu vuoi che prenda. E riuscirai ad uscirne.