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dicembre 31, 2004

PROLASSO INTESTINALE – IL TUO NUOVO, APPASSIONANTE, INCREDIBILE FILM DI NATALE


Arriva un nuovo, imprevedibile personaggio che amerete. È il commissario Aldino Pistone, detto Bottazzo II da Gàttide (per distinguerlo dal padre, Artidòro Pistone, detto appunto Bottazzo I, l'unico uomo capace di riempire un cappello da posta al sassello – grande record e orgoglio paesano, da sempre), che con le presenti festività entrerà nei vostri cuori e nelle vostre case per non uscirne più. Goloso di frattaglie, rigaglie e cervella di pollo, anche se ciò che lo fa letteralmente impazzire è la cipolla del suddetto animale, violerà la vostra intimità, venendo letteralmente a stabilirsi nel vostro tinello e/o soggiorno, entrando di prepotenza nelle vostre conversazioni quotidiane, spiandovi mentre rilassate le stanche membra, assisi su comode & linde tazze WC, che lui poi insozzerà coi suoi liquami & miasmi corporei, (avviso: mangia tanto, e se non gliene date s’incazza come un triceratopo impaurito. Il fatto che venga a stabilirsi a casa vostra, poi, non v’allarmi: egli sarà infatti in possesso dei nominativi di tutti coloro i quali, al cinema, faranno il biglietto per entrare a vedere il suo film e, ora da uno, ora da un altro – guai a creare rivalità, e/o far preferenze! – spenderà la sua immagine fisica venendo a trovarvi, allietando così la vostra altrimenti ben misera vita. Voi accoglietelo sempre festosi, celando al meglio che potete il vostro disappunto o la vostra intolleranza: potrebbe essere assai pericoloso. Soprattutto, non fate commenti sul suo esser completamente glabro, che si offende irrimediabilmente, e sputa)
Il film in questione, intitolato appunto “Prolasso Intestinale” (regia di Johnny Dr. Merda, nelle sale per l’epifania p.v.) vedrà il vostro futuro eroe alle prese col suo primo, intricato caso. Il commissariato di Gazzurrone Marittimo, provincia di Gàttide, è oberato dalle telefonate della popolazione locale, terrorizzata da una strana forma di morte: le vittime vengono trovate, il giorno dopo, con un prolasso intestinale e un ematoma al gomito destro. In un lago di materia fecale. Il tutto con una firma (nella materia fecale, ovviamente, e fatta rigorosamente a mano): JACK LA SEGA. Dopo che l’aitante commissario Bottazzo II se n’è ampiamente sbattuto i coglioni, di tutti loro (“voglio dire… m’impiegavo alla SITA, se volevo lavora’”, recita il nostro eroe, all’incirca dopo cinque minuti di film, davanti a una bella tegamata di frattaglie & cipolla di pollo, cucinategli dal suo inseparabile assistente & amico – ancorché di razza innegabilmente inferiore quindi destinato ai lavori più umili, tipo parlare al telefono coi cittadini, pulire le cucine impestate d’unto, giocare d’azzardo cogli allibratori clandestini per conto di Bottazzo II, spacciare crack nei più vicini asilî, riscuotere le mazzette presso le vecchiette, magari molestandole con uno steccolo intriso di materia fecale – il fido Canìsio Lo Rògnone), ecco che la situazione prenderà una piega imprevista con l’arrivo in scena di Gèppo il Folle, che in una banale lite (nel “Pub della Ralla”, unico locale del paese, stava discutendo su quale fosse il principio politico più importante nella Francia dell’Ottocento – e il buon Gèppo propendeva, com’è anche giusto, razza di asini senza cervello né memoria, ma come cazzo fate a non convenirne, per il “giusto mezzo fra gli estremi” di Guizot, nella Francia di Louis Philippe d’Orléans) ucciderà Canìsio, responsabile di un'espressione alquanto ingiuriosa verso lo stesso Guizot, idolo di Gèppo il Folle ("Guizot? e chi cazzo è?"), soffocandolo tra gli stessi vapori d'unto della cucina.
Gazzurròne Marittimo ne sarà sconvolta, e allora e solo allora (solo perché così non può più avere i suoi manicaretti rustici ma grevi?) il commissario Aldino Pistone, detto Bottazzo II da Gàttide, inizierà ad indagare. Inquietanti scenari gli si apriranno allora davanti agli occhi. Tantopiù che è solo da dopo l'apparizione di Gèppo il Folle (detto Jack la Sega dagli amici più intimi, giacché Gèppo il Folle è solo il nome della madre, da signorina) che son cominciati tutti quei casi, ma forse questo non dovevo dirlo, mannaggia ecco ora ho sciupato tutto il film. Porca troja.

Comunque... accorrete numerosi, il cinema vi aspetta! PROLASSO INTESTINALE! Fatevi affascinare dall’intrigante Gazzurròne Marittimo e dai suoi operosi & loschi Personaggi! Seguite il grande Bottazzo II, nel suo peregrinare! Andate un po’ affanculo, con l’anno nuovo. Merde.


Con Giorgio Ariani nella parte di Bottazzo II.
Sandro Bondi in quella di Canìsio (grande soddisfazione dello spettatore, quando spira)
Valerio Merola nella parte di Gèppo il Folle.


(e con le partecipazioni straordinarie poi di: Meat Loaf, Ferruccio Soleri, Hidetoshi Nakata, il budello di so' ma', Maurizio Costanzo, Paolo Poli, Pippo Franco, Franco & Ciccio, Lina Wertmuller, gli Articolo 31 però tinti di verde, varî amici del regista, anche carnalmente parlando)




PROLASSO INTESTINALE! E FARE LA CACCA NON SARA' PIU' LA STESSA COSA.

dicembre 27, 2004

...anche quest’anno il SS. Natale è alfin giunto, e giù al misericordioso orfanotrofio delle suore Lupine (scalze, ma con portafoglio) “San Lupone III d’Antiochia”, lo abbiamo passato nella gozzoviglia più sfrenata. Noi bambini, trepidi & giocosi come sempre, tutti gli anni, lo aspettavamo a gran gloria. E la festa non ha tradito le attese, alla faccia di quel mantrugione gobbo del Leopardi. Tiè.


Purtroppo, della mia classe, io sono il solo che possa raccontare come si è svolta la nostra giornata, poiché i miei compagni o sono ciechi da entrambi gli occhi, o hanno gravi malformazioni agli arti (piede porcino, focomelia spinta, ditini cioncati, etc.) che precludono loro ogni nobile attività scrittoria; tuttavia il fatto, lungi dall’infiacchire il mio animo operoso et umïle, m’inorgoglisce ancor di più, e mi spinge a vergar queste vetuste carte col mio pennino dorato, testé sottratto con l’inganno a Suor Lupèsia Superiora, tanto più che ella (la tapina) non sa scrivere, e anzi bolla come pura manifestazione del lubrico demonio ogni forma di comunicazione non orale (indi, includendo anche l’alfabeto muto, il che spiega quindi anche la malcelata ostilità di questa verso il Lupotrani, il Lupesci e il Lupazzy, i tre poveri mutini della classe). Ah già, ci sarebbe anche l'ottimo Lupeschi Attilio, che sa scrivere; ma, ahimè, è tragicamente caduto durante i giojosi festeggiamenti natalizi, quindi son proprio rimasto solo, e proprio innalzando una prece per quest’ultimo, vado ad incominciare il racconto di questa magica giornata, giornata in cui Nostro Signore Domeneddio ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, acciocché Egli sconfiggesse il serpeggiante demonio che s’annida dentro ognun di noi. Amen.


Alle ore 7.30 ci è suonata la sveglia, come sempre con il sacro inno pucciniano “O sole, che sorgi”, intonato eccezionalmente a quattro voci da (in ordine di registro vocale) suor Lùpo, suor Lùpola e suor Lupanària. Avevo detto quattro, ma Suor Gervaso, graditissima ospite dal monastero di Muscolo (“San Bastione Ambrogy” – tra l’altro, protettore dei PR vestiti bene e dei buttafuori), non s’è svegliata, o è deceduta nella notte non ho capito bene abbiate pazienza.


Dopo la consueta colazione a base di brodino di Lupo Cotto, con noi bambini che cantavamo allegri allegri carole natalizie quali “ben arrivato, bambin Gesù”, “che m’hai portato, bambin Gesù”, e “scappa finché sei in tempo, bambin Gesù”, le pie suorine ci hanno messo in mano ramazza e palettina, e ci hanno mandati a grattar via le gomme da masticare spiaccicate dai gradini d’ingresso dell’orfanotrofio, in vista dell’imminente arrivo (ci ha detto Suor Lupòta) di un ospite a sorpresa.


Alle 9.30 circa, con noi bambini che le correvamo intorno facendole amabile e vivace corona, Suor Lupèsia Superiora in persona è andata ad aprire la porta, distribuendo sapide calcagnate nelle gengive ai più bassi e più infelici di noi, che non desistevano dal proposito di rubarle le chiavi della dispensa, dove Ella nasconde (lo sappiamo tutti ormai – almeno a questo è valso il sacrificio del nobile Luprocrìsio, rimasto incastrato nei condotti per l’aria, di ritorno dalla missione esplorativa del mese scorso) cibarie & masserizie varie, delle più prelibate e rare (timballo di Lupo crudo, Lupone a tranci, Lupo Anziano sotto ranno e via così). Con nostro sommo gaudio, di là dallo stipite, un sacco gonfio fino a scoppiare sulla spalla destra, un’ombreggiatura di barba vera sotto quella finta e chili e chili di fard per nasconderla, c’era il nostro dispensatore di doni & felicità: Babbo Rachele! Così ha detto di chiamarsi, sculettando alacremente mentre entrava, la voce impastata di sigarette e di toni da far invidia a un corno di bassetto di verdiana memoria. Era un manfruito della vicina stazione tramviaria, che le dolci nostre suorine lupesche avevano assoldato acciocché ci rendesse men amaro il giorno della SS. Natività. E babbo Rachele, prendendoci ognun sulle robuste sue ginocchia, col suo bel vestitino rosso scollato e corto (si vedevano fior di rotondità d’indubbia origine ormonica fuoriuscire e prorompere) ha alleviato le nostre pene. Ai ciechini (ma storpi) Lupazziery e Lupocotto ha donato un paio d’occhiali da sole mod. RayBan da tamarri, “per fare i gagaroni al mare” (così ha detto); al Lupeschi un ciotolo ripieno di chicche (che ahimè si son rivelate indigeribili al suddetto, che è così, come avevo poco sopra ricordato, spirato poco dopo, in preda a forti dolori addominali); al Lupugi (focomelico) un rametto di pesco (con resina) da rabdomante, e via e via. Il tutto finché è arrivato al fondo del sacco, e non c’era più nulla. Bambini, ce n’erano ancor parecchi. Invano, allora, Babbo Rachele ha cercato di svignarsela, cominciando a parlar piano, (“tanto questi son tutti ciechi, magari pensano che mi stia allontanando”, avrà pensato) e a simular romor di passi, come ad allontanarsi. Invano: perché io (vigile come non mai), il Lupìnzy e il Lupafràtta l’abbiam denunziato alle nostre fidate suorine, che han provveduto a chiudere le porte, e a fornire noi bambini di trinciapollo e lanciafiamme, in grazia dei quali abbiamo tumulato la salma dopo averla frollata ben bene a testate (mirabile l’accanimento di Lupèci, che da povero monchino senza entrambi gli arti superiori qual è, menava testate a caso, spingendosi sui piedini – storpi anch’essi – che pareva caricato a molla).


A questo punto, ed era già mezzogiorno, è entrata Suor Pilota, la quale ha urlato: “Orsù bambini, andiamo a far razzia di Lupini alla fiera!”, e tutti siam partiti ilari e scoppiettanti – chi gridava “iuppiiiiiiiiiii”, chi “aléééééééééééééééééé”, chi “morte ai paesaniiiiiiiiii” – alla volta del suo pulmino “Lupo 1.100/Abarth”, novellamente truccato e corazzato per l’occasione. Ma sulla porta, Suor Lupèsia Superiora ci ha repente bloccati, e così ci ha rampognato:


“prima che partiate per il disordine più sfrenato, la razzia violenta, il furto con scasso, razza di manigoldi disgraziati, rivolgete un pio pensiero al misero figuro che qui, oggi, abbiamo immolato. Anche lui, come voi, è un povero infelice, e anche lui ha passato qui la sua puerizia. Tenete quindi a mente che anche il vostro destino è segnato, e che quando uscirete da qui, niente più che tutto questo vi sarà riservato, com’è anche giusto. Gli storpi si accartocceranno, i ciechini picchieranno nei pali della luce, e i mutini speriamo spiantino tutti, figli del sadico demonio che ognun v'assedia. Quanto agli altri, solo un’onesta opera di finocchierìa e manfruitaggio vario potrà offrir loro una qualche ragione di esistere, ma speriamo sinceramente che moriate tutti prima. Amen”


Abbiamo abbassato un attimo il capino, in segno di rispetto per le alte e sentite parole della Superiora, e poi siam corsi all’armeria, ove Suor Lupofréddo e Suora Mobile (ma Suora Mobile è solo il soprannome, dopo la paresi alla totalità delle di lei gambette, prima si chiama Suor Lupomagistro) ci hanno riforniti dei consueti Uzi, Shotgun, Mp-104, oltre a una cospicua manata di bombe a mano (“è pur sempre natale!” ci han detto, strizzandoci l’occhio), in vista della nostra consueta incursione natalizia.


Siamo saliti sul pulmino. Suor Pilota ha messo in moto, e noi subito abbiamo intontato il classico intramontabile “Proteggici San Lupo, sennò m’incazzo", mentre io pensavo: "maledetto viscido demonio, perché m'assedî, surrettizio?"

dicembre 21, 2004

E con l’imminente Natale torna (che cazzo c’entra? Ha qualcosa a che spartire col Natale? Qualcuno la rivoleva? Non hai di meglio da fare, stupido?) una bella & sapida

ISCRIZIONE MISTERIOSA

Per aggiungere quel briciolo di suspence alle vostre feste, altrimenti di merda, come ogni anno

STRADA PRIVATA.
A’ CAPITÒ
O CARABINIERI




Incisione vergata su cartapecora di origine probabilmente cinese (Pigna, reca essa in filigrana – probabile riferimento al nomignolo di Tetsuy Todoroky, ultimo rampollo della vetusta – IX sec a.C., che non vuol dire avanti Cristo, come gli stolidi posson pensare, bensì avanti Confucio – dinastia Huan-Zu Tree, e dovuto alle ragguardevoli dimensioni del suo scroto, o forse ancor più alla consistenza e materialità di questo), trovata letteralmente incastrata su di un altrettanto misterioso supporto, piatto e largo, dalla consistenza vitrea, e a questo fermata in grazia di una verga lunga e sottile, nera, rigida, con molla e spazzola incorporate. Secondo il Mangiacazzi – che ha un cognome serissimo, e chi s’azzarda a riderne lo tronco di botte – si tratterebbe di uno strano marchingegno di valenza e precisione quasi leonardesche, e che potremmo ribattezzare, in mancanza di meglio, tergicristallo & parabrezza (per la precisione, parabrezza & tergicristallo, ma non stiamo qui a cavillare).
Dall’iscrizione balza subito agli occhi la grande abilità dell’autore, capace con poche, sferzanti battute, di veicolare un concetto ben più profondo e articolato. 
“Per favore non parcheggi più il suo veicolo/ciclomotore/automezzo/autoblindo/camion con rimorchio/autotreno da 15 tonnellate per trasporto orche assassine (barrare le opzioni che non interessano) entro quest’area ben delimitata e segnalata da apposito cartello. Qualora non desistesse dal suo pervicace proposito (“qualora mi fosse ancor tetragono”, preferisce il già menzionato Mangiacazzi), la faccio partecipe della mia risoluta intenzione di denunziare il fatto all’autorità costituita, che saprà bene quali vie adire nei suoi confronti”

Ecco: di queste dimensioni sarebbe altrimenti il periodo, di questa sintassi sarebbe esso gravato; ma ecco che qui entra in gioco la strabiliante capacità del novello Matteo Maria Bandello (che puppava fior d’uccello – qui la battuta si poteva fare, giuro) il quale, giocando con la paratassi, l’ipotassi e anche un po’ con l’ipertiroidismo magari, s’inventa un costrutto che colpisce diretto e duro, specie quando si distribuisce accenti e apostrofi - apparentemente, ovvio - un po' a caso (ma comunque resta il dubbio – e c’è proprio una diatriba or ora in corso, sulle pagine di “O-O! Officina Oggi” – della conversione ‘O’ accentata – quindi ‘Ò’, o per la precisione ‘Ờ’, alla derviscia – in punto interrogativo, una consuetudine tipica, secondo il Mangiacazzi, delle estinte civiltà degli Antuàn; mentre il Catrone propende più per un retaggio inconscio e inconsapevole, anche perché, per dirla con quest’ultimo, “se gli Antuàn son tutti morti, ci sarà anche il suo motivo”), e quando apoditticamente pone una disgiuntiva (O CARABINIERI) con la funzione di ipotetica causale, un aut-aut imperioso e diretto che riassume e condensa la tradizionale formula pròtasi/apòdosi (“se tu ti azzardi a mettere la macchina ancora qui / io m’incazzo come un lupo della steppa, e ti gonfio di botte, altro che carabinieri”). 
“Ah, la sagacia popolare! Ah, l’acume plebeo!”, avrebbe certo commentato arguamente l’illvstre e avgvsto studioso Topone J. Ravagli (autore di saggi di capitale importanza, quali Le occorenze del sintagma 'Collo di papero' nelle Cene di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, e La Jena, questa sconosciuta - Accoglierla in casa, o no?), non fosse che proprio jer l’altro un tram della Copit l’arrotò senza pietà, facendone pappa per dinghi anziani. Pace all'anEma sua. D'altra parte, meglio lui che io, onusto dottor Merda qual mi sono.

(E poi, il tram lo guidavo io...)

dicembre 09, 2004

Una nuova, avvincente avventura per il micragnoso detective J.K. Malatrasio – un racconto noir, dalla diabolica mente di Jean-Cagotte LaMerde





Mercoledì, 8 Sterpajo 1987, ore 21:19
Lì, nel mio comodo tinello marron stavo alacremente compulsando quello che pareva decisamente essere un volume a cinque stelle, prima categoria assoluta in fatto di creazione scrittoria: Pravo Pravissimo, autobiografia a quattro mani di Patty Bravo. Tutto questo mentre amabilmente sorseggiavo una composta di mia creazione, la tisana-marmelloide al Giulebbe & Rosolio. Il Rosolio me l’aveva fornito Timmy, il mio amico frocio. Lo distillava direttamente lui, nella sua vasca da bagno. Ogni volta che pensavo al mio amico Timmy, chissà perché, mi venivano i brividi. Forse sarà perché di recente il temibile boss Palombaro Bistazzoni gliel’aveva giurata, promettendogli un biglietto di sola andata per Cerume, la mefitica località da cui non si torna; o forse perché il dottore gli aveva diagnosticato una rara malattia del Cinquecento, che aveva il potere di far diventare improvvisamente Daltonici. Timmy, quando non faceva la checca a pagamento su Alvarado Street, faceva il tassista, quindi ecco spiegate le ragioni del mio malessere. Beh, cazzi suoi. Finocchio del cazzo. Comunque fosse, sui miei brividi stavolta ci squillò sopra il telefono. Stavo per rispondere, quando ricordai la massima del mio ex-socio McGiorgetti, Orsus McGiorgetti (ora allettato sotto un buon metro di terra fresca): il telefono significa guai. Sempre. Specie se fosse stata mia madre, o qualche altro della famiglia, avrei potuto aggiungere. Quindi, da sopra, gli svuotai un caricatore Smith & Wesson, e funzionò. Smise di squillare, immediatamente. Tornai a sedere, fischiettando DITO-CULO, DITO-CULO, DITODITODITO-CULOCULOCULO, una composizione di mia recente creazione, di cui andavo particolarmente fiero. La luce, da un’elegante plafoniera della Normandia, sistemata con sobria eleganza nell’angolo sinistro della stanza, vicino alla porta, crepitava che era un piacere. Pagina centoquarantatré del mio libro mi aspettava. Recitava: “I malvagi l’hanno sempre in culo, per questo mi son fatta fotografare il rigoglioso pelo dal mio amico artista-zoppo Ampelio detto il-Cina”. Proseguii nella lettura, avidamente, mentre la mia mano giocava nervosa coi bossoli di UZI che avevo in tasca. È dura fare l’occhio privato, sapete: uno sporco lavoro, i bassifondi da bazzicare, e tutte quelle cose lì, insomma.

Sentii un POC!, un rumore sordo, secco, improvviso ed imprevisto. Alzai la testa. Niente. Sarà stato il vento, e nulla più, mi dissi. Ma la letteratura non serviva mai, in questi casi. E ormai mi aveva distratto, ragion per cui levai il culo dalla poltrona, presi la tazza (vuota) di Giulebbe & Rosolio, e andai in cucina, destinazione lavello. Girandomi, notai che da sopra il frigorifero colava qualcosa. Giallo o forse verde, viscoso ma liquido, passava attraverso la fessura dello sportello che incastonava perfettamente l’elettrodomestico alla cucina. Un fottutissimo blob inesauribile, a giudicare da come scendeva copioso. Febbrilmente, aprii lo sportello. La bottiglia dell’olio di Jano (il mio ultimo cliente, che mi pagava in bottiglie d’olio & masserizie varie) che avevo lì sopra era esplosa, e il liquido gocciolava giù, lento ma costante. Aveva già invaso il pavimento. Provai a pensare a qualcosa che non fosse morte & dannazione, porca puttana lurida & putrida, ora lo vedi che casino che fa quest’olio di merda sul parquet, io non lo volevo nemmeno ma quell’idiota giù a insistere, del tipo ovvia ne prenda un fiaschetto o due, che è tanto buono, poi mi rammenta quando lo mette sul pane, ma vaffanculo lui e tutta la di lui genìa. Ma non ci riuscii. Questo era esattamente quello che pensavo mentre facevo per prendere un pajo di rotoli di carta assorbente per tamponare quel disastro. Quell’orribile e viscido lago giallo-verde si spandeva sempre più. 

Poi, d’improvviso, l’illuminazione. Se mi sparo, pensai, non dovrò pulire questo schifo, e andrò in culo a tutto e tutti, magari pure portando sei di resto. Già, era esattamente così, maledizione. A volte avevo delle pensate grandiosamente lucide. Sì, Cristo Santo; era così che avrei fatto! Rivolsi la canna della pistola verso di me. Alzai il cane, e lo mollai di scatto. Ne valeva la pena. C’era stato solo un rumore, forte ma breve. E nulla più.

Più tardi c’era la ruota della fortuna, e non potevo perdermela per uno stronzissimo olio che colava da sopra il mio frigorifero. Senza contare che così avevo anche risolto i problemi di parcheggio che mi affliggevano ogni mercoledì sera, quando c’era la pulizia strade. E Loretta avrebbe pure smesso di darla al gatto, con la scusa che il cazzo mi sapeva di whisky (anzi, whiskey, specificava sempre – di quello irlandese). E c'avevo pure da pagare svariate taxes.

Non fosse che ero morto, la prossima volta che vedevo Jano, gli avrei detto il fatto suo, a lui e al suo olio di maledettissima merda.
Ma ero morto, dannazione. Riuscite, cazzo, riuscite a capire il mio dramma?

dicembre 06, 2004

E, per quei testoni che si dilettano coi giochi di cani (che, come insegna un noto detto abruzzese che financo EnnioFlaiano riporta, “finiscono a cazzi in culo”), oggi




PARLANO I FILOSOFI


Il filosofo di oggi è:




LOREDANA LECCISO


“ecco, io… insomma, sì cioè… gli insigni giornalisti… vi sembra poco, cari signori?... e quindi… il caso lecciso… egregi signori… e ma stiamo scherzando?... ma voi giornalisti prendete nota, mi raccomando… perché non dovrei fare televisione… mia sorella Erika… sì, beh, allora… Mara… Spinoza si chiamava Benedetto, però in Olandese, questo me l’ha detto Al Bano, che non ho mai capito se si scrive Al Bano o Albano... questo natale mi sono letta il Leviatano di Hobbes… e il caso lecciso… e non c’ho capito proprio un cazzaccio nulla… e la televisione... e m'è sempre piaciuto danzare... e io di qui e io di là...”




Elevate un po’ la vostra testolina di merda con le parole dei sommi filosofi del presente e del passato! Basta con la banalità e la vita presa come viene! Quest’anno, a Natale, ascolta i Filosofi (stronzo, pezzo di merda cacato a forza)!




Domani: Maurizio Costanzo.
Domani l'altro: Fichte & Schelling
Tra tre giorni: Michele Cucuzza
Tra quattro: Napo orso capo
A Natale: Il Dado Liebig

dicembre 01, 2004

Basta col vecchiume!


Quest’anno, a dicembre, fai qualcosa di nuovo…



VAI A FARE IN CULO


(stupido)



E l’albero di natale, una buona volta, fallo in


cartongesso & compensato!!!



Sì, èvverissimo!!! Basta una telefonata, assolutamente non a carico vostro (15 eurini al mEnuto, con scatto alla risposta di 20 – queste son cose che i maligni sostengono, non ci faccia assolutamente caso) alla ditta Testo Sterone Digiuno snc, e otterrete SEDUTA STANTE la possibilità di adornare il vostro salotto (di merda, sicuramente, con divano arancione e rosso, anni ’70, e tanta carta da parati marrone) con un bellissimo albero di natale CC (Cartongesso e Compensato). Funziona così: VOI telefonate, NOI veniamo a casa vostra, e dietro l’esborso di provi un po’ a dire lei? Eh? Provi un po’? no, no dica, via… voglio vedere se indovina… eh? Allora? Dice o no, imbecille? Ok dico io tanto Lei non sa nemmeno levarsi un dito dal culo, d’altronde ecco spiegate quelle mani tutte merdose: 110 euriny luridi e secchi (più il pranzo & la cena, mi pare anche ovvio, che vuol lasciare i nostri operai DIGIUNI?)! Si rende conto, caro il mio parassita della società Testo Sterone Appetibile snc? Eh? Sì, proprio così: i due nostri operaj Culo Sudato e Affare Turgido le busseranno alla porta (se non risponde alla seconda bussata la buttano giù, l’avvisiamo) e le monteranno l’ARNESE! Dove? Ma dove vuole lei, mi sembra chiaro! Saranno per questo provvisti di: a) mandato di perquisizione del KGB sez. Belgrado, non servirà a nulla ma non si sa mai, lascia fare; b) scaleo alto 3 mt. e mezzo per sistemare la punta (ah già, non le avevo detto niente sulla stella dell’albero? Che bambaccione che sono: realizzata in merda purissima di Val di Cairo, essa è oggetto pesantissimo e fine: pensi che è appartenuta nientemeno che a ora non mi ricordo bene chi, ma vedrai qualcuno di importante, che di sicuro ci faceva un uso migliore di quello che potrà farne lei, re degli imbecilli, una volta finite le piacevoli festività!); c) trapano “Marzapane Attilio” (è il nome del trapano, devo dirlo sennò s’offende e non funziona, è permalosissimo) provvisto di tutte le punte possibili (a ferro, a legno, a caldo, a cappuccino) per fare buchi un po’ qua e un po’ là, giocosamente a caso; d) orso bianco al guinzaglio, che fa tanto natale. Il tutto, ovviamente, oltre al materiale all’uopo servente per adornar la sua avita magione di una gemma di festosa belluria. Vale a dire: nr. 1 (uno, ma a seconda: se si viene col 450 fiat, anche due) ribaltabile di tavole 80x80 in cartongesso, da segare e molare; nr 1 (appunto) mola da industria, con seghetto incorporato (che userà lei, senza occhiali di protezione mi sembra giusto, sennò dov’è quel brivido che rende più frizzante la vita? Nel frattempo gli operaj usufruiranno del bagno, magari insieme a quel budello risaputo di sua figlia, trombandola ovviamente ALL'ACQUAJO) per modellare il cartongesso; nr. 43 tavole di compensato di infima qualità (le pare di meritarsi di più, a lei???) per inframezzare e incastrare il cartongesso; nr. 1 stella (o punta) per l’albero, in Merda Nera e stecchi portanti. Postisi all’opra, dopo l’atto matriale di cui sopra (il summenzionato budello), i due operai sistemeranno tutto, nel giro di una settimana o due. Mi sembra chiaro che in quelle tre (ho detto due, prima? Mi perdoni erano quattro!) settimanine, i due poverelli dovranno esser vestiti e nutriti. No, lo dico giusto per dovere; lo so che aveva capito, non mi permetterei mai, cara la mia testa-di-merda.


Se alla fin dell’opra, il risultato non fosse di suo gradimento, non disperi, caro amico (di chi? Mio no di certo; le par che me ne giovi?). Tanto gli operaj avran finito per befana o giù di lì, quindi le festività saranno finite, e così che cazzo gliene fregherà a lei? Eh? No dica un po’? Vuol grane? Ah, ecco... comunque, visto che lei è un tipo rognoso, ho bell’evvisto, basta che dica “no, non mi garba” che Culo Sudato e Affare Turgido la riempiranno di cazzotti, lasciandola poi fuori della porta, ché la sua casa dopo resta a noi della Testo Sterone Satollo snc, mi pare anche il giusto compenso per tanto disturbo.



Su, telefoni veloce (imbecille). Il numero è 347-4655034. Risponderà Grongo, il nostro Negro™ afghano da centralino.


Ah, dimenticavo: buon natale, con la Testo Sterone Digerente snc! E anche un po' buona pasqua!


Saluti, alla su' mamma in particolare.

novembre 25, 2004

Nuova appassionantissima (per chi? Ma per la maiala della Vs. mamma, è chiaro!) rubrica:


L’ISCRIZIONE MISTERIOSA
(oggi: il periodo Celtico)


MAXI-BAGHETTE SU ORDINAZIONE PER NUTELLA-PARTI!


Iscrizione risalente al V sec a.C., dal significato a tutt’oggi oscuro. Ne sono state però tentate le più varie esegesi: si va dal Lo Prendi, che ipotizzò un quantomai fantasioso “Osteria numero sette, cazzo fica culo tette!” (venendo subito rimbeccato dallo studioso armeno ma di origine serbo-croata Zo Stuka, famoso & celebrato autore di studi d’importanza capitale a titolo “Le rane: anche loro si lavano” o “Ma perché io non riesco mai a chiavare?”. Quest’ultimo, parlando delle tesi espresse dal Lo Prendi, si espresse parlando di “immane stronzata” e di “ipotesi interessanti, ma per pulircisi il culo”, concludendo il tutto poi con un sonoro “Lo Prendi? Sì, ma nel culo!”, meritamente rimasto famoso – in breve l’obiezione dello Stuka nasceva dal diverso significato attribuito al lemma ‘ordinazione’, che per se per il primo significava appunto ‘fica’, per il secondo valeva ‘roulotte con veranda, ma senza disimpegno’, come attesterebbero d’altra parte centinaja e centinaja di altri documenti ritrovati a Monte Merdoso, provincia di Isernia, luogo notoriamente celtico nell’animo, peraltro); al tardo ma ricco Masticone Anastasy, che notò le fallacità della datazione e dell’attribuzione comunemente accettate (proponendo invece un XX sec. e un autore ignoto, ma a ben vedere identificabile nel titolare del forno “Pane & Dolci, ma se preferite i Salati si fa anche quelli ci mancherebbe altro”, di Monte Merdoso appunto. Il titolare, Antonino Del Prà, avrebbe così scimmiottato l’antico idioma gaelico, per ricavarci uno slogan pubblicitario-promozionale di dubbio gusto. A tal proposito, nota l’Anastasy, la miglior prova è nel sintagma ‘maxi-baghette’: la lezione originale, secondo gli esatti criteri grammatico-sintattici del celtico antico, sarebbe invece ‘maxi-braghette’, cosa che farebbe quindi pensare a una preghiera per tutta una serie di riti e cerimonie orgiastico-falliche, di fertilità, o comunque approdanti a trombate colossali fra barbari arrapati, che nel dubbio se lo pigiavano anche nel mondragòn, barba o non barba). Altra affascinante ipotesi fu quella di Giovangiorgio-Pierpy (diminutivo di Pierpaolo, abbiate pazienza ma il nome era troppo lungo) Bégolo (autore, tra l’altro de “L’occorrenza del termine ‘culo sudato’ in Carducci e nei Minori”, e “Caro il mio bel Pascoli, La tu’ sorella non la tromba nemmeno il cane”, studio assai significativo, quest’ultimo, perché edito dal ven. budello di Sua Madre), coadiuvato dal fido segretario negro Ruffy-Raffy. Per i due pederasti, cioè no volevo dire studiosi mi son sbagliato, la frase è seconda per importanza solo all’indovinello veronese e/o ai placiti cassinesi, e fondamentalmente non vuol dire un cazzaccio nulla: si tratterebbe solo dei vaneggiamenti di un pazzo, tale Peahl O’Nderculen, il quale nel V sec a.C. (giusta dunque la datazione proposta dal Lo Prendi e altri) andava per la campagna, trascinando il suo pesante randello, e scrivendo sulle rocce motti & sagramenti così, un po’ a caso, perché nel futuro degli idïoti si scervellassero sulle sue minchionerie. Incerta, conclude il Bégolo, l’etimologia di ‘Nutella-parti’: non a caso, per il criterio della lectio-difficilior (o come cazzo si scrive), il summenzionato Stuka preferiva leggere ‘Nuttella-parsi’, che significherebbe (però in dialetto bantù) ‘fava-lunga-così', piuttosto che 'nutella-parti', locuzione che vorrebbe essere una corruzione pseudo-dotta della coniugazione del verbo 'nuth-e-llahpàr-thy' (traducibile approssimatamente con 'sbucciare sapidamente i sapori della siepe', pratica assai in uso presso gli antichi abitatori d'Irlanda), ma che sicuramente il Peahl O'Nderculen non poteva conoscere, essendo egli fondamentalmente un ozioso perdigiorno, buono a una sega e pieno di merda.


Prof.ssa Georgy-dai-mille-capelli-dorati

novembre 19, 2004

Toh, testine-a-fagiolo-buccione, beccatevi un po' questo Master. Tutto su per il BAUGIGI (TM)

MPLM – Master in Product Lifecycle Management


Il Product Lifecycle Management (PLM) è il nuovo approccio integrato di business che, con l’ausilio delle tecnologie informatiche, realizza una gestione integrata, cooperativa e collaborativa di tutte le informazioni di prodotto generate e scambiate tra le attività e le funzioni tecniche, gestionali ed organizzative distribuite lungo le fasi del ciclo di vita del prodotto stesso. L’integrazione di funzioni e professionalità diverse nasce dall’esigenza di coordinamento, efficienza e rapidità nei processi di sviluppo e messa in produzione di nuovi prodotti o impianti, imposta dalla crescente competizione internazionale ed agevolata dai nuovi sistemi informatici di supporto e coordinamento. 


Quest’evoluzione di contesto, di approcci manageriali e di strumenti richiede la disponibilità di una nuova figura professionale, il PLM Manager, capace di coprire il ruolo di innovatore e gestore a tutto tondo delle attività tecniche e gestionali di ingegneria ed avente le seguenti competenze:


1)     Capacità manageriali per la conduzione di team tecnici ampi ed articolati

2)  Conoscenze sull’organizzazione e sulle modalità di analisi e riorganizzazione dei processi di ingegneria al fine di sfruttare i benefici dell’approccio collaborativi

3)   Conoscenze sulle metodologie per la progettazione integrata di prodotto/processo/impianto e sui relativi sistemi software di supporto

4)     Conoscenze sulle tecnologie informatiche di comunicazione e coordinamento.

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In questo dinamico contesto, il Master PLM si offre come un innovativo percorso formativo istituzionale, capace di fornire, in un periodo relativamente breve, tutto il know-how necessario per coprire ruoli manageriali di Product Lifecycle Management. 

La struttura didattica è articolata in due macro-aree: Formazione Generale, dedicata all’allineamento delle conoscenze degli allievi rispetto ad una comune piattaforma di base e all’introduzione di strumenti manageriali di organizzazione aziendale e di gestione delle risorse umane, e Formazione di Settore, volta alla formazione tecnica e manageriale della specifica figura del gestore di progetti/sistemi PLM.  



MACRO AREA A – Formazione Generale 

Corso 1 Organizzazione aziendale & ruolo degli acquisti nella strategia dell’impresa 

Corso 2 Fondamenti della comunicazione: postulati di base della comunicazione, tecniche per parlare in pubblico, l’impatto, il linguaggio positivo orientato alle soluzioni, lettura dei principali segnali del corpo, la gestione delle obiezioni, tecniche di gestione emotiva dell’interlocutore (attacco e fuga), l’esaltazione d’immagine.  

Corso 3 Le gestione degli economics: le tecniche di costing (cost saving, total cost of ownership, agreement interni), la misura delle prestazioni, il processo di budgeting.

Corso 4 La gestione strategica: nuovi paradigmi strategici (lean enterprise, agile competition, ecc.)

Corso 5 Collaborative works

Corso 6 Prodotto industriale: 6.1 Foundation

Corso 7 Manufacturing planning: 4.1 Foundation

Corso 8 Factory & Supply chain planning: 5.1 Foundation
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MACRO AREA B – Formazione di settore

Corso 9 Large projects engineering: 9.1 Foundation

Corso 10 Product Design: 10.1 Foundation

Corso 10 Modellazione e re-engineering dei processi

Corso 11 Manufacturing Planning: 7.2 Processi di Manufacturing planning e 7.3 Tools per il Manufacturing planning

Corso 12 Factory & Supply Chain Planning: 8.2 Processi di Factory & Supply Chain planning
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METODOLOGIE DIDATTICHE
Il corso prevede l’utilizzo di metodologie didattiche che applicano i principi dell’apprendimento contestualizzato (situated learning). Viene stimolata la componente analitica, con la considerazione razionale dei problemi, delle soluzioni disponibili e dei possibili risultati. A questo scopo si analizzano situazioni d’impresa con pacchetti applicativi specifici per l’analisi economico-finanziaria, la simulazione dinamica dei sistemi aziendali, il trading finanziario. Viene, inoltre, recuperata la componente sintetica, con processi formativi nei quali l’osservazione complessiva favorisce la visione integrata e sistemica dell’attività gestionale (blended learning). Accanto a momenti di formazione tradizionale d’aula, viene dato ampio spazio a esercitazioni, laboratori per l’uso di suite software PLM, lavori di gruppo e visite aziendali (con il contributo dei più qualificati vendor). Un project work della durata di 3 mesi, svolto singolarmente o in team, conclude il lavoro formativo. Il lavoro, consistente nell’analisi di fattibilità o nella parziale realizzazione di un progetto PLM in un’impresa, viene sintetizzato in un project report che sarà presentato, in due successive occasioni, al management aziendale e alla Faculty del Master.

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FACULTY
La faculty è costituita da docenti del CEAP di Milano con lunga esperienza di insegnamento all’interno di altri corsi Executive del CEAP e, in particolare, all’interno dei programmi MBA, e da alcuni qualificati relatori esterni del mondo professionale e manageriale


Ma quanto sarà bello & vario, il mondo?

novembre 17, 2004

Ancora per…

LE GRANDI FRASI PER TUTTI I GIORNI!
(sì, lo so, siete contenti. Son buono, che volete farci…)


Quest’oggi vince il concorso il sig. Catania Antonino, con una sua creazione, un periodo in antica lingua Syntaxia, l’idioma degli stolidi ma miseri abitanti di Onoma e Rema, alle pendici del monte Scoppio, fraz. di Grammatica e Coniugazione del Verbo (PP).


SI INFORMANO CHE IL TRENO 2129 ERA CON MENO CARROZZE, CON LA QUALE ARRIVANDO HA MODENA SI È RIEMPITO, ED MI HA OSTACOLATO IL LAVORO CON IL CARRELLINO FINO HA CESENA.
(trad. Drusbēca titôl kunde mei 2129 wast dü zebrest, càpera càpera càpera: fòtio. Na zu mist vaccabāgnăta, debroşty dragoşty mircea zūmpa zūmpa-pà, tant’ fōrtune a lĕi y al tegami’ di khi lėggĕ)




Su dai, partecipa anche tu, NUMEROSO!

novembre 15, 2004

LE GRANDI FRASI PER TUTTI I GIORNI 

Quest'oggi vince il concorso il caro (ancorché perdutamente frustone) Neottòlemo Pandracchi, bracconiere anziano ma agile di anni 43. Il buon Neottòlemo può ritirare il premio in questione presso il parcheggio abbandonato (e buio) di via del can zoppo, loc. "L'indomito caprone", presentandosi giovedì prossimo a mezzanotte con una valigetta piena di banconote di piccolo taglio della valuta che preferisce. La valigetta è così, per compagnia, non si sa mai, la solitudine è parecchio dura. Non si azzardi a portare armi o amici campioni di arti marziali. A giovedì.


TRIMÏTE CU INCREDËRE BANII IN ROMÂNIA PRIN BANCOPOSTA MONEYGRAM DÏN CADRUL ŎFICIILOR POŞTALE – SPIZINKY SŬ MA PĚ CARE O VÄ PRĬMI DESTINĂTARUL IN EURO, ESTE GARANTĂTA. TRĂSĒRA!

(trad. Senta, lei: la sua muta di armadilli screanzati non desiste dal proposito di devastare le mie coltivazioni di grandine [bancoposta] La cosa mi indispone assai, spero si renda conto. Sarà mica parente di quello dei 37 gatti assassini, lei, eh? La su’ mamma che fa per vivere? [sŭ ma pĕ care, anche se in effetti si perde un po’ della pregnanza semantica dell’originale, senza contare la ben più ricca musicalità] O se andasse un po’ in culo? Faccia di cazzo [Trăsēra – anche se Nottoli, qui in redazione, tenderebbe piuttosto a tradurre il lemma con Testa di morto])

novembre 11, 2004

"Come mai gli adulti non vanno fuori a giocare?"
"Gli adulti possono giustificare il gioco all’aperto solo chiamandolo esercizio e quantificandolo con l’uso dei record".
"Sembra quasi un lavoro"
"Solo che non si viene pagati"
"Quindi il gioco è peggio del lavoro?"
"È duro essere adulti".

novembre 08, 2004

Sono giunto alla conclusione che non c'è niente di peggio del non essere amati...
E lo smarrirsi nei boschi? Penso sia molto peggio!
Be’, il paragone non mi sembra troppo calzante, e non sono sicuro che…
Oh, davvero? Lascia che te lo dimostri
Ecco! Mettiti là per un po’, in mezzo a quegli alberi, e capirai cosa intendo…
  
Si può sapere cosa stai facendo lì?
Possono dire quello che vogliono, ma non c’è paragone… è assai peggio non essere amati che smarrirsi nei boschi
A volte penso che tu ti sia smarrito nei boschi da tutta una vita, charlie brown…
Anzi, per la verità lo trovo piuttosto rilassante

ottobre 31, 2004

Su, da bravi... andate tutti alla

LIBRERIA ZETIROTH
(e moriteci, teste di cazzo)

LIBRERIA ZETIROTH - Per coloro che vogliono scoprire cosa c'è alla fine dell'arcobaleno
Ricerca spirituale, autostima, crescita interiore, medicina alternativa, filosofie religiose, templari, esoterismo, angeli, meditazione, reincarnazione, massoneria, masso-fisio-terapia (ah no quella è un'altra cosa, scusate)
Oggettistica correlata agli argomenti.

PROGRAMMA
Lettura tarocchi
Geomanzia sciamanica
Carta del cielo
Astrologia generale

CHIROMANZIA - LA TUA VITA NELLA MANO (o anche: fatti meno seghe)

DIVINAZIONE - CON I CRISTALLI (o anche: bada se li rompi, son del servito bono, zotico)

ACCORRETE, GAJO & NUMEROSO. AI PRIMI 100 FREQUENTATORI SI REGALA PURE IL MISTICO TOSTAPANE "ENIO", L'UNICO ELETTRODOMESTICO IN GRADO DI PREDIRVI IL PASSATO & FUTURO, E DI IMBIZZARRIRSI COME UN CAVALLO SELVAGGIO, DANDO SIMPATICHE SCOSSE DI 220v A DESTRA E A MANCA.

(i successivi clienti, invece, non verranno fatti entrare, perché la vedova motroni, che abita sopra il negRozio, ormai pienamente destata, reagirà rovesciando pitali di merda fumante - la sua - sul nostro rotolante, finché non ci sommergerà. E tra di noi e il mondo ci sarà soltanto un consistente e secco - ma impenetrabile, ormai - strato di POLTIGLIA TIEPIDA)

ottobre 26, 2004

E per la rubrica: LE GRANDI FRASI PER TUTTI I GIORNI, quest’oggi:

NËSE TË DETYROJNË TË BËHESH PROSTITUTË… NE MUND TË TË NDIHMOJMË. NJE RRUGËDALIE EKZISTON. NA TE LEFONO, 800290290CEE

(trad.: sì, vabbene, ho detto che la macchina non gli ce la metto più, qui. Gli può dire che la smetta di rigarmi la fiancata così? Potrebbe anche, per inciso, richiamare i suoi 37 gatti assassini? Hanno devastato il mio raccolto di Manghi Fessi della Caledonia. Grazie)  



Spedisci anche tu la tua frase, stolido! Se sarai fortunato, la vedrai qui, debitamente tradotta. Ricchi premi in palio (a me, ovvio).
Orsù, cazzone, partecipa anche tu, NUMEROSO!

ottobre 21, 2004

Quest'oggi su... CHE CAZZO VUOL DIRE?

COSESA
(NON CI CAPIRETE UNA SÈGA)

Allora, anzitutto Cosesa è la nuova realtà dedicata al C.R.M. in Outsourcing, pensate un po', manica di inetti & stupidi bambaccioni.

In Cosesa confluiscono Gruppo Cos, leader di mercato del Contact Center in outsourcing e dei servizi di Customer Care Management, e Sesa, uno dei leader italiani nel mercato dell'Information and Communication Technology, Premier Partner IBM. Se vi par poco, care le mie merde...

Infine, ovviamente, Cosesa offre alle Aziende la possibilità di fidelizzare ed incrementare la propria clientela grazie ad una molteplicità di servizi che soddisfano ogni tipologia di esigenza.

Sappiate, poi, stronzi, che COSESA si pone come interlocutore per il cliente per le seguenti necessità:  
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CRM Analitico ed Operativo Amen, Fratello.

Servizi in Outsourcing e Co-sourcing per il Customer Care. Yeahhhhhhhhh

Servizi di Call Center inbound ed outbound. Oh, sìììììììììì, così!

Servizi di Contact Center e di Web Call Center. Eh, certo, quello mica può mancare...

Help Desk minchia! Muggisco di piacere...

Gestione dei Numeri Verdi oh, finalmente qualcosa che capisco. Bella cagata!

Telemarketing e Teleselling e telefaving no? oppure teledanning?

Ricerche di mercato tipo rompere selvaggiamente i coglioni al prossimo tuo?

Gestione Back Office cioè rimettere a posto il retro di un ufficio? boh, ma so un accidente io...  
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OUTSOURCING CRM Yeah, fratello! dai, continua così, GODO!!!

Continuando a scoprire questa compagnia, razza di imbecilli putridi e microcefali, ecco che veniamo a sapere che le soluzioni basate sul Customer Relationship Management offerte da COSESA danno l'opportunità [o l'impressione?] di migliorare l'efficienza, la qualità del servizio e la capacità di comunicare con i propri Clienti, rappresentando un importante mezzo per ridurre i tempi di risposta ed aumentare la soddisfazione del Cliente. La politica delle soluzioni CRM proposte è basata sulla centralità del Cliente come chiave del successo, al fine di assicurare a quest'ultimo una soddisfazione crescente [è poco meglio farsi le seghe, quelle vere, date retta...], grazie all'attenzione costante sulle sue necessità ed all'azienda la fidelizzazione su larga scala dei propri Clienti.

CONTACT CENTER Tutti quelli che telefonano entro le 23 di oggi vincono un lecca lecca alla banana rosa.

Il Call Center rappresenta per le aziende un potente strumento per trasformare i contatti anche occasionali con i clienti in relazioni stabili e proficue. e per i consumatori e per chi ci lavora un bel paio di palle gonfie e sode

L'esperienza di professionisti della comunicazione telefonica ed una struttura in grado di soddisfare qualsiasi esigenza è al servizio delle aziende, sia pubbliche che private, che desiderano sviluppare un progetto di Call Center inbound o outbound. Oh... ancora, sì, cosìììììììì ggggggggooooooooooodooooooooooooooooo

Tale soluzione risponde a requisiti di massima flessibilità operativa ed è in grado di contenere i costi senza appesantire la struttura. Avvalendosi di infrastrutture tecnologiche avanzate, di operatori adeguatamente addestrati e di tecniche di gestione efficaci, gestiamo in outsourcing le seguenti attività e il budello di so' ma'.

Dunque, ascoltate bene, sottospecie di nojose & amebatiche verruche del menga, che magari qualcosa imparate:

Call center inbound: Muuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu

Servizio informazioni clienti.

Help Desk con elevati contenuti professionali. sì, un par di coglioni

Customer Care. Osteria numero sette cazzo fica culo tette

Call Dispatching. ahahahaah

Numeri verdi, per aziende private e per la P.A. abbreviazione tradizionale per porca armida, una loro amica molto troja che fa uso di questi servizi per farsi pubblicità

Gestione di centralini di grandi dimensioni. gira gira giraaaaaaaaaa segli rotowash!


Capito, stolidi? e poi:

Comunicazione outbound:

Opinion Surveys. amen & alleluja!

Vendita telefonica (beni, servizi, giochi) bingo!

Numeri verdi destinati al Customer Service. yeah!

Assistenza pre o post-vendita. Sì, fratello!

Raccolta e gestione degli ordini. ri-godo...

Centro prenotazioni per servizi. servizi di? idraulica umana? ahahaahahah

Monitoraggio e sollecito crediti. Giusto, fratello!
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Infine, facce-di-merda, sappiate che Cosesa c'ha pure il:

CONTACT CENTER MULTIMEDIALE che te ci sputi e ti fai male ahahaha mio dio quanto son sympatio

Le modalità d'interazione messe a disposizione da tale soluzione sono: e qui siamo geniali. Ma che c'avete una laurea apposta?

"Call-me-back" [nemmeno se tu mori]: il cliente che visita un sito Web può richiedere di essere richiamato telefonicamente per chiarimenti, approfondimenti o supporto. Vengono utilizzati allo scopo i dati del cliente ricavati da una form di registrazione e le chiamate richieste vengono inserite in una coda per essere servite in modalità "outbound assistita"; tipo la respirazione, ma i rutti non sono previsti

"Talk-to-Agent": il cliente che dispone di un PC multimediale (microfono e altoparlante o cuffia) può stabilire direttamente una conversazione in voce con l'operatore del servizio utilizzando la rete dati di trasporto (Voice over IP ); Ah, il distributore...

"Text-Chat": cliente ed operatore possono comunicare in maniera molto semplice ma efficace utilizzando la tastiera del PC. che potreste anche stioccarvi in culo, secondo le necessità e le capacità anali

"Whiteboard & Collaborative browsing": 'sti cazzi... gli operatori del Web Call Center possono condividere on-line con il cliente immagini, documenti, grafici, filmati e quant'altro può essere di ausilio nell'attività di supporto, tramite un semplice browser. E' possibile condividere la navigazione o lasciare il controllo al cliente, mantenendo comunque attivo il colloquio in modalità VoIP o t-chat.
.. 


Capito, merde? orsù, che state aspettando? che vi s'attacchi il conigliolo alla cacciatora (coll'ulive, per chi ignora i piaceri gastronomici) al tegame della vostra mamma? chiamate, chiamate

CHIAMATE...
che vi s'impiega noi


Chi mi spiega qual è l'utilità di tutto questo, e quando il mondo ha cominciato a impazzire così, vince un ciuccione dalla Armida di cui sopra. Astenersi perditempo. Se ci prova uno di questa azienda o similari, può anche risparmiarsi il tempo, tanto non l'ascolto per principio e lo mando in culo proditoriamente [che, a differenza di tutti questi termini, un significato ce l'ha, e vuol dire A TRADIMENTO] e preventivamente. Sicché, il baluba in questione non se ne accorge nemmeno.

DOTTOR MERDA
Junior Account Manager & advertising promotion seller

ottobre 16, 2004

ECCEZIONALE!!! UN MANIPOLO DI IDIOT CIOÈ NO, VOLEVO DIRE FINI SCIENZATI DELL’ECONOMIA, RICERCATORI (SÌ, MA DI COSPICUE DOSI DI MINCHIA NEL GIRARROSTO) PRESSO LE PIÙ PRESTIGIOSE UNIVERSITÀ MONDIALI (TIPO LA FACOLTÀ DI NON RISPONDERE, NEL MASSACHUTTES – O ANCHE QUELLA DI PASTASCIUTTA AL PESTO, CON SPOLVERATA AI TARTUFI, IL TUTTO INNAFFIATO DI UN BUON VIN BRULÉ E POI GANASCINO E VIA AL MOTEL “DA GYUNIPIERO – TE LO PONGO E TE LO PONGO NEL BUO NERO” DI FRISIA) SALVANO IL MONDO. AH, BENE! CI VOLEVATE, NUOVI MESSIA! ADESSO TUTTO TORNERÀ AL SUO POSTO, E L’UOMO TORNERÀ A RESPIRARE ALL’UNISONO CON LA NATURA E SENTIRSI PARTECIPE DEL TUTTO, SECONDO LA LEZIONE DELLA MISTICA NEOPLATONICA, ERA ANCHE ORA D’ALTRA PARTE, MENO MALE SONO ARRIVATI LORO. VI FA UNA SEGA L'UNIVERSO, E LA MATERIA.

DRAGHI!

"...È come una gara tra topi, dicono, ma il formaggio alla fine non ha il sapore che ci si aspettava. I ricercatori hanno iniziato ad analizzare le indagini nelle quali si chiede alla gente quanto sia felice, trovando un risultato importante: i soldi spesi per case da sogno, grandi automobili o altri beni di lusso, non aumentano la felicità. “Se usiamo gli aumenti di reddito, come fa la maggior parte di noi, per comprare ville o grandi auto, non saremo molto più felici di prima”, ha scritto Robert H. Frank, professore di economia alla Cornell University, in una recente pubblicazione. In ogni caso, la media dei redditi, negli ultimi cinquant’anni, è più che triplicata mentre quella della soddisfazione è rimasta stabile. “Significa che se il reddito influisce sulla felicità, è quello relativo e non quello assoluto quello che conta”. In altre parole, avere molti soldi rende le persone più felici, ma solo fino a quando la gente che le circonda non inizia a guadagnare. Così come si cerca di avere sempre più denaro, ma dopo un po’ la soddisfazione è sempre inferiore rispetto all’inizio. “C’è sempre qualcuno che ha una casa più grande della tua, una macchina più potente o un bene più prezioso. Diventa, insomma, una continua corsa a ostacoli”, dice Louise Brooks, che gestisce un patrimonio immobiliare a Long Island. “Pensi sempre di dover dimostrare qualcosa a qualcuno, fino a quando arrivi alla mia età e ti rendi conto che è irrilevante”, aggiunge Brooks, 61 anni. Per lavoro lei incontra persone ricchissime: “Ci sono gli infelici e quelli che stanno bene, come nelle altre classi sociali”. La logica funziona anche con i Paesi, sottolinea il ricercatore Ed Diener. I Paesi poveri che diventano ricchi guadagnano molto anche in felicità e soddisfazione: questo perché riescono a soddisfare senza difficoltà i bisogni primari. Ma dopo aver raggiunto un buon reddito (oltre gli 8 mila euro l’anno) la loro felicità cresce in modo più lento. Case e auto, concordano i ricercatori, non danno molto nel lungo periodo, mentre – ora lo dicono anche gli economisti – la stabilità in famiglia, una relazione fissa e la salute rendono molto più felici, così come prendersi più tempo per se stessi o per i propri cari. La ricetta? “Cambiare le politiche sociali: più ferie, meno inquinamento e meno stress al lavoro”. Ma l’economia tradizionale non è troppo d’accordo."

ottobre 14, 2004

Un brano dal mio ultimo romanzo, a titolo Fuffy Pimpy Tinty & lo Stronzolo Gigante, edizioni Johnny Merda, lire (voglio lire, niente eury, giacché io son ONESTO) 13.500 (+ IVA 20%). Spedizioni a carico vostro, fatemi sapere quante copie ne volete che ve le spedisco insieme a un fiore d'ibisco essiccato e pressato PERSONALMENTE (vale a dire con le mie chiappe)

"Andavo all’università, e prendevo il treno ogni mattina, la mattina non troppo presto – mettiamo fossero le 8.20. Da un giorno a quell’altro, mi pare fosse un venerdì, c’era uno stronzo sui binari. Un enorme stronzo, lì, allungato come un lumacone nel mezzo del binario, esattamente adagiato su uno dei listelli di legno fra le due rotaie. Come ci fosse arrivato o chi ce l’avesse deposto, non so; ma lui era lì, bello marrone scuro, e si restringeva in cima, largo e corposo. Piegava leggermente da una parte, verso di me. Era impressionante. Poi arrivò il treno, e lo ricoprì con le sue carrozze. Io salii. Il giorno dopo era ancora lì, e quello dopo e quello dopo ancora. Nessuno lo toglieva, né la terra poteva assorbirlo. Non ricordo giorni di pioggia, in quelle mattine, ma forse ce ne furono; del resto non conta, perché nemmeno quella fece nulla. Niente pareva poterlo scalfire, e i giorni passavano. Sempre marrone, magari un po’ più scuro, e sempre bello corposo. Io mi mettevo ogni giorno alla sua altezza, davanti a Lui, e lo guardavo. Ci rimanevo quasi assorto, ogni volta: mi appoggiavo alla ringhiera di ferro dietro di me, dando le spalle al sottopassaggio, e lo guardavo. Piano piano il marrone cominciò a diventare nero. Sempre di più, sempre di più; e piano piano lo Stronzo cominciò a restringersi. Ma era un processo lento, molto lento. I giorni passavano. Sempre lì, nessuno diceva nulla. In un certo senso, si può dire che ci fossimo solo io e lo Stronzo, quelle mattine, in attesa del treno. Io facevo il tifo per Lui. Il treno ci passava sopra quando arrivava, e la mattina dopo tutto ricominciava da capo. Passò veramente tanto – forse due mesi, forse tre – dacché lo vidi la prima volta a quando sparì, e anche allora si può dire che non sparì del tutto, perché mi rimase ben fisso in mente, lo Stronzo, lì, di un bel marrone umido e poroso, che pareva sudasse. E comunque, rimase per molto tempo anche la traccia su quel binario, su quel listello di legno fra le rotaie. Ancora, se si guarda bene, qualcosa si scorge. O forse è solo la mia immaginazione.

Da allora ho imparato che anche uno stronzo, se messo nelle giuste condizioni di sussistenza, può vivere a lungo (e dopo, comunque, non muore nei nostri cuori). Il che forse non sarà molto, certo, ma non è neanche poco."