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luglio 30, 2010

Mi separano due giorni alla partenza – uscirò una volta di più da questo paese, remotamente illudendomi in sogno di non rimetterci più piede – e me ne sto qui, mangiando un ghiacciolo comprato da' cinesi, di un colore a metà fra il verde, il giallo e lo sbiadito, con un gusto che è una sintesi del tutto malefica fra menta, limone, thè verde, plastica & acqua di risciacquatura dei piatti.
Apprendo quel che tutti sanno: il poliedrico presidente del consiglio ha cacciato Fini dal partito, pretendendo anche che si allontani dalla Presidenza della Camera (a che titolo, tra l'altro? Perché gli stai sui coglioni? Assumerà ad interim anche quella carica, poi? No, così, per sapere...).
Nel frattempo, adeguandomi al regno dell'apparenza e alla dittatura delle immagini, mi metto a scorrere (cliccando qui magari lo potete vedere anche voi) le foto dell'ultima festa che ha radunato cotanto consesso, da qualche parte dell'urbe, purché esclusiva: il compleanno di Rotondi, dico.
Ecco, pensavo: non riuscirei a provare tanto schifo, tanta ripugnanza, tanto indignazione se in simili foto vedessi esponenti dell'opposizione, con tutto quel che, pure, se ne potrà dire. L'inconcludenza dei Fassino, dei Bersani, dei Franceschini, etc; la litigiosità piccosa e fine a se stessa di molti degli esponenti cosiddetti “minori”; la ridicolezza e la piccineria dei loro orizzonti: tutto ciò può provocare rabbia, urtare e frustrare, far desiderare che sia diverso; ma... gesù cristo, questi! Questi mezzani panciuti, questi maneggioni dalle fattezze suine o genericamente bestiali; incravattati, abnormi, la camicia tirata sui loro peccati d'adipe esibiti; le sciacquette che li accompagnano o che fanno direttamente parte della cricca – tutti sorridenti, ammiccanti, felici, in posa.
Guardate Di Gregorio, così straordinariamente simile a un maiale: dareste a lui il mandato di amministrare il vostro stato, la cosa pubblica? Pensateci, affidereste i vostri soldi a questo tizio?
Guardate Giovanardi, la sua grassa opulenza enorme, l'espressione del suo sguardo: se – si potrebbe estendere questa considerazione a molti dei nostri “amministratori” – è vero (e lo è) che il corpo è intimamente legato alla mente, è il suo specchio e viceversa, cosa diavolo ve ne viene fuori? Fate da soli l'equazione.
Poi ancora, il sorriso servile di Minzolini, le pose della Gelmini, l'agghiacciante presenza abbronzata e grigiofluente di Verdini (e mancavano immagini di Schifani, Capezzone; qualche leghista, il Trota e la Carfagna e via così). Bonaiuti; lui e altre mille buzzoni, lì, vecchi come se non dovessero morire mai, ad esibire il loro potere e tutto quello che non fanno, mai: gente, provo decisamente schifo per tutti voi, abietti, corrotti, orrendi; voi, che avete elevato il raggiro a vostro beneficio la corruzione il favore personale e il vostro esclusivo tornaconto ad unica regola di vita, a metro per il quale può valer la pena muoversi (o far muover qualcun altro, in nome e per conto vostri, personalità importanti che nemmeno le mani, si sporcano); voi, gente così dappoco, ignorante, limitata, gretta, eppur così importante - si può deddurre - per la maggioranza degli italiani che vi ha votato (o avete imbrogliato anche lì?), mi fate semplicemente orrore. Vi auguro tutto il male possibile.
Andate a fare in culo, con tutto il cuore ve lo dico. Morite, tutti quanti siete, nel peggiore dei modi possibile e restate nel peggior inferno si possa concepire, per voi (magari soltanto un posto dove si lavori); nessuna pietà per gente come voi. Come voi e la vostra icona di cerone, capelli di plastica pelle finta. Lui e quell'altro idiota in camicia verde che non si capisce nemmeno che dice, il trombo non se l'è voluto nemmen lui.
Tutto questo per dire: spero che al mio ritorno il governo sia caduto, Berlusconi sia morto inculato dalla sua stessa erezione indotta e che sia stata instaurata una monarchia evolutiva ispirata direttamente dal Supremo (o su' cognato va bene uguale), con a capo Paperoga.

luglio 28, 2010

IO VOGLIO
Io voglio non dire più io vorrei, ma io voglio.
Questa, in soldoni, la conquista più grande che qualcuno più fare, il cuore di un esercizio su se stessi che tanto poco sembra e invece tanto significa.
Definire ciò che si vuole è passare oltre quel confine sottile ma solidissimo fra quell'indefinito personaggio con cui tendiamo nostro malgrado a farci vedere, vivendo la nostra vita attraverso ciò che gli altri si aspettano da noi, e il nostro cuore vero; è un rientrare nell'io, andare in stazione e vedere quali treni passano, sapendo che alla fine passerà quello giusto per te, e tu sarai lì. Nel frattempo aspetta. Hai pensato, sei stato bravo; adesso aspetta. Nel frattempo, magari, digiuna; ti faciliterà le cose.
Poi, una volta definito un obiettivo è tutto più facile:
“[...] se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una mèta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell'anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta.
Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compier opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare”
...be', non sto a citar la fonte, non credo serva.
Per quel che riguarda il personaggio che fa da schermo o protezione – più spesso (sempre) da prigione – all'io, al puro amore, al nostro nucleo, all'Es – chiamatelo un po' come vi pare – si ricordi sempre che è niente più che una maschera, ed è attraverso quella maschera che noi mostriamo all'esterno che riceviamo dagli altri: un po' per nostra natura e un po' per convenzione, siamo comunque costretti alla relazione, di qualsiasi tipo essa sia; quindi, sono per certo importanti anche i messaggi che questa maschera manda all'esterno. In base al tipo di messaggi lanciati (e si ricordi sempre che l'ottanta per cento dei messaggi che mandiamo sono messaggi non verbali), il mondo esterno si rapporterà a noi.
Questo significa imparare a interagire col proprio personaggio (o coi propri personaggi), e non lasciarsi da esso tiranneggiare, il proprio io rinchiuso in un muretto e quello che furoreggia, magari comandato dalla mano altrui. Sei tu, col tuo io, che stai dietro al personaggio e lo dirigi; è lui che è una marionetta. La mano lì dentro è quella del tuo cuore, non quella degli altri.
Tutto questo, sempre tuttavia ricordando che esistiamo per noi stessi, indipendentemente da qualcuno che ci dà attenzione o importanza; da qualcuno che ci riconosce (tra l'altro: per lo più riconoscono il personaggio; quindi riconoscono qualcosa che non esiste), da qualcuno che ti calunnia, da qualcuno che ti concede i suoi favori sessuali, da qualcuno che in qualche modo si rapporta a te.
Questo è il modo orizzontale - da pari a pari, dove il pari parte tua che si rapporta non importa sia il tuo io:  può anche essere un personaggio, ma un personaggio tuo - di porsi, laddove quello del personaggio comandato dall'esterno è verticale, dall'alto in basso: il bambino che guarda in su verso l'adulto e freme; qualcuno che vorrebbe qualcosa ma non osa; qualcuno che attende speranzoso (e di sicuro di lì a poco frustrato).
Vedendoti per te stesso, rientrando nel tuo cuore, nel puro amore di cui siamo fatti puoi facilmente capire cosa ti serve, cosa cerchi, cosa vuoi e cosa non vuoi (avviso: distruggere è sempre più agevole che costruire, quindi è normale che la seconda sia più facile).
Ciò, oltre a quell'espansione verso il ricongiugimento (yin e yang se dir si vuole, ma anche Platone non è così lontano), che è naturale aspirazione di ogni nucleo, di ogni io.
Diciamo che al di là dell'Eterno, il contingente sarebbe alla portata: la strada è tracciata e disvelata. Un passo è fatto, e ti basta camminare. Vuoi arrivare fin lì? Accomodati. Prenderti cosa ti spetta, se sai cos'è, è anche possibile.

luglio 26, 2010

LE VERSATILI AVVENTURE LAVORATIVE DI TVBJNGXYA©

Nel mezzo della quotidiana preparazione del proprio caffè, Tvbjngxya© nota la scatola che funge da contenitore delle buste di plastica con le dosi per la macchinetta. Sopra c'è scritto: 

"I PROFESSIONISTI DELLA CIALDA"
Tvbjngxya© ringrazia quindi il cielo o chi per lui d'essere rientrato qualche minuto prima in ufficio, mentre ride fino a farsi andar di traverso quel caffè che sa di plastica.
Ciò difatti per certo non sarebbe stato capito o recepito o compartecipato né da MotorinoChieditore©, né da Asphyxilja©, né da Thambürhlanobyøndo©, né da chiunque altro in zona.
Quello, come per dire che se il coordinatore di qualche cazzo di sezione del Partito-Unico-delle-Libertà-Uniche dichiara che contro di lui c'è una vera e propria tempesta mediatica, Tvbjngxya© volesse notare che più che una tempesta mediatica sarà al massimo una pioggerellina mediatica, visto che tutti i media tranne due massimo tre son loro.
Ecco, nemmen quello sarebbe compreso: durante l'attività lavorativa si produce, si ingenera profitto a beneficio altrui, si fa cose preordinate ad uno scopo che perlopiù ci è ignoto o del tutto indifferente, ma solo quello. Questo il motivo per cui Tvbjngxya
© si troverà bene sempre con una minoranza di persone, anche in una società più decente di questa, perché Tvbjngxya© crede nelle persone, però non crede nella maggioranza delle persone. Crede quindi che si troverà sempre a suo agio e d'accordo con una minoranza... e quindi... auguri, direbbe l'automobilista che Tvbjngxya© s'è trovato affiancato alla Vespa, non fosse che Tvbjngxya© non ha mai guidato nemmeno il sì (e non ha nemmeno la barba, giacché dicon che buca).

luglio 23, 2010

È notte più o meno fonda, e me ne sto sdraiato sul retro di una Spider Alfa Romeo (o è una giulietta? un duetto? Le macchine mi son sempre state sui coglioni), rossa, compresso fra i sedili davanti e l'assoluta mancanza di spazio che c'è dietro, mentre il guidatore scende rombando giù per stradine tortuose, un ciglio di bosco alla sinistra e una ripida vallata dall'altra. Incrociarsi con altre macchine è tragico; ficcato lì dietro, ringrazio il cielo che non vedo un beneamato cazzo. Il guidatore è Romano, proprietario dell'hotel dove lavoro, un tizio mediamente anziano, con la faccia da volpe e gli occhiali spessi un centimetro, la cocuzza ricoperta da una specie di capigliatura a pratino all'inglese in versione sale e pepe (più sale che pepe). Tutto sommato un taglio da duro, come da duro sono i modi con cui ci affronta, noi sottoposti lì all'hotel, un torcione sulla spalla e l'abbigliamento da cuoco esibito come un'uniforme da sergente. Un duro d'altri tempi, un nonno burbero che sacramenta se non lo stai a sentire, ma non morde né sa cosa sia l'altezzosità o la superbia - lavoro, lavoro, lavoro, ché la vita è dura e si soffre, porco mondo! Questo tizio in pratica passa trecentosessantacinque giorni l'anno nel suo hotel, schiavo del suo lavoro e del relativo accumular soldi che ciò comporta: forse è per sentirsi più vivo che s'è comprato la spider rossa e passa le ore libere a lucidarla, tirandola fuori in grandi occasioni come questa.
Accanto a lui siede Antonio, capo cameriere dell'albergo (capirai la bravura, i camerieri son due, massimo tre!), un tizio mezzo ritardato con una dentatura da cavallo con dei problemi e una pronuncia con la lisca che i clienti cercano più che possono di non ridergli in faccia.
A fine serata - a fine servizio, come dicon loro - il gran capoccia volpino viene da noi e ci fa: andiamo, vi porto da Attanasio, dieci minuti e si parte. Io son sempre qui che mi chiedo chi cazzo sia Attanasio e nel frattempo mi ritrovo già pressato come una cazzo di sardina nella macchina sportiva del grande capo, che per l'occasione s'è calzato sulla testa una coppola da guidatore di ferrarini d'antan e infilato alla bell'e meglio un paio di pantaloni non a quadretti bianchi e grigi, con sopra una maglioncino di cui non ho ben afferrato il colore.
Sento arrivare una macchina, sempre più vicina, e le ruote del lato destro della nostra spider grattare il cordolo sul ciglio, e mi metto a pensare cazzo non son nemmeno maggiorenne, che cazzo me ne potrà fregare a me di conoscere uno che si chiama Attanasio se poi nemmeno ci si arriva e ci si sfracella giù per un burrone, ma di lì a poco la strada di campagna è finita, e su strade più larghe, Romano può dar sfogo alla sua voglia di vita da signore.
Antonio, accanto a lui, apprezza l'aria ed il pericolo. Che accidenti vuoi che ne possa sapere, quello lì, che questiona sulle mance e frulla come un passero impazzito dietro ai desideri del clienti, rendendosi la maggior parte delle volte ridicolo nella sua somma aspirazione di compiacerli. C'è solo quello, e quello è il massimo. Cazzo ne sa, lui?
Io mi limito a pensare, meno male che davanti non c'è Jane, che sarebbe la nostra cuoca inglese, cioè, centoquattro chili di cuoca inglese, però molto simpatica, e che a me mi dice sempre che sono intelligente ("you're very clever!") perché so come si dice fisarmonica in inglese e ogni tanto si prova a parlare in quella lingua.
Oh, mica per lei, eh; saremmo stati anche meglio, come compagnia, che non averci quello stronzo pulcioso lì sul sedile del passeggero che comunque a propria volta è meglio assai dell'Oriana, la cameriera in seconda, acida ed irosa come non so nemmeno cosa, sempre pronta ad altercare, aver sempre ragione e rompere in genere i coglioni. Se dio vuole era già a letto, quando il capoccia ha avuto l'illuminazione. Ed a sua volta lui a letto ha messo la sua, di moglie, e poi via a viver da signore, coi suoi camerieri.
Io però sono il barista, senz'altro una figura di incompreso fiorellino senza pari che spicca in quel letamajo d'insieme che è l'hotel Imposto, 3*** e ci stai largo nel paese di San Renitente Alla Leva, su péi monti e pélle valli.
Servo caffè e amari di origine plebea ai vecchini del paese, un baby doppio agli operai in riposo, un bicchierino di Kambusa, una cedrata e via così. Mi sogno le lattine di birra che mi aggrediscono, e ho il pollice sgallato per aver aperto troppe bottiglie d'acqua con quei cazzo di cavatappi. I vecchini comunque giocano a carte, e io mi sorbisco le tirate del chiacchierone del posto, che gira col bastone e occhiali neri (io mi chiedo sempre: sarà cieco?) e racconta i soliti due o tre aneddoti da almeno tre generazioni, e di quando in quando (sempre) provo a fare il ganzo con qualche ospite-ragazza, con un successo per lo più di bassa tacca (ma sicuramente è colpa loro, o del posto a me tetragono): una volta ho pure suonato il piano per due o tre tenniste di roma, che eran lì per un torneo del cazzo di non so cosa. Esito: nessuno, ma m'hanno detto bravo. Son soddisfazioni.
Mi chiedo come son finito lì, un po' come nella vita si fa tutti, prima o poi.
Alla fine però arriviamo da Attanasio, che nient'altro era che un ristorantino di medio lusso per gente che s'illude che l'esser signori sia qualcosa che si compra.
Come mai non c'ho pensato da me? Questa gente tutta si trova, tutta s'accorpa, nel lavoro. E fanno lega, società, sindacato, amicizia.
Antonio capo-cameriere scodinzola, gongola, è felice: questa è la vita, per lui, questo il suo massimo - per stasera è nel mondo dei grandi; si è seduto pure accanto al suo modello, un po' com'è un padre per un bimbo.
Che cazzo ne sa, lui?

luglio 13, 2010

"La corruzione, intesa come mezzo e fine, a se stesso bastante, realizzazione somma di qualcosa che un tempo potevano essere gli ideali e le ideologie, è la base fondante di qualsiasi sistema di governo occidentale contemporaneo. A quel punto, sarà solo questione di minimi scarti (es. il governo x è totalmente affogato nella corruzione; il governo y al 90%, etc. etc.), ma questo è il portato inevitabile di una situazione generale che pone a sovrana esclusiva l'economia, a tutto dando ostinatamente un prezzo. Se anche gli uomini hanno un prezzo, niente di più facile che comprare gli uomini. Se il prezzo è scalata sociale e privilegio, niente di più facile che far salire posizioni e acquisir privilegi. Se privilegio è in definitiva lusso, una bella macchina, una villa a sbafo, un'esibizione continua di status symbol e (magari) anche visibilità mediatica, il gioco è presto fatto.
Il tutto in un'escalation continua che nutre - cane che si morde la coda, ma senza una fine se non (presumibilmente) violenta - i suoi protagonisti, e nulla fa per la collettività ed il sociale, badando esclusivamente ad autogarantirsi, mantenere posizioni, tirare a campare nel proprio, menando ciascuno l'orticello (il quale spesso diventa invero piuttosto grande, poiché il mondo di oggi vira ineluttabile verso la globalizzazione, intesa come estensione dei domini di pochi sui più): che senso potrebbe avrebbe, allora, garantire uno Stato Sociale? Quale significato, il sostenere che il benessere dell'uno passa inevitabilmente e giocoforza da quello di tutti? Il mio è il mio, signori, e più ce n'è per me, meglio è: d'altronde, ho bisogno di soldi e appoggi per garantirmi tutto questo; nel mondo di oggi tutto costa, e più soldi avrò, più alto sarà il mio privilegio. Sono tutti quanti in vendita, in una società che tutto prezza, e questo - ben lungi dall'essere un male necessario, che sopportano in nome d'un ben fare che non esiste più - è tutto quello che ci distingue dalle bestie e dalla natura".

(Giovandomenico Persiana, Fenomenologia di ciò che c'incupisce & indigna, Ed. Galaxy Express 1999, Ravanate sul Ditone, TRP)