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ottobre 29, 2007

La ‘R’ più arrotata dell’Avvocato Agnelli buonanima, la voce un po’ rauca per le sigarette da working-stress – “la mia amica Ines ha i denti quasi completamente neri, per il fumo”, puntualizza ammirata – l’accento fortissimamente milanese – noblesse oblige, nonostante non sia originaria del posto, (né ci ha voluto rivelare da dove venga) – N.C.T. è un personaggio estremamente importante nel mondo delle Public Relations lavorative milanesi. Marketing Manager, Advertising & P.R. Expert, Seller d’alto rango nonché rigorosissima imprenditrice free-lance di se stessa, ha fra i suoi meriti il rilancio del marchio Zoppas, l’aver agganciato il ricco cliente cileno Diego Montoya de tu Madre, e molti altri brand. Inoltre, ha visto il cazzo di Zucchero “Sugar” Fornaciari.
Non si è mai sposata, per – dice lei orgogliosa – “doveri di carriera”. Preferisce rimanere anonima, ancorché – aggiunge – sia molto probabilmente un tentativo inutile.
E allora ascoltiamo di
quell’importante esperienza. Il cazzo di Zucchero, dico. Ce ne gioverà.


“AlloRa – ascoltare la sua ‘r’ è già di per sé un’esperienza appagante – anzitutto, mi faccia diRe, peRò, che non mi sono mai sposata, sì, peRò a volte scopavo con dei diRigenti. Con un paio potevamo pure sposaRci.

Comunque sia, la mia azienda mi aveva dato la missione di seguiRe a livello di marketing e P.R. ZuccheRo. In occasione di cene di lavoRo coi vari brand facevo anche da inteRpRete. Io lo tRattavo malissimo, ZuccheRo. Anche peRché eRa veRamente una peRsona odiosa, che aveva pRetese che non stavano né in cielo né in teRRa. Una volta, duRante un incontRo per un recruitment in DanimaRca, a cena, RicoRdo che feci in modo di tiRaRlo fuoRi dal tavolo, con una scusa, e a quattR’occhi gli dissi: «ZuccheRo – io lo chiamavo ZuccheRo – ma sei fuoRi? Non puoi pRetendeRe cose del geneRe. Ma chi ti cRedi di essere? Quello si alza da tavola e se ne va». DavveRo, guaRdi, gente brava davvero, tipo MoRi Kanté ad esempio, con cui avevamo avuto a che faRe la settimana pRecedente, eRano tutt’altro tipo di peRsona.
Aveva anche un modo tutto suo di poRsi; molto aRRogante, diciamo. AltRe volte non capiva un cazzo di quel che l’inteRlocutoRe diceva e alloRa si giRava verso di me, chiedendomi ansiosissimo «cosa ha detto? Cosa ha detto?»; «ZuccheRo, cazzo! – Rispondevo io – stai calmo», e cominciavo a tRadurgli, a quel coglione. AltRe volte ancoRa faceva inteRventi completamente fuoRi luogo. Io lo sbRanavo con gli occhi, sul posto, e poi dopo gli dicevo: «ZuccheRo, ma che cazzo dici?».
E poi eRa aRRapatissimo, ZuccheRo. CeRcava in tutti modi di poRtarmi a letto. Una volta, dopo un incontRo in un albeRgo di PadeRno Gonzagone con un impResario belga per una sponsoRshiping, venne a bussaRe in cameRa mia. Io gli apRii e me lo tRovai subito lì, imploRante. Voleva entRaRe. Io gli dissi: «ZuccheRo, cazzo vuoi, oRa? Vai a faRe in culo!» Lui peR tutta Risposta si tiRò giù i pantaloni e tutto il Resto. Rimase a cazzo di fuoRi, lì sulla soglia. Disse:
«eh, ma che male c’è se ci sono due persone che vogliono fare l’amore!»
Io Risposi, pRendendolo per il culo:
«mah, io ne vedo soltanto una, ZuccheRo!»
E lo spinsi fuoRi dalla poRta e gliela Richiusi sulla faccia.
Lo lasciai lì nel coRRidoio dell’albeRgo, a biRillo di fuoRi. Maledetto ZuccheRo!”

aprile 03, 2007

Adornata di pezzòle colorate e drappi legati per tutto il corpo, gonfia e trasudante di quella cultura con la 'C' e magari anche la 'U' maiuscole, la nota artista totale Eolia Buccianty ci riceve con pose affettatissime e teatrali, volutamente malcelando lo sdegno e il sussiego che – di fronte a cotanto personaggio – certo tutti ci meriteremmo. Non ci offre nemmeno un teino da surgare, laddove lei si presenta con un pretenziosissimo Samovar fumante e una altrettanto esosissima coppa di porcellana armena decorata in oro. Miscela di tè nero Bancha e tè bianco Yin Zhen, il tutto arricchito da petali di rosa canina e cardamomo. Se lo versa e se lo beve. Ma vaffanculo. E comunque.
E comunque è coreografa, lei; che lo si sappia in giro. Ha vinto concorsi in tutta Europa, e uno anche in tutto il mondo. E poi magari è anche pittrice e scultrice, a giudicare dalla sequenza di "cose esteticamente significative" – come le chiama lei – di cui si è circondata nel "
lounge" – sempre come lo chiama lei. Qui ho davanti – m’informa – Rapsodia del riflusso dell’esistere, n. 769/b, riguardo a cui è meglio se taccio perché comunque, per "ARTE SOMMA & SUPREMA – ANCHE A RATE AL 3%", siamo qui per intervistare la signora Eolia Buccianty detta Boria dagli amici (avendone), in versione Danzatrice Aulica e Mystica. Comunque, era uno sbrodolo infelice e pieno di sé. Vai, l'ho detto. E dunque

E dunque parliamo del suo ultimo lavoro, la coreografia-movimentazione dello spazio I rimasti. Rimasti dove, prima di tutto? Guardi, non mi faccia perdere tempo: io percepisco danza in potenziale in quasi tutto quello che mi circonda.
Io son tra le cose che la circondano, al momento. Percepisce danza anche in me? Anche se tiro su col naso o mi gratto il culo?
Percepisco danza in potenziale in quasi tutto quello che mi circonda, ma alcune nature, situazioni, immagini od eventi risuonano con più forza.
Capisco. Quindi io non risuono, suppongo. Né come natura, situazione, immagine od evento. Della cosa me ne incoglie assai. Davvero. Ma allora: cosa ha colpito il suo immaginario, per lo spettacolo I resti, o come si chiama, lì?
I Rimasti. La visione dell’opera del pointilliste sloveno Ankel Fruskel Il natale dei rimasti datata 1909, ha trov…
Cazzo, ma sa che Ankel Fruskel pare una marca di cerali per colazione? È un nome fantastico, Ankel Fruskel. Dica la verità: se l’è inventato lei? Deve ridere tutto il giorno, uno con un nome così. Tipo Arlo Pear, se lo ricorda? Arlo Pear. Ahahahah, che cosa fantastica, Arlo Pear. S'intitolava Un folle trasloco, mi pare. Ahahahahahah. Rida un po’; su, fa bene alla pelle… dicevo. La visione dell’opera del pointilliste sloveno Ankel Fruskel Il natale dei rimasti datata 1909, ha trovato dentro di me una cassa di risonanza, una corrispondenza del sentire e del desiderio del rendere visibile.
Ok non ride, lei. Rendere visibile. In senso assoluto. Bella roba, sì. E cosa intende per cassa di risonanza? È come quando uno beve la Coca-Cola e poi rutta sporgendo e tirando il petto in fuori per far rimbombare di più il rutto? Sa che in redazione abbiamo un grafico bravissimo nel far queste…
la scena ritrae lo stanzone di un ricovero per derelitti nel giorno di Natale. La stanza è quasi completamente vuota ad eccezione di sei figure, I Rimasti, confusi, rassegnati, abbandonati, immersi e desolati nella malinconia, ma carichi di profonde tensioni emozionali.
Insomma, è un po’ come quella demente della Mazzantini quando scrisse e fece andare pei teatri d'Italia quel troïaio di Zorro, recitato ovviamente dal marito per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. La tesi di fondo era: i vagabondi e i barboni sono un po’ allezziti sì, ma in realtà sono i più liberi e felici di tutti. Loro non lo sanno e preferirebbero dormire all'Hérmitage, ma fidatevi che è così: io son scrittrice, queste cose le capisco. Soprattutto, poi, c’hanno un fascino poetico che… No. Fruskel decompone la luce come percepita dal nostro sguardo e la trasporta sulla tela avvicinando tra di loro i diversi elementi cromatici che la compongono, dandoci così un’esperienza visiva e sensoriale che il nostro occhio non sarebbe in grado di cogliere. Così il nostro sguardo si insinua nell’immobilità di queste figure raccolte nella loro marcata solitudine e va a scomporre la staticità dell’immagine svelando che ogni personaggio è portatore di precisi cromatismi e come questi interagiscono per ricreare la costante.
Costante, punto? Quale costante? La Costante di Planck, forse, che dice sia una costante fisica il cui valore è equivalente alla quantità d'azione fondamentale ed ha le dimensioni di un'energia per un tempo rispetto al momento angolare? Sa per caso cosa cazzo vuol dire, che io l'ho letto stamani da qualche parte e non c'ho capito una beatissima mazza? Può aiutarmi, lei che è artystona? 

A questo punto vengo messo alla porta. Coll'ausylio del filippino Gailor, che (penso) m'insulta, e della coppia di Carlini (d'antico pedigree, che lo si sappia in giro) Carl-Gustav e Erica-Jong, i quali m'appiccicano anche un par di morsi sulle scarpe, mi ritrovo faccia a faccia con un bel portone di legno presumibilmente massello, senza che abbiamo nemmeno granché da dirci. Non m'hanno reso l'ombrello. Né m'è riuscito di fare il mio numero colle Lingue di Menelicche e gli occhiali Groucho Marx sul culo. Peccato perché sarebbe stato apprezzato. Tornerò a casa, anche se non è mezzanotte, e non piove. Tanto, succedeva già a Beckett. Sapete un cazzo, voi.

gennaio 04, 2007

Il 2007 porta con sé un primo, piccolo calo del deficit italiano. Ma è esclusivo merito di chi governava prima. Quale merito? Ma di non esserci più, ovvio...

"Il miglioramento dei conti pubblici? Merito del mio governo, anzi direttamente mio e forse di mia mamma. Abbiamo lasciato un’eredità con i fiocchi al Paese, che difatti era pronto per mangiarsi economicamente la Cina, dotarsi della bomba atomica, fare a meno dei magistrati e piazzare cinque o sei basi militari in Texas, Ohio e Illinois. E abbiamo lasciato fior di canzoni, scritte da me e Mariano Apicella. I conti pubblici sono in ordine (esclusivo merito di Tremonti), l’economia era in ripresa anche dal 2005 – lo dico io, parola di presidentedelmilan – e non si badi se io c’ero dal 2001 e nel 2006 m’hanno fatto levare le tende coll’inganno & la frode: il mio governo lavorava per l’Italia, ci si chiama Forza Italia apposta – sennò lo chiamavo Forza Zambia, o anche Forza Dudy; mi, sum minga un pirletti! – mentre Prodi ed i suoi continuano, in base a pregiudizi ideologici ormai superati dalla storia e anche un po’ dalla geografia, a voler utilizzare i soldi pubblici per accrescere il predominio dello Stato e la distribuzione clientelare delle risorse. Io invece sì che li usavo bene, i soldi. Ho costruito Milano2 e Villa Certosa, e se non mi fermavano costruivo pure il ponte sullo stretto, Beckham al Milan e un’autostrada a dodici corsie fra Dittongo e Rigodaglio sul Ciglio, così, tanto per farvi vedere che io le grandi opere le fo e che i soldi ci sono.
C’è grande rammarico per non aver potuto, chiaramente a seguito di scandalosi brogli elettorali, dare continuità a una così efficace azione di risanamento che ha saputo coniugare rigore e sviluppo, mentre ora le leve della politica economica sono finite in mano al partito delle “più tasse-più spese”.
Ma adesso, chi ha sanguinosamente sparato a zero, dall’opposizione, durante il quinquennio del mio governo, cercando di lucrare su un disastro che non c’era, ora dovrebbe fare ammenda e chiedere scusa agli italiani tutti per averli ingannati. E i cittadini dovrebbero soprattutto domandarsi perché il governo Prodi abbia varato una finanziaria di guerra che supera i 40 miliardi di euro e che tarperà le ali alla ripresa dell’economia (che ora sembra ci sia proprio a seguito di questa finanziaria ma, vi dico, son semplici errori di valutazione, vedrete poi – me l’hanno garantito Tremonti Brunetta e Natalia Estrada), quando invece per rientrare nei parametri della UE, da cui non ci eravamo certo discostati noi, ci mancherebbe, era solo che ci volevano far fuori con una fasulla procedura d’infrazione perché a suo tempo detti (giustamente) di Kapò a uno, lì, un mangiacrauti qualunque, al Parlamento Europeo – ahahah, se fui forte! Questa era politica giovane e brillante! – quando invece, dicevo, sarebbe stata sufficiente una manovra da 15 miliardi (ma solo per migliorare ulteriormente, eh? Ché v’ho già detto che i conti erano in ordine così). La sinistra, insomma, sta anche sprecando la grande occasione della ripresa, mentre noi, in anni congiunturalmente e anche un po’ astralmente (era il triennio del Fagiano Pernicioso, m'aveva spiegato l'astrologo di Arcore - porta un sacco di merda) difficili, avevamo posto le premesse per un miglioramento strutturale del sistema – che caso sfortunato voleva iniziasse proprio alla fine/subito dopo la nostra legislatura – riuscendo ad immetterci in un circolo virtuoso che impostava un rapporto nuovo e non punitivo fra il fisco e i cittadini ma soprattutto fra il fisco e me.
Infine, la coesione nazionale di cui giustamente parlava nel messaggio di fine anno (i miei erano più belli) il Presidente della Repubblica – a cui dobbiamo rispetto finché è lì, poi quando diventa senatore a vita si fa come con Ciampi – è necessaria, ma soprattutto richiede una verità e un impegno unitario su basi completamente diverse rispetto a quelle adottate finora dall’attuale governo. Colpa nostra non è; noi siamo equilibrati, disponibili e pronti al dialogo. Son loro, che son negri. E se non la smettono, lo dico pure alla maestra.
Comunisti di merda".

agosto 25, 2006

VANY MAPRINKOVICZ - Retrospettiva militante d'artista, per scuoter le coscienze & mostrar la via. All'atelier "Ingresso a strozzo - pagare veloce o scappar repente", di Ciapetti Vaurilio


La fotografia è un mezzo di espressione artistica autoreferenziale, valido e pregnante in sé e per sé? Può solo rappresentare l’Altro, l’Esistente, o può raffigurare autonomamente il Nuovo, dando vita, magari combinandosi ad altre forme d’arte, a un Nuovo Esistente? Se mangio veloce tre etti di mortadella senza pane, poi sto male?
Questi e molti altri sono gli stimolanti e (apparentemente) insondabili interrogativi che da sempre hanno spinto Vany Maprinkovicz a muoversi lungo un percorso al termine del quale si situa senz’altro la mostra-evento che si inaugura oggi presso lo stanzone-atelier-cantiere del Ciapetti, galleria-sottopasso 3, urlare BBBEPPPEEEEEEEEE sotto la finestra coi geranî che Beppe è il Gustode – lui lo dice così, sconsigliato contraddirlo – e c’ha lui le chiavi ma non lo disturbate alle 15 perché sta cacando e ci sta che s’inalberi parecchio, provare per credere, io c’ho sempre un occhio nero e il culo che mi frizza.
Nata 28 anni orsono, in un ridente paesino alle pendici del monte Rancore, la poliedrica artista Magravia (?) ancorché di origini Bosniache e anche un po’ Italiane (la nonna è stata una volta a Pavia, in visita alla C.A.P.Ra. – Centro Autonomo Pavese di Raccolta. Di che? Ma di Stronzoli, mi par chiaro), alla sua prima retrospettiva monografica in Italia, si presenta nel segno della sperimentazione militante e del lucido scandaglio provocatorio di coscienze (parole dell’artista) “ormai languenti, apatiche, misere e vili”. 
Ecco quindi spiegata e motivata la monumentale serie dei Senza Titolo I-XVIII, diciotto (apparenti) tele dal colore uniforme e lucido, ora nero, ora bianco, ora rosso. All’origine ci sono altrettante fotografie, ingrandite a dimensione della tela e qui incollate a mezzo coccoina e attack, indi completamente ricoperte di vernice colorata e riflettente, quasi uno specchio. Le foto non si vedono né si intuiscono, e simboleggiano probabilmente il vero animo umano, ricoperto dai detriti lucidi di quella che vorremmo (tanto) chiamare civiltà. Interrogata al riguardo del contenuto delle foto, l’artista non ha voluto rivelare cosa esse contenessero in principio, proprio perché, secondo un paradosso a lei tanto caro, “nel non sapere sta il sapere, e nel sapere l’ignoranza”. 'Sticazzi, mi son detto qui, ingoiando aria.
L’evoluzione del di-lei pensiero (“siamo come un fiume che scorre, ci arricchiamo ogni giorno di nuove cose”, ha spiegato la Maprinkovicz nella conferenza stampa-rinfresco a seguire l’inaugurazione, signorilmente ignorando qualcuno - chi mai? - dal pubblico il quale, dopo aver sonoramente ruttato, ha chiosato con un "arricchisciti di questo"), poi, ci porta poi alla serie dei Senza Titolo con Decorazioni XIX-XXVII, lavori strettamente collegati ai precedenti, come questi realizzati (ancora: fotografia ricoperta da vernice uniforme), e da questi differenti soltanto per alcune piccole sgocciolature (dripping) colorate fatte cadere dall’alto sulla tela, prevalentemente ma non necessariamente ai lati, a disegnare un percorso "misero e scarno" sì, ma che rispecchia in pieno "il timido risveglio della coscienza dell’uomo di fronte alla crudeltà del mondo”. O almeno, questa è l’interpretazione che ne ha dato lei, ammettendo tuttavia molte altre chiavi di lettura, perché la sua è un’opera che “deve muovere anzitutto alla riflessione, da dentro ognuno di noi" (qui, altro sonorissimo rutto, con - invero un po' inflazionata - aggiunta: "a me mi smuove questo").
L’obiettivo meditativo-profondo-catartico, del resto, è stato perfettamente centrato, visto che i - pochi: ah, languenti coscienze del mondo massificato! - presenti si sono più che altro dati alla contemplazione delle due serie, di quando in quando pettinandosi e sistemandosi i nasi, tipo me che c’avevo una stizza che non mi dava tregua da quando m’ero alzato, e siccome dopo c’avevo da vedere una phya, non mi pareva bello farsi trovare con un corno ritto tipo Goldrake. Grazie, Arte!
Proseguendo nel percorso allestito per noi dall’artista, troviamo la Stanza Vuota e Sventrata Senza Piastrelle, della quale mi sfugge il senso ma vedrai uno c’è (Beppe non l’ha ancora vista, e mi sa che non la prenderà bene), la serie di foto sperimentali (per lo più nere e uniformi, con oggetti non bene identificati a farsi intravedere ogni tanto: una volta si riconosce un tallone, altre volte una mensola sfocata, altrove un pupazzo con qualcosa nel culo) a titolo Coniglismi, e il Nano Mantecato all’Amarena, opera, quest’ultima, realizzata in collaborazione con il misteriosissimo nanogeno che qualche tempo fa imperversava con la sua arte performativa nelle piazze e nelle case d’italia. Non avendo mai voluto rivelare niente di sé, nulla ha concesso nemmeno in questa occasione, nascondendosi (probabilmente) tra i visitatori e non consentendo neppure che il nano originale, in gesso bitume e cernit, ricoperto dalla Maprinkovicz con un abbondante quanto vistoso strato di vernice lucida color minio e ghirigori rossi, a coprire presumibilmente anche un'altra serie di fotografie del cazzo, figurasse come opera sua. Ma – certo – è indubbio, anche se, una volta acceso, il nano non è scoppiato come di consueto, mandando bensì solamente un lieve sibilo minaccioso, prima di vedere volutamente spenta la sua miccia, in un gesto altamente simbolico dell’hic et nunc, in cui – ha spiegato la Maprinkovicz – “non si fa nemmeno il botto, ché tutto è torpore. E quindi la missione dell’artista, col suo genio, è sferzare, risvegliare, aprire la via”.
A quel punto io ho rotto un paio di bombette puzzolenti in un par d'angoli, e me ne sono andato. Bello, avergli ruttato così, però. Son soddisfazioni.

febbraio 23, 2006

Sguardo fiero ma gentile d’un Maître d’Hôtel di altri tempi, Leopoldo Bryzzi ha la nobile severità di chi ha diretto le Salles à Manger dei più grandi e prestigiosi alberghi del mondo, e la raffinatezza e l’eleganza di chi questo lavoro, a contatto con persone d’alto, altissimo rango, lo aveva scritto nel destino. Ci riceve nella sua casa, una sobria e lussuosa villa di campagna, ormai tranquillo ritiro per la sua veneranda età, e ci accoglie stappando una pregiata bottiglia di Barbaresco Gaja Riserva Speciale Marchese Villadoria. Anno 1969.

Mister Brizzi, qual è a tutt’oggi il cliente di cui ha il ricordo più nitido?
Anzitutto, “veneranda età” lo può dire anche a su’ madre, quel tegame di steccoli. Io c’ho ancora una fava così [mima il gesto, arrivando al gomito N.d.R.], e proprio prima che arrivasse Lei a scassare il cazzo ero di là che schiavardavo la domestica. Comunque, per tornare alla sua gentile domanda, si può parlare senza dubbio del principe Aramèngo II di Batràcia, che soggiornò al Grand Hotel “Ciùo di Piombo” di Castrone, nel 1971. Sa, a quei tempi circolavano molte battute maligne sul suo conto, e lui era un po’ incattivito. La rima con cui i detrattori solevano accoglierlo era “ARAMENGOOOOO... NEL CULO TE LO TENGOOOOO”, che tra l’altro gettava ombra anche sulla sua virilità. Ma anche in quei casi, il Principe non perdeva la sua austera nobiltà, limitandosi a passarsi due dita sui baffetti, tutt’al più assumendo un’espressione accigliata. Con me parlava francese, solo che io non lo sapevo e lui non se n’era accorto, quindi ogni giorno era la stessa storia: poteva ordinare Ratatouille, Chateaubriand en cruste avec Petit pois, Bouillabasse, Lapin à la presse che io gli portavo sempre un piatto di zucchine lesse e due fettine di rognone della sera prima. Gli andava sempre bene, perché era cieco come un vicolo, e fin da piccolo aveva subito un delicato intervento chirurgico per farsi annullare l’attività delle papille gustative, perché qualcuno gli aveva detto che era chic. Quindi, con rispetto parlando, sentiva una ricca sega, lui, dei sapori.
Spesso per i personaggi dal Sangue Blu, a quei tempi, gli individui come lei diventavano una sorta di confidenti fidati e nobili. È successo anche a lei?
Certo che sì, idïota, le pare che sia più stronzo di altri? Ci fu, mi ricordo ancora, il regista Pipy Fruccica che entrò in confidenza con me riguardo alle sue preferenze sessuali. Ricordo che era una persona molto discreta e sensibile, e quando gioiosamente urlai – la sala era piena – che la sera prima l’aveva acciuffato ripetutamente nel Sacro Tobòga dall’aiuto macchinista (del resto me l’aveva appena confidato lui, sfido chiunque a darmi del bugiardo…), sbiancò. Stranamente non riprese colore nemmeno dopo che gli gridai giovialmente “VECCHIA BAGASCIA MARCIA!”, accompagnando il tutto da una virile e sonora manata sulla schiena. Ah, la nostalgia!
E le celebrità? Ha avuto modo di conoscere da vicino qualche personaggio da rotocalco, immagino. Si ricorda qualcuna fra quelle loro bizzarre abitudini per cui andavano tanto famosi?
Guardi, la più bizzarra di cui ho rimembranza è certo quella di Fornaciaro K. Panati, il famosissimo cantante. Questo bel tipo insisteva a non voler bere assolutamente nessun tipo di alcolici. Io la presi come un fatto personale, e gli portai un bel bicchierone di grappa, spacciandogliela per acqua. Lui bevve e diventò tutto rosso. Poi si accasciò lì, e si dovette chiamare un’ambulanza perché non accennava a muoversi. Penso sia morto in ospedale, o magari anche sul colpo, d’altra parte non è che mi possa ricordare tutto. Certo che quella gente è ben strana…
Ci racconti qualche aneddoto gustoso di quei tempi…
Beh, mi ricordo di quando capitava che qualche Capitano d’Industria, o qualche Politico importante portava qualche phya [e dice proprio così: phya – ah, la grazia di questo personaggio! N.d.R.] di nascosto in qualche suite. Sa, per trombarla o incularla, o che so io. Dopo poco che era salito, io lo chiamavo in camera e allarmato gli dicevo: “Attenzione, sta arrivando sua moglie!” Il tipo si agitava parecchio, si nascondeva, magari mandava via la tro… la signorina, e poi io lo richiamavo per dirgli che era tutto a posto, e che la moglie l’avevo intercettata e rimandata a casa, dicendole che lì suo marito non si era assolutamente visto. La cosa bella era che nessuna moglie è mai venuta a chiedere di nessuno, lì. E dopo, il Cliente, che pensava gli avessi salvato il culo (con rispetto parlando) era generosissimo con le mance. Con questo sistema mi sono costruito la villa che vede, non so se capisce, caro il mio merdone.
Oppure mi ricordo di quando al povero Rigilli, commis appena arrivato, proveniente da una famiglia di poveri ciabattini scionchi e sfortunati, dicevamo per scherzo che – ce lo avevano appena comunicato dalla segreteria – sua madre era appena morta di vajolo, solo che lui non poteva assolutamente assentarsi dal lavoro perché di lì a poco sarebbe arrivato l’ambasciatore di Samotracia per il pranzo di Gala in onore di Cane Pìpolo III, erede al trono di Mèrdia. Penso che per questi scherzi abbia perso svariati anni di vita, e forse è per questo che è schiantato in capo a due anni, dallo stress. Tanto, avrebbe sempre condotto una vita del cazzo, che ci vuol fare. In un certo senso gli abbiamo anche fatto un favore. Ma aneddoti del genere ce ne sarebbero a milioni (il regime di terrore imposto ai miei sottoposti per le mance, lo sgambetto alla vedova Nephey, la prova della bottiglia in culo ai nuovi assunti, ecc.). Dico solo questi perché la sua debole mente certo non reggerebbe ulteriormente lo sforzo...
 
Prima parlava delle lingue straniere. Ci dica: quanto è importante, in ambienti come quelli, essere poliglotti?
Beh, è senz’altro fondamentale. Io, comunque, me ne sono sempre sbattuto i coglioni, anche perché si figuri un po’ lei se dovevo anche mettermi a studiare qualche insulso e inferiore linguaggio da barbari (quando non da baluba: pensi un po’ agli idiomi parlati in négria – io rabbrividisco al solo pensarci). Dopo tutto erano loro che venivano in Italia; io per me restavo a casa mia, vuole mettere? S’avevano a arrangiare. Ma, più ancora che le lingue, o la cultura, o qualche altro inutile & tedioso cazzo, è una questione di signorilità: e lei, caro Palle ce n'ha? No direi... ma via, non mi faccia parlare, sennò divento troppo amaro. E poi, qui mi si decanta troppo il vino, mi si sciupa. Ah, gliel'ho detto che l'ho rubato a un Conte, come del resto tutta la sua adorata Cantina, quando soggiornò - era il 1975 - al Grand Hotel "Stambecco di Sterco" di Ambèriarotta? A lui dissi che un terremoto aveva distrutto tutta la sua riserva. Invece ero io, che facevo i rutti in un megafono e gli rompevo i vasi Ming, così per spregio e per rendere più credibile l'insieme. Pensi un po' lei...


gennaio 18, 2005

Massimo Fini, intellettualone de “La Nazione” (ossimoro automatico? Mah, fate un po’ voi…) si autoscrive (accompagnando il tutto con una foto – posa molto teatrale, e tenuta tra il bohèmien e il dandy metropolitano) questo panegirico, sul giornale di cui sopra, in edizione 15 gennaio 2005, sabato:

CHE SORPRESA L’ITALIA VISTA DAL PALCOSCENICO


"Stasera concludo al “Nuovo” di Verona la tournée del mio Cyrano, se vi pare… che è il tentativo, spericolato, di fare teatro del cosiddetto “Fini-pensiero”, una sintesi di quanto vado scrivendo, nei miei libri, da una ventina d’anni. Spericolato per almeno due motivi. Innanzitutto perché presuppone che ci sia un pensiero, poi perché fare spettacolo di un testo saggistico, storico-filosofico è operazione complessa. Ma, a quanto pare, il regista, il giovane e talentuoso Edoardo Fiorillo, ce l’ha fatta. Con l’aiuto delle luci, delle musiche, degli attori (siamo in otto) e del loro movimento, di un video, di qualche breve siparietto, è riuscito a fare teatro, sia pure di tipo nuovo e sperimentale, di quella che, nella sostanza, è una conferenza. A detta di tutti lo spettacolo fila via, senza stancare. E i teatri (siamo stati a Milano, a Bologna, a Firenze, a Torino, a Modena, a Forlì e in altre piazze minori), ora sono sempre pieni. 

[segue tutto il suo resoconto sulla vita da attore, compreso uno scambio di battute con Pamela Villoresi, per poi finire sulla descrizione dei contenuti. Per quello, chi vuole può andare a rivedersi il giornale, non è che posso trascriverla tutta, l’intervista… quindi:]

Quando scrivevo queste cose vent’anni fa, nessuno mi prendeva sul serio. Oggi, a teatro, vedo che il pubblico, di tutte le età e di ogni estrazione sociale, con moltissimi ragazzi, non solo segue attento, ma è partecipe e quasi sempre condivide. La gente ne ha le scatole piene di questo modo di vivere ansioso, nevrotico, frustrante che ci obbliga a velocità sempre più insostenibili. Soprattutto i ragazzi, alla fine, durante il dibattito che dura più dello spettacolo, mi chiedono: “Dicci cosa dobbiamo fare”. Ma io non intendo fare il profeta né tantomeno il leader politico. Anche se mi prudono le mani e avrei una gran voglia di rovesciarmi su questa società impazzita con la violenza di uno Tsunami."
.
E alé! Che più? Alcune considerazioni:


1)      Il signor MassimoFini-Tsunami ha un gran buongusto, non c’è che dire…
2)      Il signor MassimoFini-Tsunami ha imparato, come buona parte di quella popolazione di coglioni che abita una certa penisola, una parolina nuova. E adesso la usa, ovviamente. Pare che in italiano, la stessa parola per esprimere lo stesso concetto, non esista, né possa esistere. (Probabilmente, se questo articolo fosse stato concepito entro il 25 dicembre, avrebbe scritto “con la violenza di un tornado”, o cose simili, insomma).
3)      La società teme, fortemente teme, tremante e annichilita, il di lui rovesciarsi su di sé.
4) Quello che "MassimoFini-Tsunami-Laudator-Di-Tutto-Ciò-Che-Non-È" pensa è, saggistico-storico-filosoficamente parlando, un perfetto esempio di pars destruens abbastanza ovvia, che non importa esser intellettualoni per concepire. Che, poi, in un mondo come questo possa esser scambiata per grande pensata originale, be’, questo è un altro discorso.


 Ma ci facciano il piacere, stolidi...

ottobre 16, 2003

Mio dio...

Non basta un colpo di fortuna per trovare marito. Parola di Rachel Greenwald, che negli Stati Uniti ha appena pubblicato un manuale per aiutare le single ad accasarsi. "A 35 anni la fortuna ha bisogno di un incoraggiamento”. Sentimentale? No, la Greenwald si basa sulle tecniche di marketing di Harvard. Da qui il titolo “Find a husband after 35 using what I learned in Harvard Business School ”. Noi l’abbiamo incontrata. [Ecco, dico... ma far qualcos'altro? non era meglio?]

Come è nata l’idea di questo manuale?
Cinque anni fa facevo la consulente di marketing. Ero amica di una donna molto in gamba di 41 anni. Non riusciva a trovare un uomo. Incominciai a darle consigli e presto capii che ciò che dicevo a lei di sera al telefono era ciò che proponevo ai miei clienti di giorno parlando di marketing: branding, packaging e pubblicità. I miei suggerimenti ebbero successo, iniziò un passaparola fra amiche. E allora ho lanciato un “dating coaching business” [vai, eccoci! o sentiamo che sarà mai, questo parolone insulso...]
Prego?
È una tecnica per insegnare alle donne come trovare un partner nei luoghi e nei momenti giusti. Per esempio organizzare feste alle quali gli invitati sono scelti perché single o perché ne conoscono. [ecco, complimenti... meno male che l'hai studiato ad Harvard! Questo sì che è un feroce colpo di genio! Madonna, sono sinceramente ammirato! E ti pagano pure per queste illuminazioni, per questi click spitzeriani. Brava fia penca, sì!] Insegnavo anche a usare un gruppo di tre amici e tre amiche come consulenti, per capire per esempio come una single debba presentarsi a un incontro romantico. E lanciai un sito: www.findhusbandafter35.com
Cosa c’entra la harvard business school?
[Un cazzo, verrebbe da dire... ma sentiamo che risponde questa lobotomizzata totale] A Harvard non si ricorre a libri di testo. Si analizzano casi veri e ci si domanda che cosa abbia funzionato e cosa può essere applicato ad altri casi. Lì ho imparato un modo di pensare [E studiare nulla, eh?]. I docenti ad Harvard ti chiedono qual è il tuo piano d’azione. Analizzando le mie clienti mi sono chiesta: “come ha utilizzato questa donna i miei consigli per sposarsi?” il denominatore comune erano cinque passi iniziali
Quali sono?
Il primo è definire la priorità strategica, cioè domandarsi se trovare marito è veramente il nostro obiettivo. Passo n. 2: designare una persona che ti faccia da consigliere. N. 3: “Packaging”, cioè studiare la presentazione del prodotto (se stessi): l’aspetto, la voce, il modo di sedersi, camminare o guardare. N. 4: allargamento del mercato, cioè non restringere la ricerca di un partner a una cerchia limitata. N 5, il branding, cioè la definizione di un proprio marchio, quell’elemento di unicità che ci rende differenti da tutti gli altri. Senza questi step iniziali, i dieci successivi del mio programma non danno risultati. [Mio dio, sono annichilito...]
Ma il suo libro tratta le donne come merce e gli uomini come consumatori
Io uso il mondo del business come metafora di quello che accade nel mondo degli incontri sentimentali [Già, chissà se così avrai mai un'idea di cosa sia l'amore]. La verità è che negli USA dopo i 35 anni ci sono più donne nubili disponibili che uomini. In termini economici è un’equazione fatta di scarsa domanda e offerta eccessiva. Gli uomini sono gli acquirenti, le donne i venditori. [E la tu' mamma?]
In Italia “the program” uscirà ad aprile da Piemme, ma si rivolgerà alle donne di 30 anni anziché 35. perché?
Negli usa le donne sono concentrate sulla carriera. In Europa il movimento femminista si è mosso molto più lentamente e le donne hanno minori opportunità di lavoro. Così ce ne sono tante che già sui 30 sono alla ricerca affannosa di un marito. [Spiegazione più che logica. Ti fa una sega Cartesio, a te]
Lei suggerisce per questo di investire dal 10 al 20 per cento del reddito. Molto. Perché?
Un budget definito serve. Investire in un computer per esempio è essenziale: per incontrare possibili partner su Internet. [Cazzo, ma sei veramente il Leonardo da Vinci del XXI secolo]
E il colpo di fulmine dove lo mettiamo?
Bisogna prima trovarlo, un uomo. [Dio voglia tu trovi solo il fulmine, te]
La Paramount ha comprato i diritti per un film
Sarà una commedia che fonde storie di mie clienti. Sembra una storia americana, ma il problema delle single è universale [Non vedo l'ora... ovviamente me lo perderò, come "Il diario di Bridget Jones" e un sacco di altre stronzate snervanti]

Mio dio...