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maggio 29, 2009

LA GIOIA D'UN LAVORO BEN FATTO (TRALLALLALLALLÀ)
Ascoltate: vi racconto una storia. Una volta avevo una fidanzata, a cui spezzai il cuore. Magari era anche brava, eh? Però all'epoca mi pareva una gran rompicoglioni, e insomma andò come andò. Vabe': cazzi miei. Quel che volevo dire però, era che lei faceva giurisprudenza, e in un exemplum giuridico riportato in un libro che stava studiando in quel periodo, c'era un personaggio col mio stesso cognome (Filobutirro, Anacarlo di nome). Quando casualmente la rividi, qualche tempo dopo, ci tenne a farmi sapere che a seguito precisa domanda del tal professore (penso Anacordo Fezzicone, anni 63 portati con la borsite), all'esame, lei si era manifestamente rifiutata di riferire di quell'exemplum perché quel tizio aveva il mio stesso cognome. Aveva motivato la cosa al professore raccontando la verità. Né più, né meno: non lo diceva perché un suo ex si chiamava così. Ciò le era costato un bel po' in termini di punteggio, disse. Io poi ripresi la mia strada. Penso che lei adesso sia sposata, e stia più che bene, anche in termini di soldi. E sia felice, con qualcun altro.
Tutto ciò per dire, insomma, che non importa quanto ti paia di fare una stronzata, a volte, qualsiasi cosa possa essere o qualsiasi cosa tu possa dire: c'è sempre chi fa meglio di te.
Nel caso appunto, non è colpa mia se dopo aver combattuto nell'ordine: i tarli, un paio di certificazioni ingengeristiche della canna fumaria misteriosamente mancanti, una mensola che è venuta giù, un'infiltrazione con relativo inzuppamento travi dal bagno di quello di sopra, un'invasione di formiche dallo scarico del bidet, una persiana che si staccava minacciando di cadere sulla macchina di quello di sotto, uno pseudo vicino malvagio che ha bloccato i lavori d'un mysero pergolato in ferro imponendomi di chiedere permessi anche al messo pontificio e al cancelliere Otto von Bismarck (pace all'anima sua), una piccola perdita dalla doccia, una forsassite che portava l'elettricità al motorino del depuratore che era stata accidentalmente (sì, un cazzo: IMPERIZIA, NEGLIGENZA, etc) tranciata, un tappo che non faceva il suo dovere, una nuova invasione di formiche ma stavolta da una minuscola fessura nello zoccolo della camerina; non è colpa mia, dicevo, se una volta passato tutto questo mi son detto che era finalmente tutto sistemato e ora mi potevo metter sul divano ad aspettare che si rompesse un tubo. E mese più mese meno, un tubo s'è rotto per davvero e ora la merda pascola libera & fracida nel pratino tra casa mia e un vicino che ancor non c'è e meno male che non c'è sennò arrivavan tosto querele & litigi. La gioia d'un lavoro ben fatto, appunto. Con avgvrî d'emorroidi et ernie inguinali a chi sì ben l'eseguì. Non è colpa mia; è solo Caso, che sempre ci guata, cospira e ordisce. E quando meno te lo aspetti (o anche se te l'aspetti, cazzi tuoi, vedrai eh?) PEM! ti piomba laddietro come un uccello padulo in fiamme.
Però, come dicevo, c'è sempre chi fa peggio. E qualcuno a cui dar la colpa, sempre. Quindi: minimizziamo, passiam sopra, oltre ed ancor più in là: son casi. nulla più. Conta ridimensionare, nella vita.
Il cammino della semplicità è un lungo cammino, diceva Folon. Povero Folon, a proposito. Poveri noi.

Tampoco, l
a gioia d'un lavoro ben fatto però è anche questa, oggi: la mia condivisitrice coatta di sventure, in quella galera minimale che tutti noi possiam chiamar lavoro (chi più, chi meno), m'ha detto, oggi:
“sai che da quando ho letto il tuo libro m'è passata del tutto la voglia di lavorare? Non so davvero più come fare. Mi son passate tutte le fantasie”.
Sì, son soddisfazioni, cazzo. Un libro che funziona.
M'è inoltre sempre parso di far la parte di quello che frenava gli entusiasmi altrui, anche mio malgrado. Ma, di questo, poi eh? Ch'or si fvgge, in cvlo a loro, tutti quanti.

maggio 28, 2009

GUIDARE È UN PÒ PERDERSI IN COMPLICAZIONI DELL'ESSERE (STRONZO)

Installano una scultura nel mezzo di una rotonda. Arte contemporanea, paesaggistica, riqualificante, quel che è. Dieci metri più a ovest (credo, a ovest; ma potrebbe benissimo essere anche sud, o nord-ovest) c'è un bel distributore Tamoil, moderno e luccicante. La scultura è un'enorme clessidra in ferro grezzo, con poetiche ossidazioni ramate. È solo lo scheletro, non si tratta ovviamente di una struttura piena. C'è aria, in mezzo. E in fondo alla clessidra sono ammassati tre pesi, di quelli da bilancia di una volta, anch'essi in ferro ossidato, pieni.

Intorno c'è il consueto prato, e poi la strada, con le macchine che girano come i miei coglioni quando devo andare a lavorare. Come adesso.
Che simboleggi la pesantezza del tempo? È soggettivo... come d'altra parte è soggettivo quale tempo sia effettivamente pesante e quale non lo sia.
Mi piace l'arte paesaggistica. Sì, cazzo.

maggio 27, 2009

SCINDERESTI POI LA GENTE - QUELLA CHIARA DALLA NO (EEEEEEEEHHHHHHHHHHHHH??? - e fanno 'quattrini!)

Nella mia casa ho tre gatti. Un gatto americano e due gatti comuni. I due comuni si chiamano Arturo (quello giallo, seduto sulle zampe di dietro) e Barney (quello celeste, sdraiato), e sono di legno; quello americano è di pezza, a patchwork, e viene dal Vermont e penso si chiami Thelonious, anche se adesso non ci giurerei. Ha un campanaccio stile mucca dei verdi pascoli alpini al collo. Oltre a questi tre, ce ne sono due neri, messi uno a fianco all'altro, con le teste che dolcemente si appoggiano l'una all'altra e i lunghi colli che formano un cuore d'aria nel mezzo. Come stile, una cosa a metà fra il caro vecchio Anubis e due gatti cattivi che mi pareva avessero una qualche minima parte negli Aristogatti, anche se più che tutto simboleggiano certo l'anima nera et amareggiata di me e di mia moglie, che però guardiamo (penso) speranzosi verso un avvenire romanticamente incerto epperò gravido di accadimenti positivi.
In più, altri due fanno da reggi-libri. Ma questi sono soprammobili, inanimati e leggeri.
È bene, ho sempre saputo – che poi sia vero, è tutt'altra faccenda – vivere con dei gatti: perché portano fortuna, danno energia e non gliene frega più di tanto di te; esattamente magari come a te non frega poi così tanto di loro. Ad esempio, io non c'ho mai parlato, né con Arturo né con Barney. Né tantomeno con Thelonious. Idem, penso, mia moglie. Però, loro stanno sempre lì; ci guardano, noi guardiamo loro, li sposto quando spolvero, non mi son mai caduti: ho già qualche ricordo di me che leggo Calvin & Hobbes o guardo Mystic River con loro in zona – sopra, accanto e davanti a me.
E poi ci son fatine appese, una per stanza, e un par di piante marziane che regolarmente appassiscono. Hai voglia a dedicargli attenzioni: diventano gialle, vanno giù, assorbono forse i nostri pensieri cattivi e i nostri malumori. Solo così si può spiegare forse il fatto che siano andate a farsi benedire anche numero due (e dico: due) piante grasse...
è sempre così, in realtà: basterebbe riuscire a non deprimersi, ad attorcigliarsi in inutili ragionamenti, che ti trattengono di là dallo specchio, a non voler vedere tutto nero. E – non solo le piante, ma anche noi stessi – staremmo meglio.
Se solo non suonasse così spesso il telefono, e tutti volessero accerchiarmi coi loro stupidi problemi...
Però, insomma, è questo che intendo, quasi una cosa filosofica: ho i gatti a casa. Pace, niente può nuocermi più di tanto. Chi son tutti questi altri? C'entrano qualcosa, con me?
Io che voglio, in generale? Certo non quel che vogliono loro. Al limite li guardo. E se riesco a fermarmi a guardarli, scopro al massimo che possono passarmi davanti, avanti e indietro mille volte, schiamazzanti, agitati, tutti presi da qualcosa che veramente non concepisco. Ma toccarmi non possono, mai, né devo farci i conti. Perché io sono altrove.
Al limite, apparirò un po' spaesato, fuori posto.
Ma, per quel che mi riguarda, avrò ragione io, e loro vadano affanculo.

maggio 26, 2009

DETTATO SENZA RILEGGERE, CON POCHI MINUTI A DISPOSIZIONE, PRIMA CHE IL CAMPANILE BATTA L'ORA CHE CONTA. LA SOLA, IN UN GIORNO FERIALE.

Ci sono libri che uno dovrebbe rileggere. Né più, né meno. Dovrei provare a ricominciare dall'inizio, penso, e vedere se tutto accadeva perché era una scoperta e una novità, o proprio perché avevo avuto il culo strano e tremendo di beccare tutti gli assi alle prime mani. Come sempre accade, sarà sicuramente una via di mezzo tra le molte ipotesi; ma, nel dubbio, ricominciare a leggere John Fante, Kafka, Vonnegut, Céline, Fitzgerald, Bukowski, Flaiano, i racconti di Maupassant, Carver, Roth e via discorrendo sarà decisamente piacevole. Ho qualche ricordo sempre più a brandelli (non che i ricordi si perdano del tutto, credo... semplicemente, restano via via sommersi sotto mille altre cose, a strati, come diverse ere geologiche, ogni tanto affiorando se qualche volenteroso magari si mette all'opera) di me che alzo la testa da Viaggio al Termine della notte letto sull'autobus avendo difficoltà a capire dove sono (in Africa delirante, a schiacciare insetti enormi? In Place de Clichy? Al Fronte nel '15-'18?); di me sul treno con accanto un tizio con cui condividevo un corso di Letteratura Italiana del Rinascimento che mi chiede chi è l'assassino? mentre sto leggendo Il rosso e il nero; di me che in una casa completamente vuota leggo l'Eneide sul terrazzo, di notte; di me che rido come uno scemo con la gente che mi guarda leggendo di Barney Panofsky o di Alex Portnoy. O quando, sempre con Céline (Morte a credito, stavolta) mi guardavo intorno dopo aver alzato gli occhi e mi pareva di essere in un mondo allucinato di pezzenti e straccioni (io per primo) da cui guardarsi. O ancora, di me che sottolineavo via via le frasi, riportando a penna (orrore! A penna! Non ho mai capito chi rompeva tanto i coglioni perché a penna non ci si scrive sui libri...) le note di Vittore Branca da un'edizione extra lusso del Decameron sulla mia; augurandomi di diventare un barbone mentre leggevo del vecchio Buk; bruciando per profonda empatia mentre ammiravo quel che scriveva John Fante. Ho solo ricordi di me, mi par di capire. Di me che leggo. Questo per notare che come al solito non faccio altro che guardarmi la pancia e autocommiserarmi, ripetendo senza sosta che tutto ciò che ho intrapreso l'ho portato a svuotarsi ed afflosciarsi dall'interno, necessariamente fallendo il colpo. Poi, nella lettura – come in tutte le altre cose, per la verità – conta più che altro lo stato d'animo che uno ci mette. Sei ben disposto? Andrà tutto bene. Forse se leggessi queste cose oggi, sarei comunque nello stato in cui sono, a metà fra l'immedesimarsi giusto una pagina sì e trenta no, e il non capirci un cazzo, del tutto.
Non lo so. Certo è che c'era una specie di grande magia la quale, come mille altre cose, si è perduta. Si è perduta così bene che non mi sembra nemmeno ci sia mai stata, forse. E forse non c'è mai stata davvero.
Per il resto, penso di aver avuto... bah, chissà quanti anni: mi ricordo che prendevo i libri dalla Biblioteca dei Ragazzi – un enorme raccolta di fumetti di Mafalda, volumi sui dinosauri, i libri di Giulio Verne. Ecco, lo chiamavano proprio così: Giulio Verne, tradotto che nemmeno si fosse ancora sotto Chiorbone (certo, a ben vedere... oggi Chiorbone si farebbe un trapianto di capelli e poi giù di sughero e cerone, a far volume), e quelli erano libroni cartonati e belli grossi, con disegni sulla copertina. Non ricordo molto, perché alla fine il tempo passa e la vita ti porta in altre direzioni; ma di sicuro era prima di quello che ricordo distintamente essere il mio primo libro, Il vecchio e il mare, impostomi da quell'acidissima bagascia della professoressa di italiano delle medie. Ricordo che mi parve fantastico, e che mi dissi: che cazzo c'entra lei, con questo libro? Lei che era una vera merda, che ci faceva domande tipo: qual è la funzione dei vescovi? Troia stupida e pazza. Ero offeso di aver trovato qualcosa di simile tramite lei. E non dico nemmeno  poi avrei capito, che lei era così perché doveva esserlo, che noi non potevamo capire, era colpa mia, eccetera eccetera. Lei era una troia stupida e pazza, una persona di merda. E con un'alitosi tremenda.
Però, dicevo. Dicevo che prima di questo ci furono alcuni romanzi di Jules Verne, primo fra tutti il Viaggio al centro della terra, in cui c'erano i mostri. I mostri. Potevo desiderare di meglio?
Insomma, facciamola corta: l'ho ritrovato qualche giorno fa. Al supermercato mi pare. Adesso frequento spesso il supermercato. Casi della vita. Era in edizione da grandi stavolta, Einaudi tascabili, pure con lo sconto e sotto la doppia cifra (ormai qualsiasi libro va dai 12 euro in su!).
Ho ricominciato, e forse un po' di quella polvere, di q
uella magia, c'è ancora, nonostante il lavoro e quello a cui ti porta incontro la vita, con o senza te che sei felice. Erano altri momenti, ed io ero un grand'uomo, con la mia giacca marrone grezza e il thè che prendevo alla macchinetta, uscito dalla sala di lettura, a Firenze.
A volte son solo momenti, poi tutto passa.
Perché tutto passa, come diceva il Buddha. E l'energia va e viene (più spesso, va...), e porta con sé le sensazioni positive, il benessere e l'euforia. O, al contrario, la disperazione, l'accidia e la tetraggine. Certi giorni saresti capace di far tutto, e se anche ti cacassero in macchina ci rideresti su. Certi altri ti arrabbi se il vento porta con sé una nuvola.
Che esseri del cazzo, che siamo!

 

maggio 22, 2009

AMAREZZE®

Trovo amaramente ironico & tragicomico il fatto che la maggior parte delle ore in cui sono sveglio e vigile le debba nel mio piccolo passare in compagnia del mio titolare, dei miei colleghi, di tutta una serie di incresciosi contrattempi, inutili cavilli ed obbligate azioni di cui niente od assai poco m'importa, riservando a mia moglie, ai miei nipoti, ai miei amici, alla mia famiglia e a tutto ciò che m'interessa soltanto ed esclusivamente ritagli di tempo, quand'anche ci riesco.

Questo è come si è strutturata, nel corso dei secoli, la moderna società capitalistico-tecnologica, la quale certo in tutt'altra direzione tira rispetto al configurarsi come il migliore dei mondi possibili. E molti di noi accantonano dunque la propria vita ed abdicano alle proprie scelte e volontà per nutrir di sé e mantenere in vita questo mostro, ormai talmente radicato che ci pare anche del tutto normale e imprescindibile.

Qualcuno se ne accorge, qualcun altro no (e vive meglio, forse), ma questo è un altro dire.

Se solo un marziano arrivasse fino a noi, e avesse modo di vederci all'opera, ecco probabilmente cosa direbbe:

“Per cosa cazzo fate tutto questo, in nome del cielo?”

maggio 11, 2009

ANCORA, PER VOI: DELLA SANA PUBBLICITÀ PROGRESSO®, PER RIMEDIARE ALLA VOSTRA SICURA IMPOTENZA ET CERTA INCAPACITÀ DI CONDURRE UN'ESISTENZA NORMALE E ALLORA VIA, CHE RICORRETE A QUESTE COSE, RAZZA DI COGLIONI, CHE DI SICURO IL PROSSIMO PASSO SARÀ CONSULTARE IL MAGO ANUBI PER UN TALISMANO SYMPATICAMENTE SAGOMATO A FORMA DI SCORIA NVCLEARE DOPO ESSERVI FATTI FAR LE CARTE (TANTO V'ESCE IL TRE DI QUADRI O IL CULO DI SPADE, CHE SIGNIFICANO RISPETTIVAMENTE MERDA 100% E MENISCO)

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