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dicembre 30, 2010

YOU GOTTA SERVE SOMEBODY / HEAVEN MUST BE A PLACE FOR THOSE WHO PRAY (ay ay ay)

Finisce un altro anno, e se dovessi perder tempo a classificarlo direi semplicemente che è stato come tutti. Né bello né brutto, progressi e regressi, quantomeno un affinare e definire un sentimento di generica rabbia che avevo e forse mi avvelenava la vita, considerandola quale essa è e di quale natura siano le cose che uno ci fa durante. Ora, non che questa rabbia non ci sia più o che non mi avveleni la vita; semplicemente forse me la avvelena meno, o forse nemmeno questo è vero, ma mi dà un illusorio senso di sospensione, stasi, pace. No, nemmeno questo è vero, o quantomeno è vero a scatti, ma insomma non ho di meglio da fare e poi intendiamoci: non che odi il mio lavoro.
(Quanto al mio lavoro, la cosa che attualmente è legata a me in questa precisa contingenza posso anche dire, per quel che può valere, che ho fatto chiudere l'anno con buoni risultati, la micragnosa ditta per cui lavoro ha fatto il suo anno migliore, come soldi, profitto, abbassamento dei costi, ricarico percentuale etc - e non ho nemmeno false modestie o scrupoli nel riconscere che è "merito mio", per quanto questo non venga riconosciuto o ricompensato e nemmeno m'interessi più di tanto, per quel - ripeto - che vale, giacché quasi ogni attività lavorativa è qualcosa di inconcludentemente ripetitivo e meccanico, e alla fine anche a esser particolarmente gnucchi in qualche modo ci si ammaestra. Quindi no, non che odi il mio lavoro particolare).
Voglio dire: non più di quanto potrei odiarne un altro qualsiasi, fosse anche fare il maniscalco o dondolare le scimmie o impilare cataste in qualità di impiegato del catasto. Odio l'idea stessa di lavoro, come questo è strutturato e cosa questo comporta: odio il fatto che sia così totalizzante e al tempo stesso così stupido e ripetitivo; che ci metta in modo coatto di fronte a problemi e persone dei quali niente ci interesserebbe e delle quali niente vorremmo con (in) noi.
Mi sembra uno stridente e insopportabile controsenso (purtroppo: un controsenso portante, come noi fossimo la vita e questo il pilastro, l'architrave, fate voi) l'esser costretto a passare, al giorno, più tempo al fianco di persone effettivamente estranee – magari rendendosi conto che, fossi libero, le mie strade prenderebbero direzioni molto diverse dalle loro – che non al fianco delle persone che per me contano, possano queste essere la moglie, la fidanzata, gli amici, i familiari, quel che si vuole.
Mi sembra francamente indecente che questa debba essere la regola, e che se da questa si deroga, sia solo per un periodo relativamente breve: un giorno di permesso, due giorni di ferie, una settimana di ferie, tre giorni di malattia: un'ora d'aria, due giorni di libertà, una settimana di libertà vigilata, tre giorni in infermeria. E poi via che si riparte, come di consueto: e siamo costretti ad approfondire la conoscenza di queste persone, magari conoscere per via di racconti, i loro racconti, le rispettive famiglie, i loro aneddoti, le loro avventure, le loro allegrie e le loro tristezze. Ti fermi a pensare: chi sono, loro (o anche: ma davvero sto perdendo il sonno per questo)? E non riesci a trovare una risposta soddisfacente o quantomeno non disperante, meravigliandoti nel contempo di quanto in là ti sei spinto e quanto poco ormai parli con tua moglie e quanto invece con loro; quanto poco conosci lei o i tuoi cari e quanto sai del figlio del tuo capo e delle vicende di vita vissuta della collega. Avverti che con loro non sei per niente a casa; eppure sei costretto a sederti, metterti comodo, infilar le pantofole, magari ridere di quel che avviene e comunque stare lì, al tempo stesso sentendoti un estraneo svuotato sul divano di casa tua.
Si dirà: e perché per tutti loro non sarebbe lo stesso? Non potrebbero esser soggetti frustrati e potenzialmente depressi allo stesso modo? Be', a parte l'ovvia considerazione che se così fosse il mondo sarebbe un posto parecchio (più) scuro e improduttivo, quel che mi vien da notare è che a), è scattato in loro un meccanismo di identificazione che li pone al riparo da tutto questo; b), semplicemente, non ci pensano. È il Grande Segreto, in fin dei conti: il mondo è una pagina bianca per ognuno di noi, e ognuno di noi ci scrive sopra la propria storia, che è fatta di scelte, conoscenze, interessi. Se ti fermi e ti guardi un attimo indietro, scopri che quasi mai sono le tue scelte, le tue conoscenze, i tuoi interessi. O quantomeno, una percentuale molto bassa è tua; ma il resto è indotto, frutto di costrizioni, ineluttabili logiche di vita. Se non ci fai caso; se non ti fermi, se non guardi indietro e ti perdi a soppesare, vivrai la tua vita con semplicità. (A me sembra limitatezza o povertà, ma in definitiva son solo parole, e quindi forse ha ragione chi macina e tira dritto e tra un cazzo e l'altro racconta di quella e quell'altra volta che).
Quanto all'identificazione, credo che essa sia il Male Supremo proprio perché non siamo più il nostro lavoro – non perlomeno in senso positivo, nel senso diciamo in cui poteva esserlo un artigiano di una corporazione medievale. Non lo siamo dal momento in cui questo è diventato una costrizione, la Costrizione (se vogliamo, l'estremo di una proporzione i cui termini più o meno potrebbero essere il lavoro sta alla vita come il cibo sta ai soldi); non lo siamo, soprattutto, nel momento in cui noi andiamo verso il lavoro: ci alziamo dalla nostra casa, ognuno per la sua strada (nessuno dei due coniugi/conviventi può nel mondo moderno restare a casa perché – al di là di ragioni più o meno materiali, che spesso comunque son sopravvalutate; più paura che altro – altrimenti scatterebbe una qualche forma di depressione, e questo tra l'altro l'ho sempre trovato profondamente significativo) e usciamo; usciamo per tutto il giorno, per andare a trenta/cinquanta chilometri di distanza a fare qualcosa che quanto possa appartenerci è sintomaticamente dimostrato dal fatto che uno in vita solitamente fa quattro o cinque lavori diversi, solitamente molto differenti l'uno dall'altro; usciamo facendo questi trenta/cinquanta chilometri – poniamo – in direzione sud, proprio mentre un altro tizio sta facendo gli stessi trenta/cinquanta chilometri nella direzione inversa, del pari per andare a fare una cosa che gli appartiene quanto a noi appartiene l'altra.
Pensarci significa rendersi conto di quanto sia tragicomica la situazione: che senso può mai avere che Enio parta da Pedrano Boscone per andare a fare temperamatite automatici a Remedio val di Geppo, proprio mentre Zanubrio parte da Remedio val di Geppo per andare a produrre cuscinetti frenanti lubrificati a Pedrano Boscone? È questa l'identità dell'individuo, persa nelle code in autostrada, in occhi che si chiudono sul divano alla sera, in mal di schiena o infiammazioni del tunnel carpale e viste che si abbassano? Davvero, tutto quel che siamo riusciti a diventare, la Somma Conquista della nostra civiltà, sarebbe un parcellare sempre più fitto, fino a divenire minuscoli ingranaggi che girano come devono essere settati, sempre nello stesso verso più o meno come automi, dandoci in cambio la soddisfazione (?) di vederci come i protagonisti dell'episodio firmato Luchino Visconti in Boccaccio '70 (Il lavoro, appunto - quando almeno il cinema italiano diceva qualcosa di interessante)?
So già che si dirà certo, se fai qualcosa che non ti piace, questo è il risultato. No, cari miei, è riduttivo, una lettura troppo facile. È più una questione di ritmi, costrizioni, schiavitù: otto ore al giorno in quella realtà, per tutti i santi giorni, più il tempo dei trasferimenti in macchina o con mezzi, più il tempo dei pasti fuori casa, più gli eventuali (?) straordinari; tutta l'energia che si disperde, la tua: e tutto questo per cosa, col solo orientamento al fine del profitto (orizzonte del proprietario, dell'imprenditore, del capo – quantomeno loro si identificano – garaglò! – nei soldi, spesso anche facendo niente o poco, trincerandosi dietro un non ben identificato stress decisionale da possesso) oppure? Spazio bianco
orizzonte del lavoratore, che si può consolare autoconvincendosi che il suo lavoro gli piace e che la vita è tutta qui e tu ci sei proprio dentro, sguazzaci come meglio credi e misurati con quel che hai, sei il tuo lavoro adesso, (non sei niente).
Se fai qualcosa che ti piace, qualcosa che veramente ti piace, per cui senti una certa inclinazione hai almeno la soddisfazione di un'energia che non si disperde a vuoto. Ma resti nell'ingranaggio, un meccanismo che ti dice che se non guadagni non mangi, non sei nessuno, non fai cose chic con cui titilli il tuo ego, non puoi comprarti i vestiti griffati o il SUV o le vacanze alle Maldive. E questo meccanismo è talmente forte e radicato e (ahimè) vitale che se anche non puoi nessun problema: ci son le rate, i finanziamenti, i prestiti. Apparteniamo a, ed è importante che quanto c'è dopo la proposizione sia anche un modello o qualcosa a cui tendere, qualcosa con sempre più ramificazioni, lambiccamenti e arrampicamenti sugli specchi, desideri indotti per fare in modo che il denaro continui a circolare, e nel contempo ti inchiodi al tuo lavoro che ti piace perché sei tu e tu sei i tuoi soldi, perché tutto ha un prezzo e tutto costa, foss'anche qualcosa di nobile se a te può piacere qualcosa di nobile; in definitiva anche il posto nella tua nicchia che vorresti continuare a tenere e che invece è ogni giorno più mangiato dall'esterno, all'infinito finché anche la tua nicchia non ci sarà più e andrai alla cena di natale coi colleghi, raccontandosi aneddoti di lavoro che peraltro tutti, lì, conoscete già.
Mi pareva un progresso in me, pensare queste cose. Non cambieranno nulla, e niente succederà; ma poiché generalmente in questi giorni si van facendo propositi per l'anno nuovo... insomma, sì, ecco, questo è il mio: per il 2011, caro San Gaspare da Fermino, voglio scendere da questo Calcinculo Inconcludente e Molesto. Amen.

dicembre 26, 2010


L. pensava ai suoi nodi.
Sapeva di averne a migliaia, dentro di sé. Come capelli sporchi, che era poi un modo – anche se brutto – di sentirsi l'anima: capelli sporchi, sfibrati, nodi (appunto) e doppie punte. E andiamo.
Ne aveva anche parlato con uno bravo (se avessimo un'ambientazione newyorkese inizi '90 potremmo anche dire col suo analista), e in fondo sapeva che tutta la colpa era sua: sapeva che erano lì, che si erano formati e si stavano formando e si sarebbero formati ancora, e a poco valeva scioglierne uno o due, magari giusto in tempo per vedersene – o, per meglio dire, sentirsene – spuntare sette.
Per scioglierli, o quantomeno provare a farlo, gli era stato detto di fare la cosa che meno di tutte, forse, era disposto a fare: parlare, parlarne. Un nodo veniva per così dire isolato, minimizzato; e ridurlo in qualche modo voleva dire renderlo innocuo, se non del tutto sciolto. La personalità di ognuno di noi è come la superficie di una grattugia per il formaggio, gli aveva detto l'analista (sì, insomma: la persona di cui sopra), ed è molto facile, per non dire ovvio, che su quella superficie si fermi un sacco di roba, che questa si accumuli e si attorcigli, e dopo diventa tutto più difficile: prova un po', ad andare in giro con un sacco di roba non tuo, tutta appesa nei punti più scomodi e impensabili. Per scrollartela, però, ti può bastare guardarla, guardarla davvero, considerarla, e dire ad alta voce: ehi, e questo che diavolo è? E a quel punto lo togli. Facile. Se non se ne va, è segno che c'è da lavorarci un po' più in profondità, ma alla fine le cose che restano piantate lì sono una netta minoranza, ma se intanto sfoltisci tutto il ciarpame poi togliere quel che conta davvero sarà più facile.
Solo che, di parlare, L. non aveva proprio voglia. Era la cosa più faticosa che potesse immaginare, e la più vicina all'idea che si era fatto del concetto di frustrante che potesse avere: e se la persona che ho davanti di punto in bianco sbadiglia? E se qualcos'altro cattura la sua attenzione e mi rendo conto di star parlando a vuoto? E se mi vergogno? E se non riesco a dire quello che vorrei?
Coinvolgere altri soggetti, per quanto vicini, per quanto amici, in una cosa del genere gli pareva intollerabilmente difficile, e questo nonostante si rendesse chiaramente conto che tutto – i nodi, i disagi, le incomprensioni, come anche le cose più belle, dal fare l'amore al ridere passando per qualsiasi esperienza – fosse il risultato di una continua relazione con gli altri soggetti. Tutto è condiviso, e prima di tutto noi stessi; attraverso gli altri ci conosciamo di più, e solo attraverso gli altri – o meglio, attraverso la nostra esperienza con e degli altri: le emozioni che viviamo attraverso e assieme e in contrapposizione a loro, rielaborandole secondo il nostro punto di vista – acquistiamo significato: certo, gli altri ci lasciano un bel po' di ciarpame addosso, ma una volta che hai fatto una cernita (frutto di una più o meno approfondita riflessione sul concetto di altri), già hai circoscritto in modo utile – a quel punto si tratta solo di lavorare sugli episodi. Se il protagonista di Into the wild molla tutto e si ritrova solo in Alaska con un alce andato a male come (infausto) pranzo per giungere alfine a scrivere la felicità ha senso solo se condivisa, un motivo ci sarà.
Idem se è da sempre noto che siamo animali sociali. Un motivo, vuoi che non ci sia?
Da soli siamo un mare calmo e immoto. Bello quanto si vuole, ma piuttosto fermo, in tutti i sensi. Basta che qualcosa di esterno venga immesso – ed è, per così dire, inevitabile e giusto, ed ovviamente augurabile – ed ecco che la stasi se ne va. Ed è un bene. Da lì nascono confronti più o meno fecondi, opinioni, scintille, litigi, amplessi, pianti, frizioni, di tutto un po': da lì nasciamo noi stessi come persone, mari (al nostro punto di vista) che si confrontano e reagiscono ad altre forme di vita, più sullo sfondo, sul nostro sfondo – ciascuno il suo – ma agenti volontari o involontari, ditretti o indiretti di un buon 99% di tutto ciò che accade nel mare dell'io.
E per L. era proprio questa la causa della sua crisi e dei suoi nodi: magari aveva a che fare con una certa entità, e ciò gli piaceva; ma questa entità chiamava in causa altre entità a sé più o meno direttamente legate, e magari queste gli spiacevano, o non sentiva minimamente il bisogno di relazionarcisi. Se non lo stridente e doloroso conflitto fra una frizione netta per ciò che da quella entità discendeva e ciò che essa era.
O magari, essendo anche quella qualcosa dinamicamente in movimento, poteva in qualsiasi momento potenzialmente cambiare il quadro delle carte in tavola, in modo del tutto inaspettato (chi diavolo sa cosa possono avere in mente gli altri?).
E come avremmo potuto metterla poi, con un astratto concetto di possesso o di felicità che per te magari è nulla più che un'ovvia risultanza di un processo che in te ha inizio e fine, ma che in questo caso coinvolge e delega a un sacco di persone? O anche una sola, o tre, o dieci.
Un attimo di incomprensione, se non avevi la prontezza di farlo notare subito, nomandolo ed insieme esorcizzandolo, rimpicciolendolo, dandogli il giusto spazio prima della sua (a quel punto) inevitabile scomparsa, rischiava di divenire un pericoloso sedimento, che in due o tre giorni avrebbe raccolto attorno a sé detriti e dato origine a un nuovo nodo, che poi avrebbe inciso nel rapporto con quell'altro, o quegli altri, o perfino con te stesso.
Se non riuscivi a parlarne subito, così rischiando litigi, rischiando di essere spiacevole, rischiando l'attenzione dell'interlocutore, e via discorrendo... tutte cose che a L. parevano infiniti pericoli e fatiche non sopportabili.
Si era sempre immaginato – magari peccando di scarsa immaginazione - una seduta dall'analista come un lungo chiacchericcio del tipo sa mi ricordo di quando andavo alle superiori e c'era questa cosa della messa di natale; tutta la scuola, il giorno prima delle vacanze natalizie era tenuta a recarsi alla chiesa più vicina all'istituto, in cui appositamente veniva celebrata una funzione addirittura col vescovo e noi dovevamo essere tutti in divisa e in fila, e c'era uno di noi che tutti gli anni stava in cima e doveva portare la bandiera della scuola, e tutte le volte dopo poco che la messa era iniziata quel tizio sveniva e noi lo vedeamo sempre portato fuori in braccio, mentre qualcun altro prendeva la bandiera al posto suo e che significa dottore, che ho fatto una scuola maledetta da dio? Lo sapevo, l'avevo intuito, ero sicuro ci fosse un'origine lontana delle mie sventure e che per questo fossi così attratto dal seno delle donne e da queste invece parzialmente rifuggito o quantomeno tollerato. E il tizio che avrebbe annuito gravemente, mentre scribacchiava qualcosa d'importante sul suo taccuino, e nel giro di qualche seduta lo avrebbe trasformato in un uomo nuovo, una bomba sexy e una persona interessante, cui anche il fisico avrebbe risposto agli esercizi che faceva in palestra.
A volte, la vita è questione di passi giusti.
E invece tutto questo era nient'altro che un lungo esercizio su se stessi, frustrante, ed in definitiva non era nemmeno una seduta, perché non c'era proprio per niente da sedersi, nella vita. In piedi, e se qualcuno ti tira calci negli stinchi - perché ci sarà sempre qualcuno che tira calci negli stinchi - far finta di niente e pedalare, caro mio.
E i nodi? Vuoi preoccuparti dei nodi quando c'è qualcuno che tira calci negli stinchi e sputa?
E se poi anche il tuo lettore dvd smette di funzionare e tu avevi appena programmato di guardarti harry ti presento sally?
Ce le avrai le tue sfortune, eh?

dicembre 25, 2010

(Ma in fondo quale lavoro non è una fatica di Sisifo e non comporta lo spingere lo stesso masso in cima alla stessa collina, all'infinito? Il poliziotto perlustra a piedi sempre la stessa area; lo scrittore, finito di comporre un saggio d'ispirazione liberale-umanitaria, lo osserva scomparire e ne comincia un altro. Tutti noi passiamo l'intera giornata a spingere il nostro masso in cima alla collina - solo per ritrovarlo di nuovo a valle quando riemergiamo la mattina dopo. La vera punizione di Sisifo era che perfino dopo la morte dovette sobbarcarsi un lavoro normale).

(A. GOPNIK, Una casa a New York)

un libro che è come un brusio continuo, in sottofondo - lo vivi quasi con fastidio, una fatica, qualcosa di frustrante... ma dal quale ogni tanto (non aforismi, non la misura di brevi e perfetti luccichii) si innalzano arcate di conversazione vera, come virate improvvise di melodie bellissime che spezzano un non sempre sopportabile recitativo.
Come ad esempio questa.
Come molte altre.

dicembre 20, 2010


PUBBLICITÀ PROGRESSO

...sapete voi che dei tanti CRANI che qualcuno (non so, ve lo fate mai un esamino di coscienza? Berlusconi, Bondi, Cicchitto, Alfano, Gelmini, Brambilla, Gasparri, Schifani, Carfagna, Feltri, Castelli, Scajola, Mastella, Belpietro, Capezzone, Calderoli, Bonaiuti, Verdini, Zaia, LaRussa, Frattini, Bossi padre e figlio, Rotondi, Maroni, Prestigiacomo, Santanchè - tutta bella gente che è al governo, o comunque ha incarichi di responsabilità, o comunque ancora ha la facoltà di decidere su temi e questioni importanti & delicate. Fermatevi un attimo a riflettere, per cortesia: Vi fareste mai governare da uno qualunque di questi individui? Dareste mai a qualcuno dei sopraccitati un incarico di responsabilità? Deleghereste ai medesimi qualsivoglia cosa in nome e per conto vostro, o dell'interesse pubblico o del bene comune? Nella vita, le risposte a volte sono facili; più difficile è porsi le domande giuste!); sapete - dicevo - che di tutti questi qua, che qualcuno ha scelto, votato e (direttamente o indirettamente) messo su qualche importante poltrona, l'ultima costruttiva, istruttuiva, illuminante proposta di tal Gasparri Maurizio - ad oggi capogruppo dei senatori PdL (!) e già ministro delle telecomunicazioni, sottosegretario agli Interni, deputato AN, militante MSI, temp'addietro nel Fronte della Gioventù/Azione Giovani - è quella di carcerazione preventiva dei manifestanti, perché tra loro "si nascondono potenziali assassini e del resto si sa chi c'è dietro le violenze di Roma, qui ci vorrebbe un altro 7 aprile 1978" (era 1979 tra l'altro, ma perché pretendere da un tizio in gioventù soprannominato carrierino dei piccoli, e la cui espressione tra l'altro parla da sola)?
O che il ministro dell'interno Maroni parlava di estendere il DASPO previsto per gli ultras ai manifestanti di piazza?
(No, siccome funziona, sai...)
E tutto questo, in vista dell'approvazione al senato della riforma dell'Università - semplicemente, ultimo scellerato atto in ordine di tempo di un governo non-governo che si è autoproclamato del fare e che di tutto fa, ma non per chi dovrebbe, e chi non è d'accordo è un dissidente in malafede, al soldo dei comunisti.
Peraltro, già Ignazio LaRussa qualche giorno fa aveva più volte interrotto uno studente ad AnnoZero, ribadendo che per lui bastava così, per lui anche se non continuava era lo stesso, ed era una vergogna permettere simili comizi, eccetera eccetera.
E per tacer del Boss lui medesimo in persona, che degli studenti che contestano e in generale dei manifestanti - lungi dal condividere un apprezzabile adagio presidenziale che più o meno ammonisce sul fatto che "dai cortei dei giovani [venga] un significativo malessere, da non ignorare" - dice che farebbero meglio a corteggiar le ragazze e via così.

Liberali, pronti al confronto, seri, garantisti.
Tra le molte altre qualità di lor signori.
L'estremo che avanza, travestito da nuovo (nemmeno il vecchio: pure peggio!).
Ce li avete messi voi, che ci siete cascati. O - peggio - che avevate qualche interesse/naturale inclinazione a tutto questo.
Bravi.

(e non me ne frega un cazzo se con discorsi del genere uno può dare il suo modesto contributo a dividere ancor più il paese: lo sbarramento manicheo giusto/sbagliato, o con me/o contro di me, santi/dannati, l'hanno messo più o meno programmaticamente in piedi loro.
A me restate estranei quanto un gippone parcheggiato di traverso su un'aiuola.
Con voi niente a che fare. Mai).

dicembre 17, 2010


AMO ET ODIO

...ce l'avevano in tanti accanto al profilo, tempo fa, sui blog. Il popolo dei blogghettari, internauti, originaloni e quant'altro ama di queste cose settoriali e apodittiche al tempo stesso.
Indi per cui, essendo io uno dei summentovati, sol più stupido & frustrato, magari più patetico, chi sono per esimermi?


amo
Niente, son arido.

odio
(ma l'odio non sarebbe un sentimento totalizzante, qualcosa che ottunde et assorbe tutto il resto, impedendo di veder le cose quali in realtà sono? Se io dico odio questa cosa, in realtà non faccio altro che vedere questa cosa e nient'altro, facendoci confluire tutta la mia attenzione ed energia e di fatto compiendo un'azione esattamente contraria a quella che dovrebbe scaturire dal mio io nel momento in cui sto avendo davanti una cosa che spiace, nuoce o comunque dà noia: dandogli tutta l'attenzione che invece non dovrebbe meritare. Tutto giusto, ma è uguale, cazzo, quindi:)
odio
Odio quando sto parlando con - poniamo - x; sto dicendo: sai y? ha fatto questo, questo e quest'altro. Oppure: son stato lì, ho visto questo, questo e quest'altro. Arriva - poniamo - z. Non c'entra nulla con quello che viene detto, sente a malapena una parola, ma comincia insistentemente a intromettersi, perorarando: chi? cosa? chi è questo? che ha fatto? cos'è? come mai?
Solitamente a questa gente impazziscono orgasmicamente tutti i ricettori sensoriali quando captano le incaute parole: è morto. Salvatevi a quel punto dall'entrante e pernicioso flusso di domande, inserimenti molesti e via così.
Odio quando stiamo parlando - poniamo, ancora - io e x. X vede z, che conosce, proprio mentre stiamo dicendo qualcosa. X sgrana gli occhi e urla qualcosa tipo ooooooooo ciaooooooooo, e si corrono incontro e cominciano a ciaccolare, ridere, eccetera e tu resti lì, magari stavi pure dicendo qualcosa d'interessante. Z non se ne va e i due si estraniano in una posticcia conversazione che non c'entra nulla, piena di complicità spesso forzate o comunque fuori luogo. Solitamente z pare un buzzurro modaiolo arrogante plastione e festaiolo (idem al femminile).
Odio fare un lungo discorso a un qualsivoglia interlocutore, tipo anche davanti a me, poi quello mi guarda e fa: "eh?".
Odio quando corri e ti sembra d'averci qualcosa nella scarpa che ti male. Ti fermi sistemi la scarpa, fai due passi senza correre. Tutto ok. Riparti. La scarpa ovviamente ti rifà male. Ti fermi, la levi la scuoti, tiri il calzino, la rimetti, dici: aaah, ora sì. Riparti. La scarpa ti fa male esattamente come prima.
Odio quando - poniamo (ancora?) - x ti racconta i suoi mille aneddoti di vita, e a te non te ne frega un cazzo, o magari stai solo cercando di fare qualcos'altro, che ti sembra infinitamente più importante, utile e interessante. E poi, in definitiva, non te ne frega un cazzo di scipiti e triti aneddoti sconclusionati, che cominciano con ai tempi d'oro, ai miei tempi, quando ero a Cancun (potrebbe anche esser Peccioli, fa lo stesso), e via così.
Idem per quando - cioè, odio quando: - qualcuno sia x, y, z o macì o maciò, si lamenta. Oh, cazzo, come non sopporto le lamentele a vuoto, continue, lagnose, bubanti, compatìtemi, e io di qui e io di là, povero me povero me, povero me. Ecce homo, miserere, cazzi vari.
Odio quando ti tocca interessarti di cose di cui non ti interessa un cazzo, come ad esempio di un qualche articolo di cronaca locale su una retata o su una polemichetta di un piccolo comune per una viabilità o due strade scassate o una pista ciclabile. Sai che l'Iran c'ha l'atomica, o che Obama ha perso le mid-term, e devi anche far finta col tuo capo che t'interessi questa roba.
Odio una netta inflessione dialettale, qualunque essa sia. Per tacer del dialetto vero e proprio.
Odio quando - poniamo - x ti offre una cosa. Tu dici: no, grazie..., x te la offre di nuovo. Tu ancora: no, davvero, no. Ma che mi ci vuole, dice x, dai. No, no, non importa, no... Davvero? Sì, davvero (cazzo). E poi di solito x procede. E ti porta/offre/dà quella cosa.
Odio la neve, gesùssignore, quanto la odio, la neve.
Tutto sommato odio proprio un sacco di cose. Son veramente un essere spregevole, date anche le premesse.
Bah, mal per chi mi conosce, e vaffanculo.
OH, MA BUON NATALE, EH?
Già, ma quanto odio anche il Natale...

dicembre 14, 2010

UN PUNTO PIUTTOSTO BASSO

La vergogna del rendersi conto che il vecchio adagio sul peggio che mai ha fine è tragicamente vero è una vergogna di tipo diverso, con più rabbia, più frustrazione e - si può senz'altro immaginare - più godimento di chi, impunemente, alla faccia nostra, rubicondo e altezzoso, sta dall'altra parte.
Brucia tremendamente, e dà un senso d'impotenza quantomeno sconfortante: considerare che nani (quantomeno due), guitti di corte (parecchi), zoccole (idem), con tutti i loro raggiri e maneggi, i loro interessi in conflitto e le loro disonestà, le furbate le feste e le scandalose ricchezze (materiali, ma poco ci consola una presunta povertà d'animo); che gente tal questa, insomma, venga salvata principalmente da acquisti fatti nell'opposizione - l'opposizione, coloro i quali, come il loro appellativo certo suggerirà, avrebbero dovuto contrastare, arginare, ribattere un punto per ogni punto di un programma di governo che non è mai esistito, e si è fondato toto coelo sull'identificazione della cosa pubblica e del suo bene con l'interesse privato ed individualissimo di chi, di riffa o di raffa, è stato chiamato ad amministrarla o, per meglio dire, a metterci le mani sopra - tutto questo, insomma, è qualcosa che va al di là di ogni ben descrivibile stato d'animo, e dovrebbe appunto insegnarci una volta di più che al peggiore, variazione sul tema, la fine non è data, tanto più considerando la natura concreta - tra mutui, favori, eccetera - di simili acquisti, condotti in un modo smaccatamente rozzo e al limite (?) della corruzione.
È nemmeno la frutta: è l'ammazzacaffè!
È il re che potrebbe respingere i marcianti su Roma con un gesto della mano, e che invece va ad aprir loro le camere.
È il vecchio che permane, con i suoi sordidi agganci ed affarucci, però niente niente più meschino.
È la solita vecchia Italietta che si vorrebbe tanto vedere vestita di nuovo (semplicemente: più volgare e grossolana, in canotta Dolce&Gabbana, pareo Roberto Cavalli e occhiali scuri - veline drogate sullo sfondo e anziani satiri poltroniformi dediti al Viagra) ma che resta fondata sugli -ismi consueti: clientelismo, trasformismo, nepotismo. E su tutto, sua maestà il privilegio, per voialtri, classe eletta (da noi) e deputata (a cosa? A farvi belli & agiati a spese nostre?).
È - in definitiva - l'italia degli stessi costumi, che un tempo lontano aveva il volto di Agostino DePretis, e poi di mille e mille altri ancora, fino a Mastella e Capezzone - per dire, eh? - ed oggi  s'invera nelle facce (invero, da culo) di Maria Grazia Siliquini e Catia Polidori (ex FLI), Massimo Calearo (ex API), Bruno Cesario (ex PD), Domenico Scilipoti (ex IDV!). E poi ancora Giampiero Catone (ex FLI), Maurizio Grasssano (ex Liberaldemocratici), Antonio Razzi (ex IDV), l'ignavo Silvano Moffa (ex FLI, astenuto).
Brucia, sì. E brucia - infine - ancor di più perché è una bastonata sui denti, una tremenza mazzata a qualcosa che ha cominciato a muoversi, forse, chissà, magari, bisognerebbe (e una cosa così purtroppo non gli giova) non degenerasse - un po' di piazza vi ci vorrebbe proprio, cara casta d'inettitudine e inefficienze.

Dimettersi ora vorrebbe dire consegnare l'Italia in mano alle sinistre - e allora, cazzo di nano plastificato? Qual o dove è il problema? Quand'anche ci fosse qualcuno di sinistra, moderata estrema spuria mista alleata scesa a patti storica extra-parlamentare democratica marxista-leninista, farebbe peggio?
S'era mai visto qualcosa di simile?
E adesso - ma davvero nessuno ha detto niente, su questo? - richiudete un altro po' le camere, che avete lavorato pure abbastanza.
E poi tanto non c'era niente da fare, avete già fatto tutto, non vorrete mica limitarvi al già optimo break natalizio?
E poi, gli incontri istituzionali (vero, sindaco Renzi?) possono esser benissimo condotti nelle residenze private, no?, (e dopo, bunga-bunga per tutti, magari?). D'altra parte, se le escort si fan viaggiare sui voli di stato... la proprietà transitiva vorrà pure dir qualcosa, no?
Che Babbo Natale vi porti via e vi regali a qualcun altro, Cristiddio!
O vi uccida, faccia un po' lui. Ma via di qui, cazzo.

novembre 28, 2010

Le persone spesso non sono nient'altro che dei vuoti che attendono solo di essere riempiti: tu sei programmato per fare questa azione; tu quest'altra, tu quest'altra ancora.
Il vuoto dentro, una volta riempito, dà una sensazione di felicità o magari completezza, con qualche incrinatura in pochi ma costanti episodi: i primi tempi di un matrimonio o di un amore; la nascita di un figlio; una possibile crisi di qualche età in cui puoi renderti conto di esserti modellato tuo malgrado su questo riempimento, magari troppo, o troppo a lungo. Dei tre, il secondo è l'episodio che ha più alte probabilità di verificarsi. Troppo ovvi motivi; ma solitamente resta episodio - un po' più lungo, con qualche strascico, ma più che altro aumenta l'affanno del vivere, una certa rabbia, un po' di angoscia, che magari viene compensata trasferendo aspettative e desideri di realizzazioni, affermazioni e scalate che nemmeno sapevi di avere in chi ha ingenerato il processo. Il primo è nulla più che un idillio - bello, intenso, pulito, di pura felicità: come neve, copre del tutto il vuoto e quel che magari lo ha riempito; ma, come neve, fa anche presto a sciogliersi. Il terzo è l'episodio più complesso, perché riguarda proprio la persona, che si riscopre come tale: se ti affacci sull'orlo vedi quello che era il vuoto e ciò che esso contiene, e di per certo non ti piacerà. È un farsi una domanda su se stessi, sulla propria identità, un indagare su qualche cosa che spesso porta al niente o che comunque è veramente troppo difficile da chiarire. Si può anche andare in pezzi, andare in pezzi per davvero.
Bisognerebbe forse non farsi domande, marciando dritti verso il tritacarne che c'è alla fine, ogni tanto magari sostando nelle oasi che ci son date o che magari ci creiamo e che riempiamo con le nostre aspettative? È questa la felicità?
Siamo solo esseri desideranti, e il concetto di realizzazione è totalmente illusorio, niente più che una tensione, una meta - il nulla, in realtà, verso cui tendiamo inutilmente, restando dei vuoti che si illudono di desiderio e aspettativa - pura energia che ci danneggia, o c'è qualcosa di più?
Lo vedo dalla finestra della camera: oggi fuori piove, e il cielo è grigio. Molto grigio.

novembre 27, 2010


EPIFANIE (FORSE, QUASI)

Ti può capitare di essere a Bologna, e girare tra Torri Asinelli Nettuni e Berengar
î (tra l'altro, notevole la torre Azzoguidi, così detta probabilmente dal modo in cui si rivolgeva il capofamiglia al rampollo della stessa, commentanto la frequenza con cui a quest'ultimo alla guida d'una Mini o d'un Gippone, veniva ritirata la patente - alle volte, a sperdersi nei vicoli!) così, senza meta né scopo, da un portico all'altro, la gente che passa veloce e tutte le 'e' al contrario. Anche se magari ti maledici perché ti sei scordato la macchina fotografica in hotel e – ovviamente – è una giornata limpida e serena (il giorno dopo, pioverà, stanne pur certo), una di quelle giornate invernali in cui l'aria ricorda le mele croccanti e l'odor delle frugiate, per caso ti trovi a passare sotto un portico antico, il palazzo di Re Enzo, san Petronio in restauro, via Pescherie Vecchie e poi la via degli Orefici, e senza nemmeno renderti conto sei seduto a una botte, fuori, solo, in attesa di un tagliere misto salumi e formaggi con spruzzata d'aceto balsamico e un cestino di pane dalla strana consistenza nonché probabile presenza di ciccioli nell'impasto, e guardi le persone e tutti ti sembrano più belli, mentre un cameriere con la barba ti consiglia un calice di Montepiròlo rosso e ti dice son burbero e grezzo però son simpatico - in realtà nemmeno lo dice a te, ma a due ragazze sole sedute due botti più in là; ma fa niente, a te ha solo consigliato il vino e tanto ti basta, il simpatico lo faccia con loro, certo.
Per inciso, poco oltre c'è anche una fiera del cioccolato, e i banchi da cui sei passato per arrivar fin qui hanno levato al cielo un odore che non lasciava certo indifferenti, fra la frutta e gli utensili e altre notevoli sculture.
Ti può capitare allora di appoggiare i gomiti alla botte e affondar la faccia - il posto si chiama Tamburini, ed è una salumeria, gastronomia, enoteca, di tutto un po' - nel dorso delle mani, mentre il sole, per quanto può farlo, ti scalda: tu apprezzi e resti lì, e tra gli altri passa un ragazzo - un basco magari da donna sulla testa, un cappotto di maglia di lana molto probabilmente da donna infilato, un foulard quasi sicuramente da donna al collo, una borsa sicuramente da donna nella mano; parla al cellulare, quella voce un po' così; ti sembra anche abbia gli occhi sottolineati a matita: tu ti gratti la barba e sorridi, mentre arriva il tuo tagliere il tuo pane e il tuo calice e una donna petulante col marito e un cane nero e marrone – un cane di dubbio gusto anche nell'abbinamento dei colori, parrebbe, non fosse che a quanto ne sai i cani vedon tutto in bianco e nero e quindi cosa ne può sapere lui, dei colori – che si chiama Lapo si fanno spazio per arrivare alla botte dietro la tua e sedersi, la donna che comincia a armeggiare col fungo perché dice che ha freddo e se quello non parte lei s'alza e se ne va - il sole, quel sole, a lei non basta, povera donna. Lapo, per conto suo, s'è già posizionato sotto il tuo sgabello, e quando il fungo si accende ti senti anche il debole caldo sulla schiena, la donna che ti chiede cos'hai ordinato, tra il gentile e l'inquisitorio.
Rispondi, sorridi, guardi Lapo lì sotto, che molto probabilmente è un cocker o uno spaniel o quel che diavolo vuole, ma non abbaia né sbava e questo è quel che conta: ti senti avvolto in una specie di cristallo di felicità, come esser dentro una caramella ripiena. Condivideresti qualsiasi cosa, in quel momento, e ti dici che la vita non fa poi così schifo e ti senti così pieno di non so bene quale sensazione e gentilezza e felicità e disponibilità: è un'atmosfera magica e forse dipende tutto dal tempo, non ti saresti mai detto metereopatico e invece pensa un po' alle volte, la vita, ti vien da pensare, mentre affetti la finocchiona e la avvolgi alla forchetta toccandola appena nell'aceto balsamico e poi via di piacer del palato - bravo Lapo, stai lì, mentre io levo questo pecorino, magari la coppa o quello che è questa roba strana te la passo, se la padrona non se ne ha a male!
Se poi mentre torni, dopo aver preso l'autobus al volo, come per caso, senza nemmeno dover attendere un minuto, ti capita anche di leggere che in zona si dà inizio ad un corso per Tecnico Superiore della Logistica Integrata e delle Spedizioni, e che questo tizio è un tale che opera all'interno di imprese industriali e aziende di servizi, nell'ambito della pianificazione, della gestione e del controllo dei flussi fisici dei beni e delle relative informazioni a partire dalla fornitura iniziale fino alla distribuzione finale, e che – bontà sua - ha una visione sistemica del ciclo logistico ed è in grado di gestire relazioni con gli altri attori del canale, sia all'interno che all'esterno dell'azienda; beh, se c'è anche questo, allora ti dici proprio che è stata una gran bella giornata, cazzo, mentre la ragazza seduta sul seggiolino di fronte si chiede probabilmente se sei scemo, a ridacchiare in quel modo mentre leggi quella pubblicità messa sopra la sua testa.
Probabilmente lo sei, e hai perso su tutta la linea, da sempre; ma non è che conti poi granché, no, oggi proprio no; che ostenti pure, lei, il suo sguardo fra l'imbarazzato lo schifato e il fisso, davanti a sé, e che tu non sia né oggi né mai un Tecnico Superiore della Logistica Integrata e delle Spedizioni: arriva la tua fermata, scendi, continui a ridere; buon proseguimento.
E buona fortuna, a chiunque faccia quel
corso.

novembre 25, 2010


...solo due parole, per esprimer solidarietà a chi sta occupando pacificamente scuole, università, luoghi d'interesse, eccetera, eccetera: se alla fine questo governo personale condotto da un caudillo in plastica & crine cadrà, magari portandosi appresso tutte le sue troie i suoi tirapiedi e le sue nefandezze, sarà assai più merito vostro che non della parte produttiva e cosiddetta "grande" della popolazione italica, (e avrete certo notato che non ho menzionato classi politiche di sorta).
Per dire, no: alle volte, non son solo i soldi che muovon - non dirò le idee; quello mai, o quasi - le azioni.
E sugli effetti dell'utilizzo di un cervello, meglio se proprio, non starò a perorare ulteriormente.

E, infine, due ciaffate a Emilio Fede - sia pure brutto a dirsi - non ci dispiaccion nemmen tanto. Certo, se il buon Giuliani, lo stesso dell'amaro, omonimo, quello che un tempo il salvatore nano della patria bevve a nostra salvazione, gli avesse buttato due monete ("toh, pezzente, còmpratici la dignità!"), sarebbe stato men greve e più adeguato, penso. Ma sul momento... l'emozione, l'agitazione, la cosa all'improvviso - scusiamolo via; siam malvagi comunisti, in fondo!
E chissà che fine ha fatto, a tutt'oggi, il perfido attentatore di Belpietro.
Vittima anche lui del clima d'odio posto in essere così, tanto per fare - come tutti, peraltro, fino ai mistificatori di Ballarò e l'armeria dei gladiatori a Pompei, venuta giù perché l'odio fa umidità.

novembre 17, 2010

LE POLITE AVVENTURE LAVORATIVE DI TVBJNGXYA©

In principio c'è una macchina da caffè espresso, nera e cromata.
Il caffè che ne deriva è qualcosa di osceno: acidulo, aggressivo, forte. Non buono né per lo stomaco né per niente altro; ma crea un attimo di pausa, un'oasi, un'illusoria stasi, ed è per questo ben accetto e vieppiù richiesto.
Comunque sia, la macchina funziona a cialde. Sul davanti c'è un'apertura, con lo spazio circolare del filtro, su cui viene adagiata la cialda. Sotto il basamento (e scolatojo) del piedistallo su cui viene poggiato il bicchierino in plastica c'è un'apertura longitudinale, con un pomello che scorre in orizzontale, per azionare un meccanismo va a chiudere il filtro, chiudendolo e stringendolo sulla cialda inserita. L'acqua, scaldata da una resistenza, passa dal filtro e – divenuta la spiacevole bevanda scura di cui sopra – confluisce in un tubicino metallico che si conclude a cannella, sotto il quale viene messo il bicchierino, a raccogliere il risultato dell'operazione. Il tutto si aziona economicamente con un bottone.

La cialda, tonda, ha la polvere di caffè pressata e racchiusa in un involucro di carta velina, con una linguetta per poterla maneggiare ad agio. Tu scarti la cialda, la prendi per la linguetta, la inserisci nell'apertura e compi tutta la sequenza di azioni che ti portano alfin ad ottenere il pernicioso liquido nero con un po' di ambita (?) crema marron, racchiuso in un parimenti dannoso contenitore di plastica che come minimo rilascia chissà quali sostanze nocive.
A seguito di tutto ciò, e goduto del tempo in parentesi di una giornata solitamente molesta, sarebbe buona norma riaprire il filtro e togliere - prendendola per la linguetta - la cialda, la quale altrimenti potrebbe:
- restar pervicacemente saldata al filtro, che detto per inciso (com'è anche ovvio che sia), brucia;
- lacerarsi, rilasciando inopportuna ed abbondante dose di polvere di caffè umida per ogni dove.
Perché mai, dunque, ogni qualvolta che Tvbjngxya© si trova a – bontà sua – essere assente, o a non aver maneggiato la suddetta micidiale macchina si trova innanzi a una cialda secca, lasciata stretta nel filtro e con esso spesso tutt'una, e – beffa ancor più grossa – con la linguetta magicamente sul dietro del filtro, quindi del tutto irraggiungibile ed inutilizzabile?
Perché tale apparentemente inoppugnabile rigor logico non è sistematicamente fatto proprio né da MothorynoKïedithore© né da HangoshyaPhermanenthe©? Cosa le/li muove, in luogo d'esso? Cosa alberga nel di loro material grigio o presunto tale?
E perché cazzo Tvbjngxya© deve quindi ogni volta bruciarsi i DITINI® e invocare un notevole pantheon di santi e/o beati fra cui Sant'Onelio Pacilli, anni quarantatré barrato, benigno protettor dei tennici delle macchine da caffè e di chi lo invoca, e don Pulmino Moneglia, tutelare nume di chi nel culo se lo piglia?

novembre 14, 2010

Pratica sempre il disinteresse supremo. Niente è così importante:
non le tue arrabbiature,
non le tue relazioni sociali,
non il lavoro,
non il sesso,
non il cibo,
niente.
Non c'è niente di così importante.
Tutto può esser fatto passare, e niente ti resta
tranne te stesso.
Accetta sempre nella giusta misura,
senza che niente ti turbi troppo
o ti ecciti troppo.
Equilibrio:
altrimenti la linea con fulcro centrale che siamo,
penderà da una parte o dall'altra.
Distacco:
Prima accogli te stesso, cercati,  trovati,
scopriti;
poi cerca -
se senti che qualcosa ti manca, (ammesso
che qualcosa ti manchi) - un'altra parte, qualcosa
da dividere con.
Mai il contrario:
ci si scopre sempre da soli e, in fondo,
siamo sempre soli, siamo sempre uno.
Impara ad apprezzarlo.
Il segreto è avere ottime fondamente
quando soffia il vento del cambiamento,
and may you stay
forever young.

Disinteresse, distacco, equilibrio -
in una parola, leggerezza:
e anche condividere sarà possibile.
La strada per la semplicità è un lungo cammino.

Che nessuno,
io per primo,
sa compiere fino in fondo.

novembre 13, 2010

E GUERRA DI MOZIONI, RICOMINCERÀ (MA YATTAMAN CORSARO...)
ovvero
MA TIRATE FUORI UNA LEGGE, UN DECRETO, UN PROVVEDIMENTO, QUALCOSA PER IL PAESE, BUFFONI!

Il programma di Fazio e Saviano, Vieni via con me, invita Fini e Bersani in trasmissione. Levata di scudi dei vertici rai, col simpatico Masi in prima fila, perché la cosa andrebbe a violare, dando spazio solo ad una (una?) parte politica, quella che un tempo tutti indugiavano beati nel denominare par condicio (poi la moda è passata? Ora va tanto stalking, chissà se il prossimo autunno tornerà il rosa confetto e il pitonato).
Certo, vien da chiedersi se gli stessi avrebbero fatto altrettanto qualora Fazio e Saviano avessero invitato, chessò, Gasparri e Cicchitto, Calderoli e Bondi. Nel frattempo, però, crisi di governo all'orizzonte. Fini, dopo un decennio o due di amicizia e fedeltà quasi cieca, si accorge che Berlusconi fa schifo, e abbandona il carrozzone. Bravo Fini, nel paese dei ciechi il monocolo è re, si dovrebbe dire, mentre ci aggrappiamo a te e ai tuoi lindi e nuovi moralisimi, assai poco convinti che tu sia il salvatore della patria. Sfiducialo, che attendi ancora? Che denunci qualche altra tua magagna? A Casini gli c'era voluto meno: e che, sarai peggio di Casini? Chiudi la porta in faccia al piazzista e ai suoi tirapiedi, che hanno tra l'altro appena partorito una nuova brillante idea, presentando una mozione di fiducia in Senato. In pratica, danno fiducia a se stessi, una specie di training autogeno modello mantra manageriale d'alto rango - io sono un vincente, io sono un vincente, io sono un vincente. Il partito che è - fino a prova contraria - al governo; che ha la maggioranza, che detiene il potere legislativo, che dovrebbe quindi, in una parola, governare, redige un documento in cui dichiara di confermare ulteriormente la fiducia a... se stesso? Come siamo bravi, come siamo belli, vai capo siamo tutti con te. Un filino autoreferenziale?
Ha un senso che sia uno, una mozione di fiducia del PdL nei confronti del PdL?
Ma sarà che gli antiberlusconiani son tutti quanti accecati dall'odio, devoti fuori tempo al comunismo e alle sue degenerazioni e ai suoi giornali e ai suoi oscuri poteri asserviti, e ben fanno i Berlusconiani a notare come gli questi gettino subito la cosa sul personale. Da dove tanto odio? Perché lui vi sta così sul gozzo? Perché lo offendete in tutti i modi possibili?

Vedi, palle, a me di Berlusconi in quanto tale, il Berlusconi padre dei suoi figli e amico dei suoi amici, magari titolare dei suoi beni, del satiro che non accetta il decadimento fisico della vecchiaia e mente - per dirla con Luttazzi - anche nei capelli, non me ne frega proprio un cazzo, e non c'ho proprio nessun astio o invidia (neppure, per esser chiari, per la  sua sfrenata vita sessuale tenuta alla faccia nostra con
fîacce di plastica a mezzo di probabili pasticche e polverine magiche).
A me, a noi, interessa il fatto che questo tizio è un criminale, un affarista senza scrupoli che ha costruito un impero sul raggiro, sulla frode fiscale, su accordi con organizzazioni malavitose, sulla truffa e su inenarrabili illeciti. Nel momento in cui ha sentito un accenno di cappio stringersi intorno al collo suo e di chi a suo tempo lo proteggeva politicamente (Craxi, a cui oggi - caso strano - si vorrebbero tributare onori postumi), si è gettato a capofitto nell'unico buco ove avrebbe potuto trovar  sicuro riparo: la politica, fatta stavolta direttamente e ad esclusivo uso & consumo dei propri interessi, come se - non foste manipolati da una tecnica (sia detto a vostro scorno!) nemmeno poi tanto sottile, che in maniera alquanto grezza vi vuole indurre a credere che i suoi interessi immediati e concreti siano i vostri e i nostri, e chi dice il contrario è un nemico del popolo e un bieco invidioso - potreste notar certo da soli.
Sfortunatamente, è piuttosto difficile scindere l'individuo Berlusconi da tutti i suoi reati, ed i suoi beni (ed anche i suoi figli ed i suoi amici, se si pensa a Marina A.D. di Mondadori, Piersilvio idem per Mediaset, e poi Confalonieri,  Dell'Utri, Previti, il budello di so' madre vestita da Alemanno) dalle sue frodi, ma questo è nostro malgrado - e si può ben capire, penso - tutt'altro discorso.

novembre 10, 2010

...mi è veramente difficile capire cosa voglio.
Posto che voglia veramente qualcosa in positivo, senza pensare a cosa non voglio, che peraltro è molto facile da dire: non stare ulteriormente qui, chiuderla col buttarsi via per nulla, fare in modo che la vita non mi metta più a contatto con gente con cui non ho niente a che fare - difficile, comunque, considerando che non voglio aver a che fare con la maggior parte delle persone (homo homini lupus - ovviamente cotto, non crvdo)

Certo che, a guardarle, tante cose che devo fare son veramente stupide, eh?
Ma veramente tanto.
Come fanno gli altri a non sentirlo? O, per contro, a prendersi così sul serio?
E intanto fuori diluvia,
diluvia,
diluvia, che ci pare i tropici.

Vaffanculo.

(ecco: riuscirò mai a finire una frase senza dir
vaffanculo?)

novembre 08, 2010


In un tempo assai lontano, quando fui ingenuo bambino che s'aspettava chissà cosa dalla vita o forse nessun pensiero ne faceva (facendo peraltro benissimo), ebbi per le mani il rubik-snake, una specie di cubo di Rubik versione serpentone ma senza nessun rompicapo, che a niente serviva se non ad esser piegato nelle fogge più strane - due o tre combinazioni, non di più.
Ero al mare da qualche parte, due famiglie con bambini che dividevano la casa dei parenti di una delle due, non ricordo quale. A me e al mio corrispettivo - generalmente questo tipo di situazioni vedeo sempre famiglie-specchio, ad agire sul momentaneo palcoscenico della vita (garaglò) - deuteragonista (io o lui, insomma) che senza alcuna ombra di dubbio si sarà chiamato Maurilio, avevano comprato questo serpentone bianco e rosso, due confezioni che parevan due spazzolini da denti e questi due affari snodabili dentro.
Il suo (peccato - peccato un cazzo: m'è sempre stato sui coglioni, Maurilio) era difettoso: gli ultimi tre pezzi dello snodo non stavano su, erano lassi. Quindi si immagini l'acuto disagio quando, per le ardite figure geometriche che andavamo creando (quadrato inutile, cubo con un pezzetto in fuori, sega sbilenca, periscopio approssimativo, triangolo instabile), lui scopriva di trovarsi limitato nella creatività - dramma - e menomato quanto ai mezzi: tragoedia.
La morte nel cuore e il dolore sommo nonché inaccettabile di Maurilio eran tali che questi, al parossismo dello sdegno, giunse ad invocare l'intervento apotropaico della Madre, acciocché fossero rimesse le cose a posto e giungere ad un felice scioglimento della vicenda, trionfando sull'avverso fato e battendo l'iniquo destino che l'aveva reso - povero Maurilio! - ingiustamente possessore d'un oggetto non conforme alla descrizione ed alle aspettattive, fatto reso ancor più beffardo ed iniquo dalla coeva esistenza d'un identico oggetto che della sua perfezione faceva beato sfoggio.
L'invocata madre, aruspice per modo di dire nonché tizia eccessiva col rossetto fin sugli orecchi e gli occhi pesti di matita & mascara, si sedette di fronte a noi, in piedi innanzi lei per chieder (lui) giustizia e (io) semplicemente assistere a un cazzo qualunque che per una volta capitava a qualcun altro.
Ella ascoltò la triste sinossi che Maurilio espose in silenzio; poi ieraticamente ci ingiunse di dare a lei entrambi i serpentoni.
Di fronte a me che titubavo, intuendo un sin troppo facile scioglimento della vicenda (nel contempo avvertendo - magico presagio indotto da fervida immaginazione di bambino! - un lieve pizzicore all'altezza del stronzoliere), Maurilio, con un'enfasi che avrei più avanti senz'altro saputo classificare come melodrammatica o da fiction mediaset, si produceva in un insuperabile quanto serissimo crescendo:
"Dallo a mia madre, cane! Dallo a mia madre, maiale!"
Alla fine, consegnai anch'io lo scettro (aveva simil sembiante, sul momento).
La madre c'impose di chiuder gli occhi, tutti e due, mentre lei eseguiva - questo è quanto almeno penso io oggi, mentre vado riesumando nella mente la vicenda - qualche sortilegio sciamanico teso alla felice ricomposizione del tutto ed al ristabilimento dell'armonia delle sfere celesti, in un panteismo d'insieme che avrebbe fuor d'ogni dubbio cancellato ogni crepa, asciugato ogni male, azzerato ogni torto.
La catarsi terminò d'improvviso, dopo ch'ebbe vaticinato il certo quanto vicinissimo risanamento dell'accidente. Ci comandò quindi di riaprire gli occhi, e in mano ci ritrovammo ognuno un serpentone, bianco, rosso, snodabile; uno sagomato a forma di scettro - maestoso, un'ouverture potente, ipostasi di sicuro successo nella vita; l'altro a forma di scettro mencio, uno stelo di fiore che cominciava ad appassire malinconico, una gimnopedia triste, come minimo in qualche bemolle minore.
Bella magia, tegame.
Maurilio, col suo scettro dritto e turgido come un cazzo ritto, mi lanciò d'imperio una maledizione.
Io mi riparai come meglio potevo, ma la bacchetta bicolore proseguì a morirmi nella mano.
Oggi, Maurilio è dirigente d'azienda.
Chissà il budello di sua madre... sia ancor viva?

novembre 04, 2010


DOPO RUBY, ANCHE NADIA. "AVANTI UN'ALTRA". FEDE LENONE(1) E AL CONTEMPO DIRETTORE DI UN TG. BIZZARRO, EH?

Alzi la mano chi si ricorda, può riferire, sa enunciare, un solo provvedimento del governo Berlusconi che non sia

a) un decreto/legge/disposizione su misura e scala personale;
b) un provvedimento d'urgenza fatto per il tramite della protezione civile;
c) una pagliacciata, tipo una celebrazione, una festa di piazza, etc.

Per quel che riguarda quanto scritto al punto a, si tenga a mente che non possono in alcun misura esser considerate leggi o decreti o disposizioni utili alla repubblica o ai cittadini tutti quei provvedimenti ad personam spacciati come provvedimenti d'interesse collettivo (es. decreto contro le intercettazioni, lodo alfano già maccanico/schifani, lodo cirami, etc)

Alzi la mano chi conosce qualcuno che ha dato il suo voto a questo satiro senescente affetto da sultanismo e

a) ti illustra e sostiene chiaramente le sue motivazioni politiche del gesto;
b) non è una persona che considerate un povero imbecille per fondati (o non del tutto fondati) motivi.

Come per quanto soprascritto, si ponga mente al fatto che nel punto a non sono assolutamente ascrivibili come motivi politici la paura per l'avanzata (?) del comunismo; l'ammirazione/invidia per le prestazioni sessuali (peraltro indotte attraverso cocaina e viagra) dell'individuo; la speranza o aspettativa di avere qualche briciola della torta; l'aziendalismo più bieco; la gioia partecipe per la legalizzazione di aspetti quali evasione fiscale, lavoro nero, affari esteri, falso in bilancio, etc.

Mentre il Copasir (cccchiiiiiiiiiiiiiii???)(2) chiede un'audizione al medesimo - e magari il medesimo si presenterà con Apicella, per cantare una canzone (sempre audizione è) - e gente come Paolo Guzzanti(3) si reca nei talk show a raccontare pecorecci aneddoti sul premier, sottindendendo quanto lui ne sia schifato; mentre insomma tutto questo avviene, come sempre magari per passare una mano di volgarità e pettegolezzo di cui è più facile parlare per sviare ed ammansire (non so: i rifiuti di Napoli, la riforma della giustizia, l'impunità di una carica dello stato a caso, la disoccupazione, etc), vi sfido.


_____________
(1) ma sulla natura di questa particolare occupazione del direttore del TG4 cfr. Berlinguer ti voglio bene, film G. Bertolucci del 1979, in particolare il concetto di: "non potendo avello 'n culo, ci ragiona" (Bozzone e Amici, dal cavalcavia)
(2) il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica - sul serio, uno pensa che simili cose possano esistere solo nei sogni. Uno pensa a Kafka, a un film di Chaplin, e si sveglia fra l'angoscia e il senso di ridicolo. Poi scopri che il Copasir ha come presidente D'Alema, e allora speri di rimetterti a sognare.
(3) Guzzanti Paolo, giornalista già de L'Avanti, Repubblica e La Stampa, folgorato sulla via (pseudopolitica) di Damasco. Pare gli sia apparso l'attuale Presidente del Consiglio ancora coi suoi veri capelli, giusto per arruolarlo in Forza Italia, dargli la vicedirezione de Il Giornale e renderlo editorialista di Panorama. Poiché il potere dell'Unto (ancorché nano) è grande, il buon dott. Guzzanti è stato anche Senatore della Repubblica con Forza Italia dal 2002 al 2006 e Parlamentare del Popolo delle Liberta alla Camera dei deputati, fino al febbraio 2009.  Di cotal onusta carriera il vanto maggiore fu l'illuminata sua direzione della commissione Mitrokhin, che indagava su fatti (sicuramente) attualissimi e gravissimi per la vita della Repubblica, quali le maligne attività del KGB in Italia fino al 1984. (!) Attraverso l'attività di questa commissione (e grazie ad alcune intercettazioni telefoniche) si scoprì poi che cercava di screditare, in un modo o nell'altro, l'attuale candidato alla carica di Presidente del Consiglio Romano Prodi. E oggi questo tizio - pur uscito dal PDL nei primi mesi del 2009 - va a giro a dire quanto è cattivo Berlusconi, ed ammicca pure divertito sui comportamenti volgari di quest'ultimo, prendendo le distanze. L'autoassoluzione con annessi incensi è una virtù del tutto italiana, si pensi anche a Vittorio Sgarbi che per un periodo (casualmente, Berlusconi non governante) si è definito "da sempre, un uomo di sinistra".

novembre 02, 2010


"MEGLIO ESSERE APPASSIONATI DELLE BELLE RAGAZZE CHE GAY" - ovvero: a volte le cose sono proprio come sembrano

Lei aveva diciassette anni fino a ieri. Attegamata come lui gradisce, col nome d'arte (quale arte?) di Ruby Rubacuori-Ruby Rubabaci o quel che è. Viene arrestata per furto - qualche migliajo d'euro, alcuni capi d'abbigliamento griffati - e lui chiama la Questura, tirando in mezzo il nome di un Capo di Stato estero, di cui questa tizia sarebbe parente. Rilasciatela subito, mando qualcuno a prenderla. E manda la sua ex (ex? ora chi lo curerà?) igienista dentale (dentale?), che perché si vede era parecchio brava, ha candidato in Regione - Lombardia, of course! Il suo meraviglioso regno di Lombardia, col castello ad Arcore e i feudi d'intorno. E' stato avvisato che Ruby Rubacuori-Rubabaci era stata arrestata da una telefonata della escort brasiliana che vive/viveva con lei, o da lei stessa. Una di queste due persone, o entrambe, avevano il cellulare del Presidente del Consiglio.
L'igienista dentale fa il suo dovere e se la fa consegnare, salvo poi lasciarla a giro, senza darle ricovero, aiuto od altro - checcazzo, la nipote di Mubarack avrà pure diritto a un po' di libertà, no?
Il nome (quello vero, non quello di chissà qual arte) di Ruby era già venuto fuori nell'ambito di un'inchiesta sullo sfruttamento della prostituzione, a Milano.
Lei comincia a far dichiarazioni ai giornali, e racconta di aver partecipato a una festa in una delle magioni del premier, festa in cui avrebbe confessato a lui in persona di avere dei problemi anche economici, e lui, commosso, le ha prestato del denaro (e un'Audi R8?). In cambio non ha voluto nulla, ci mancherebbe altro. Nessuno si era mai comportato così con me, dice. Con lei, che aveva lasciato Letojanni in provincia di Messina tre anni fa, abbandonando gli studi senza dar più notizie di sé; che era stata rintracciata dalla polizia pochi mesi dopo e affidata ad una casa-famiglia a Messina; che era fuggita anche da lì, ritrovata l'anno dopo a Genova, affidata quindi ad un'altra comunità protetta dagli investigatori del posto; che ancora una volta era scomparsa, ritornando prima a casa e poi fuggendo definitivamente a Milano, nuova vita nuovo nome e qualche furto, a tirare avanti in qualche modo, un'immigrata minorenne senza studi alta bellissimo aspetto lvestiti attillati abbra procaci gambe lunghe seno ampio chi fa illazioni è soltanto un poveraccio, un lombrosiano fuori tempo massimo, un prevenuto, un razzista (?), chiaramente al soldo della sinistra e dei giornali deviati che voglion rovinarlo, inchiesta milanese a parte beninteso - e anche lì, se è inchiesta e non certezza un motivo ci sarà no? Vorrete poi che ricordi i trascorsi di certi magistrati?

Da allora, si dice più o meno di tutto: Berlusconi è stato avvisato da terzi e non da Ruby o dalla brasiliana sua amica; non ha chiamato direttamente la Questura; ha fatto chiamare l'ufficiale della scorta; non ha mai chiamato nessuno; non sapeva fosse minorenne; lo sapeva e quindi poi ha troncato tutti i rapporti con lei; ha solo compiuto per interposta persona un atto di carità verso una persona in difficoltà; questa persona sarebbe sicuramente finita in galera perché le comunità erano tutte piene; questa persona ha visto Berlusconi, sì, ma solo per pregare perché lei si era convertita al cattolicesimo da poco ed era in crisi perché il padre - musulmano - la picchiava, povera ragazza; Ruby è dell'entourage di Lele Mora, ed è scappata dalla Sicilia e vive a milano, dividendo casa con un'escort brasiliana; Berlusconi ama le donne e la vita, quindi se anche una volta ogni tanto dà qualche festa a casa sua non sarà poi chissà che dramma; i regali lui li fa perché è buono; è tutto un complotto delle sinistre.

Cavìllano ovviamente a suo favore Libero, il Giornale, La Santanché, Bonaiuti, Fede e via così: Fini sì, che ha fatto una carognata, con quella villa a Montecarlo; il resto son complotti e carognate, ben che vada deduzioni sbagliate e prevenute nei confronti di chi certo non lo merita.
Nel frattempo, con la maggiore età appena raggiunta (festa grande chissà dove, e complimenti!), si sciolgono i pixel sugli occhi e - per quel che conta - è possibile guardare da altra angolazione (?) la foto da coniglietta col vassoio di cd, quella da micina, quella da femme fatale in abito da sera, quella con tubino attillato durante scatenati balli in posti di un certo livello.

Certo, a volte il garantismo divien virtù per non vedenti, o mettiamola così...

ottobre 29, 2010

PAUSA CAFFÈ SCIUPATA (MA TANTO IL CAFFÈ FA SCHIFO GIÀ DI SUO)

Quella gente che adora urlare,
questionare,
litigare,
altercare.
Appassionata, generosa alla rovescia;
gente da pianerottolo,
focosamente inscindibile dalle liti,
senza morirebbe -
per sentirsi vivi:
emozioni forti.
Cioè:
non forti,
grosse.
(Grossolane, spesse,
ciucciute).
La loro espressione principale -
una sigaretta, le urla,
i sentimenti in piazza e le parole a raffica,
la faccia rossa, gesti in libera
aggressività d'assalto,
somma:
il lato generoso del popolino.
Quella gente che adora
urlare, questionare, litigare, altercare -
una bicicletta sul pianerottolo,
l'acqua
che
sgocciola
dal
terrazzo, un motivo
come un altro -
sarebbe
gente da cui rifuggire.
E invece la vita alle volte ti prende proprio
per il culo e - non solo! -
ti ci sbatte pure
la faccia contro

(sul culo,
dico).

ottobre 28, 2010

PENSIERINO (pensierino?) DELLA SERA (sera?)

Pensare che ieri qualcuno ha tirato un cartone a Capezzone poteva anche essere una scusa per farsi più dolce la giornata, indipendentemente dalla strumentalizzazione che di questa cosa verrà fatta dai corifei, dai tirapiedi e dai lacchè - colpa del clima d'odio delle sinistre. Colpa dei magistrati. Quella è la loro idea di Stato Democratico, altro che noi!
Chissenefrega: prendiamoci qualche cucchiaino di zucchero, ogni tanto, eccheccazzo, du' ciaffate anche a Gasparri per favore, grazie, un calcio in culo a Bonaiuti e un par di nocchini a Schifani, ma le pare, offro io, si figuri!

Però, con Kojève e Bergson e quel nulla che mi ricordo dal mio essere impiegato ormai da dieci anni più o meno ininterrotti, mi chiedevo ugualmente:
ma quanto cazzo dura questa settimana? E la prossima? C'è mai una fine, al tempo in controvglia che dovrebbe (ragionevolmente, comunque) scorrere?
Siamo una corda che si tende all'infinito, spandendo solo rabbia intorno a sé?
Vaffanculo a Capezzone, alla settimana, al mio lavoro e a chi lo fa con pernicioso zelo et inutile amore, al vostro, alla mia e vostra vita e alla gente tutta quanta.
Toh.

ottobre 25, 2010

AD ESEMPIO.
Ad esempio,
No?
Ad esempio
ho nostalgia
di quando facevo lo studente (dico
l'università, cazzo;
prima non è mai esistito).
Presto o tardi chiuderò questo blog
di
merda.

ottobre 23, 2010

Ok, facciamo un gioco.
Immaginate di avere una bacchetta magica. Potete cambiare tutto quello che volete.
La vostra vita, le cose intorno a voi, ciò che possedete o non possedete, quello che vi tocca da vicino. Tutto.

Nessuna limitazione, magari un consiglio: pensate per voi.
Prendetevi tutto il tempo che vi sembra vi ci possa volere.
Ecco.
A questo punto, via la bacchetta magica; non ce l'avete più e siete sempre i soliti stronzi.
Ripensate a quel che avete cambiato, al film che vi siete appena girato.
Adesso contate le volte che vi verrà da dire a voi stessi:
"Cazzo, per far questo non ho bisogno della bacchetta magica!".
O giù di lì.
A volte ci si definisce sognatori così, senza troppi validi motivi.

agosto 19, 2010

Stiamo andando verso quel cazzo di posto dove vendono mobili a prezzi inferiori rispetto alla concorrenza (o così dicono loro), e io guido per accompagnare 'sto tizio che veniva a scuola con me, e che ho riesumato controvoglia da una vecchia rubrica telefonica dietro la promessa di una percentuale su quel che comprerà basta che io lo convinca ad andare poi a tutto il resto ci pensano loro, fidati, è gente che sa proprio bene il suo mestiere, il resto lo fanno i prezzi e la qualità capiscimi bene, insomma, tu pensa a fare il tuo e trovarci gente poi si vede.
Il posto è in una qualche piana desolatamente industriale, brutta come solo questo tipo di posti riescono ad essere, e il tizio sarebbe anche andato da solo, com'è nella regola di solito ed era nei patti tra noi due; però si è fatto male ad andare in moto poco tempo prima, e ormai eravamo in ballo, quindi ho dovuto ballare. La vuoi la tua percentuale, o no?
Il fatto che si dovesse – a volte, ma solo a volte, la fortuna ti sorride! – sposare a breve, e che per questo avesse un po' di soldi, aveva senz'altro contribuito a farlo essere lì: il tizio sarebbe arrivato, avrebbe fatto acquisti, io mi sarei preso la mia merdosa commissione e tutti quanti gli ingranaggi della macchina avrebbero fatto il loro consueto giro e tutti quanti sarebbero stati felici e contenti, fino alla prossima volta.
Ricordavo che il tizio era un tipo a posto; se non fosse stato per la mia ritrosia a continuare a frequentar gente che in un modo o nell'altro qualcuno in un dato momento della vita ti ha imposto – possa esser stata la scuola, il lavoro, la chiesa, qualsiasi altro cazzo – avremmo magari anche potuto essere amici. Forse.
Comunque sia, una legge codificata da qualcuno che adesso non ricordo dice che due persone che non si vedono da tanto e che – anche per questo, forse – non molto hanno in comune, una volta che si trovano costrette ad intraprendere una conversazione continuata, finiranno inevitabilmente per cercare un territorio comune.
Ciò - certo - perché l'essere umano tende troppo spesso a disconoscere il valore del silenzio, ma questa è un'altra storia; nel caso in questione, si ponga solo mente a quel che poteva essere.
Ho sempre odiato gli aneddoti scolastici, quelle guasconerie con una finta complicità da giovani pirati, e pacche sulle spalle e ammiccamenti tra camerati quando si raccontano. Ma tant'è.
Ci sono cose che uno odia, no?
Ok, ammetto che io ne ho parecchie; però mi piaceva la storia dei polli nello Yorkshire settentrionale, quindi l'ho ascoltata di nuovo, zitto, e ridendo al momento giusto. A volte sono anche un essere sociale, coi tempi e i modi che tutti condividono.
Arriviamo in Inghilterra; alcuni di noi (me compreso) hanno partecipato al classico scambio con studenti stranieri: prima stai tu da un tizio che nemmeno conosci e di cui t'importa un cazzo e che magari finirai poi pure per odiare, dovendo scrivergli per forza, dopo, qualche letterina, e poi viene lui a casa tua. Solitamente, per alcuni ci scappa qualche storiella e una scopata (per me no, ti pareva?), il tutto parlando una lingua straniera, vuoi mettere.
All'aeroporto ci vengono a prendere i nostri ospiti, con le famiglie, e ci portano alle rispettivi abitazioni. Con gli altri ci rivedremo la mattina dopo, a scuola. Io, il tizio e un altro coglione ci ritroviamo sul furgone di una famiglia di origini gallesi, con due figli maschi decisamente brutti. e una casa presumibilmente grande. La famiglia ha un allevamento di polli, e ce ne parla mentre andiamo da loro.
“Che cazzo hanno detto?”, fa il Coglione, che come suggerisce il nome, una cima non doveva essere.
“Boh, mi pare che abbiano un allevamento di polli piuttosto grande. Settemila polli, mi pare abbia detto”, rispondo io, pensando sai il colesterolo di questa gente.
“Settemila? Io ho capito settantamila”, dice il tizio a cui adesso, con quindici anni di distanza, faccio da autista, “settantamila. Capite? Settantamila polli!”
“Cazzo! Settantamila!”, chiosa il Coglione a bocca aperta, pieno d'estasi.
“Settantamila polli?", dice il tizio, "vi rendete conto? settantamila polli è San Siro pieno di polli, cazzo!”
Io, per me, poi non li ho contati, né m'hanno mai svegliato: l'intero periodo l'ho passato ubriaco cercando di farmi la professoressa d'inglese che ci aveva accompagnato dall'Italia, quindi potevo sapere un cazzo della storia dei polli.
Però mi piace sempre risentirla.
Mi fa sentire uomo.
Io, settantamila polli e una professoressa d'inglese che non ci sta.
Pare un titolo d'un film, cazzo.


luglio 30, 2010

Mi separano due giorni alla partenza – uscirò una volta di più da questo paese, remotamente illudendomi in sogno di non rimetterci più piede – e me ne sto qui, mangiando un ghiacciolo comprato da' cinesi, di un colore a metà fra il verde, il giallo e lo sbiadito, con un gusto che è una sintesi del tutto malefica fra menta, limone, thè verde, plastica & acqua di risciacquatura dei piatti.
Apprendo quel che tutti sanno: il poliedrico presidente del consiglio ha cacciato Fini dal partito, pretendendo anche che si allontani dalla Presidenza della Camera (a che titolo, tra l'altro? Perché gli stai sui coglioni? Assumerà ad interim anche quella carica, poi? No, così, per sapere...).
Nel frattempo, adeguandomi al regno dell'apparenza e alla dittatura delle immagini, mi metto a scorrere (cliccando qui magari lo potete vedere anche voi) le foto dell'ultima festa che ha radunato cotanto consesso, da qualche parte dell'urbe, purché esclusiva: il compleanno di Rotondi, dico.
Ecco, pensavo: non riuscirei a provare tanto schifo, tanta ripugnanza, tanto indignazione se in simili foto vedessi esponenti dell'opposizione, con tutto quel che, pure, se ne potrà dire. L'inconcludenza dei Fassino, dei Bersani, dei Franceschini, etc; la litigiosità piccosa e fine a se stessa di molti degli esponenti cosiddetti “minori”; la ridicolezza e la piccineria dei loro orizzonti: tutto ciò può provocare rabbia, urtare e frustrare, far desiderare che sia diverso; ma... gesù cristo, questi! Questi mezzani panciuti, questi maneggioni dalle fattezze suine o genericamente bestiali; incravattati, abnormi, la camicia tirata sui loro peccati d'adipe esibiti; le sciacquette che li accompagnano o che fanno direttamente parte della cricca – tutti sorridenti, ammiccanti, felici, in posa.
Guardate Di Gregorio, così straordinariamente simile a un maiale: dareste a lui il mandato di amministrare il vostro stato, la cosa pubblica? Pensateci, affidereste i vostri soldi a questo tizio?
Guardate Giovanardi, la sua grassa opulenza enorme, l'espressione del suo sguardo: se – si potrebbe estendere questa considerazione a molti dei nostri “amministratori” – è vero (e lo è) che il corpo è intimamente legato alla mente, è il suo specchio e viceversa, cosa diavolo ve ne viene fuori? Fate da soli l'equazione.
Poi ancora, il sorriso servile di Minzolini, le pose della Gelmini, l'agghiacciante presenza abbronzata e grigiofluente di Verdini (e mancavano immagini di Schifani, Capezzone; qualche leghista, il Trota e la Carfagna e via così). Bonaiuti; lui e altre mille buzzoni, lì, vecchi come se non dovessero morire mai, ad esibire il loro potere e tutto quello che non fanno, mai: gente, provo decisamente schifo per tutti voi, abietti, corrotti, orrendi; voi, che avete elevato il raggiro a vostro beneficio la corruzione il favore personale e il vostro esclusivo tornaconto ad unica regola di vita, a metro per il quale può valer la pena muoversi (o far muover qualcun altro, in nome e per conto vostri, personalità importanti che nemmeno le mani, si sporcano); voi, gente così dappoco, ignorante, limitata, gretta, eppur così importante - si può deddurre - per la maggioranza degli italiani che vi ha votato (o avete imbrogliato anche lì?), mi fate semplicemente orrore. Vi auguro tutto il male possibile.
Andate a fare in culo, con tutto il cuore ve lo dico. Morite, tutti quanti siete, nel peggiore dei modi possibile e restate nel peggior inferno si possa concepire, per voi (magari soltanto un posto dove si lavori); nessuna pietà per gente come voi. Come voi e la vostra icona di cerone, capelli di plastica pelle finta. Lui e quell'altro idiota in camicia verde che non si capisce nemmeno che dice, il trombo non se l'è voluto nemmen lui.
Tutto questo per dire: spero che al mio ritorno il governo sia caduto, Berlusconi sia morto inculato dalla sua stessa erezione indotta e che sia stata instaurata una monarchia evolutiva ispirata direttamente dal Supremo (o su' cognato va bene uguale), con a capo Paperoga.

luglio 28, 2010

IO VOGLIO
Io voglio non dire più io vorrei, ma io voglio.
Questa, in soldoni, la conquista più grande che qualcuno più fare, il cuore di un esercizio su se stessi che tanto poco sembra e invece tanto significa.
Definire ciò che si vuole è passare oltre quel confine sottile ma solidissimo fra quell'indefinito personaggio con cui tendiamo nostro malgrado a farci vedere, vivendo la nostra vita attraverso ciò che gli altri si aspettano da noi, e il nostro cuore vero; è un rientrare nell'io, andare in stazione e vedere quali treni passano, sapendo che alla fine passerà quello giusto per te, e tu sarai lì. Nel frattempo aspetta. Hai pensato, sei stato bravo; adesso aspetta. Nel frattempo, magari, digiuna; ti faciliterà le cose.
Poi, una volta definito un obiettivo è tutto più facile:
“[...] se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una mèta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nulla nell'anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta.
Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compier opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare”
...be', non sto a citar la fonte, non credo serva.
Per quel che riguarda il personaggio che fa da schermo o protezione – più spesso (sempre) da prigione – all'io, al puro amore, al nostro nucleo, all'Es – chiamatelo un po' come vi pare – si ricordi sempre che è niente più che una maschera, ed è attraverso quella maschera che noi mostriamo all'esterno che riceviamo dagli altri: un po' per nostra natura e un po' per convenzione, siamo comunque costretti alla relazione, di qualsiasi tipo essa sia; quindi, sono per certo importanti anche i messaggi che questa maschera manda all'esterno. In base al tipo di messaggi lanciati (e si ricordi sempre che l'ottanta per cento dei messaggi che mandiamo sono messaggi non verbali), il mondo esterno si rapporterà a noi.
Questo significa imparare a interagire col proprio personaggio (o coi propri personaggi), e non lasciarsi da esso tiranneggiare, il proprio io rinchiuso in un muretto e quello che furoreggia, magari comandato dalla mano altrui. Sei tu, col tuo io, che stai dietro al personaggio e lo dirigi; è lui che è una marionetta. La mano lì dentro è quella del tuo cuore, non quella degli altri.
Tutto questo, sempre tuttavia ricordando che esistiamo per noi stessi, indipendentemente da qualcuno che ci dà attenzione o importanza; da qualcuno che ci riconosce (tra l'altro: per lo più riconoscono il personaggio; quindi riconoscono qualcosa che non esiste), da qualcuno che ti calunnia, da qualcuno che ti concede i suoi favori sessuali, da qualcuno che in qualche modo si rapporta a te.
Questo è il modo orizzontale - da pari a pari, dove il pari parte tua che si rapporta non importa sia il tuo io:  può anche essere un personaggio, ma un personaggio tuo - di porsi, laddove quello del personaggio comandato dall'esterno è verticale, dall'alto in basso: il bambino che guarda in su verso l'adulto e freme; qualcuno che vorrebbe qualcosa ma non osa; qualcuno che attende speranzoso (e di sicuro di lì a poco frustrato).
Vedendoti per te stesso, rientrando nel tuo cuore, nel puro amore di cui siamo fatti puoi facilmente capire cosa ti serve, cosa cerchi, cosa vuoi e cosa non vuoi (avviso: distruggere è sempre più agevole che costruire, quindi è normale che la seconda sia più facile).
Ciò, oltre a quell'espansione verso il ricongiugimento (yin e yang se dir si vuole, ma anche Platone non è così lontano), che è naturale aspirazione di ogni nucleo, di ogni io.
Diciamo che al di là dell'Eterno, il contingente sarebbe alla portata: la strada è tracciata e disvelata. Un passo è fatto, e ti basta camminare. Vuoi arrivare fin lì? Accomodati. Prenderti cosa ti spetta, se sai cos'è, è anche possibile.

luglio 26, 2010

LE VERSATILI AVVENTURE LAVORATIVE DI TVBJNGXYA©

Nel mezzo della quotidiana preparazione del proprio caffè, Tvbjngxya© nota la scatola che funge da contenitore delle buste di plastica con le dosi per la macchinetta. Sopra c'è scritto: 

"I PROFESSIONISTI DELLA CIALDA"
Tvbjngxya© ringrazia quindi il cielo o chi per lui d'essere rientrato qualche minuto prima in ufficio, mentre ride fino a farsi andar di traverso quel caffè che sa di plastica.
Ciò difatti per certo non sarebbe stato capito o recepito o compartecipato né da MotorinoChieditore©, né da Asphyxilja©, né da Thambürhlanobyøndo©, né da chiunque altro in zona.
Quello, come per dire che se il coordinatore di qualche cazzo di sezione del Partito-Unico-delle-Libertà-Uniche dichiara che contro di lui c'è una vera e propria tempesta mediatica, Tvbjngxya© volesse notare che più che una tempesta mediatica sarà al massimo una pioggerellina mediatica, visto che tutti i media tranne due massimo tre son loro.
Ecco, nemmen quello sarebbe compreso: durante l'attività lavorativa si produce, si ingenera profitto a beneficio altrui, si fa cose preordinate ad uno scopo che perlopiù ci è ignoto o del tutto indifferente, ma solo quello. Questo il motivo per cui Tvbjngxya
© si troverà bene sempre con una minoranza di persone, anche in una società più decente di questa, perché Tvbjngxya© crede nelle persone, però non crede nella maggioranza delle persone. Crede quindi che si troverà sempre a suo agio e d'accordo con una minoranza... e quindi... auguri, direbbe l'automobilista che Tvbjngxya© s'è trovato affiancato alla Vespa, non fosse che Tvbjngxya© non ha mai guidato nemmeno il sì (e non ha nemmeno la barba, giacché dicon che buca).

luglio 23, 2010

È notte più o meno fonda, e me ne sto sdraiato sul retro di una Spider Alfa Romeo (o è una giulietta? un duetto? Le macchine mi son sempre state sui coglioni), rossa, compresso fra i sedili davanti e l'assoluta mancanza di spazio che c'è dietro, mentre il guidatore scende rombando giù per stradine tortuose, un ciglio di bosco alla sinistra e una ripida vallata dall'altra. Incrociarsi con altre macchine è tragico; ficcato lì dietro, ringrazio il cielo che non vedo un beneamato cazzo. Il guidatore è Romano, proprietario dell'hotel dove lavoro, un tizio mediamente anziano, con la faccia da volpe e gli occhiali spessi un centimetro, la cocuzza ricoperta da una specie di capigliatura a pratino all'inglese in versione sale e pepe (più sale che pepe). Tutto sommato un taglio da duro, come da duro sono i modi con cui ci affronta, noi sottoposti lì all'hotel, un torcione sulla spalla e l'abbigliamento da cuoco esibito come un'uniforme da sergente. Un duro d'altri tempi, un nonno burbero che sacramenta se non lo stai a sentire, ma non morde né sa cosa sia l'altezzosità o la superbia - lavoro, lavoro, lavoro, ché la vita è dura e si soffre, porco mondo! Questo tizio in pratica passa trecentosessantacinque giorni l'anno nel suo hotel, schiavo del suo lavoro e del relativo accumular soldi che ciò comporta: forse è per sentirsi più vivo che s'è comprato la spider rossa e passa le ore libere a lucidarla, tirandola fuori in grandi occasioni come questa.
Accanto a lui siede Antonio, capo cameriere dell'albergo (capirai la bravura, i camerieri son due, massimo tre!), un tizio mezzo ritardato con una dentatura da cavallo con dei problemi e una pronuncia con la lisca che i clienti cercano più che possono di non ridergli in faccia.
A fine serata - a fine servizio, come dicon loro - il gran capoccia volpino viene da noi e ci fa: andiamo, vi porto da Attanasio, dieci minuti e si parte. Io son sempre qui che mi chiedo chi cazzo sia Attanasio e nel frattempo mi ritrovo già pressato come una cazzo di sardina nella macchina sportiva del grande capo, che per l'occasione s'è calzato sulla testa una coppola da guidatore di ferrarini d'antan e infilato alla bell'e meglio un paio di pantaloni non a quadretti bianchi e grigi, con sopra una maglioncino di cui non ho ben afferrato il colore.
Sento arrivare una macchina, sempre più vicina, e le ruote del lato destro della nostra spider grattare il cordolo sul ciglio, e mi metto a pensare cazzo non son nemmeno maggiorenne, che cazzo me ne potrà fregare a me di conoscere uno che si chiama Attanasio se poi nemmeno ci si arriva e ci si sfracella giù per un burrone, ma di lì a poco la strada di campagna è finita, e su strade più larghe, Romano può dar sfogo alla sua voglia di vita da signore.
Antonio, accanto a lui, apprezza l'aria ed il pericolo. Che accidenti vuoi che ne possa sapere, quello lì, che questiona sulle mance e frulla come un passero impazzito dietro ai desideri del clienti, rendendosi la maggior parte delle volte ridicolo nella sua somma aspirazione di compiacerli. C'è solo quello, e quello è il massimo. Cazzo ne sa, lui?
Io mi limito a pensare, meno male che davanti non c'è Jane, che sarebbe la nostra cuoca inglese, cioè, centoquattro chili di cuoca inglese, però molto simpatica, e che a me mi dice sempre che sono intelligente ("you're very clever!") perché so come si dice fisarmonica in inglese e ogni tanto si prova a parlare in quella lingua.
Oh, mica per lei, eh; saremmo stati anche meglio, come compagnia, che non averci quello stronzo pulcioso lì sul sedile del passeggero che comunque a propria volta è meglio assai dell'Oriana, la cameriera in seconda, acida ed irosa come non so nemmeno cosa, sempre pronta ad altercare, aver sempre ragione e rompere in genere i coglioni. Se dio vuole era già a letto, quando il capoccia ha avuto l'illuminazione. Ed a sua volta lui a letto ha messo la sua, di moglie, e poi via a viver da signore, coi suoi camerieri.
Io però sono il barista, senz'altro una figura di incompreso fiorellino senza pari che spicca in quel letamajo d'insieme che è l'hotel Imposto, 3*** e ci stai largo nel paese di San Renitente Alla Leva, su péi monti e pélle valli.
Servo caffè e amari di origine plebea ai vecchini del paese, un baby doppio agli operai in riposo, un bicchierino di Kambusa, una cedrata e via così. Mi sogno le lattine di birra che mi aggrediscono, e ho il pollice sgallato per aver aperto troppe bottiglie d'acqua con quei cazzo di cavatappi. I vecchini comunque giocano a carte, e io mi sorbisco le tirate del chiacchierone del posto, che gira col bastone e occhiali neri (io mi chiedo sempre: sarà cieco?) e racconta i soliti due o tre aneddoti da almeno tre generazioni, e di quando in quando (sempre) provo a fare il ganzo con qualche ospite-ragazza, con un successo per lo più di bassa tacca (ma sicuramente è colpa loro, o del posto a me tetragono): una volta ho pure suonato il piano per due o tre tenniste di roma, che eran lì per un torneo del cazzo di non so cosa. Esito: nessuno, ma m'hanno detto bravo. Son soddisfazioni.
Mi chiedo come son finito lì, un po' come nella vita si fa tutti, prima o poi.
Alla fine però arriviamo da Attanasio, che nient'altro era che un ristorantino di medio lusso per gente che s'illude che l'esser signori sia qualcosa che si compra.
Come mai non c'ho pensato da me? Questa gente tutta si trova, tutta s'accorpa, nel lavoro. E fanno lega, società, sindacato, amicizia.
Antonio capo-cameriere scodinzola, gongola, è felice: questa è la vita, per lui, questo il suo massimo - per stasera è nel mondo dei grandi; si è seduto pure accanto al suo modello, un po' com'è un padre per un bimbo.
Che cazzo ne sa, lui?