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febbraio 23, 2006

Sguardo fiero ma gentile d’un Maître d’Hôtel di altri tempi, Leopoldo Bryzzi ha la nobile severità di chi ha diretto le Salles à Manger dei più grandi e prestigiosi alberghi del mondo, e la raffinatezza e l’eleganza di chi questo lavoro, a contatto con persone d’alto, altissimo rango, lo aveva scritto nel destino. Ci riceve nella sua casa, una sobria e lussuosa villa di campagna, ormai tranquillo ritiro per la sua veneranda età, e ci accoglie stappando una pregiata bottiglia di Barbaresco Gaja Riserva Speciale Marchese Villadoria. Anno 1969.

Mister Brizzi, qual è a tutt’oggi il cliente di cui ha il ricordo più nitido?
Anzitutto, “veneranda età” lo può dire anche a su’ madre, quel tegame di steccoli. Io c’ho ancora una fava così [mima il gesto, arrivando al gomito N.d.R.], e proprio prima che arrivasse Lei a scassare il cazzo ero di là che schiavardavo la domestica. Comunque, per tornare alla sua gentile domanda, si può parlare senza dubbio del principe Aramèngo II di Batràcia, che soggiornò al Grand Hotel “Ciùo di Piombo” di Castrone, nel 1971. Sa, a quei tempi circolavano molte battute maligne sul suo conto, e lui era un po’ incattivito. La rima con cui i detrattori solevano accoglierlo era “ARAMENGOOOOO... NEL CULO TE LO TENGOOOOO”, che tra l’altro gettava ombra anche sulla sua virilità. Ma anche in quei casi, il Principe non perdeva la sua austera nobiltà, limitandosi a passarsi due dita sui baffetti, tutt’al più assumendo un’espressione accigliata. Con me parlava francese, solo che io non lo sapevo e lui non se n’era accorto, quindi ogni giorno era la stessa storia: poteva ordinare Ratatouille, Chateaubriand en cruste avec Petit pois, Bouillabasse, Lapin à la presse che io gli portavo sempre un piatto di zucchine lesse e due fettine di rognone della sera prima. Gli andava sempre bene, perché era cieco come un vicolo, e fin da piccolo aveva subito un delicato intervento chirurgico per farsi annullare l’attività delle papille gustative, perché qualcuno gli aveva detto che era chic. Quindi, con rispetto parlando, sentiva una ricca sega, lui, dei sapori.
Spesso per i personaggi dal Sangue Blu, a quei tempi, gli individui come lei diventavano una sorta di confidenti fidati e nobili. È successo anche a lei?
Certo che sì, idïota, le pare che sia più stronzo di altri? Ci fu, mi ricordo ancora, il regista Pipy Fruccica che entrò in confidenza con me riguardo alle sue preferenze sessuali. Ricordo che era una persona molto discreta e sensibile, e quando gioiosamente urlai – la sala era piena – che la sera prima l’aveva acciuffato ripetutamente nel Sacro Tobòga dall’aiuto macchinista (del resto me l’aveva appena confidato lui, sfido chiunque a darmi del bugiardo…), sbiancò. Stranamente non riprese colore nemmeno dopo che gli gridai giovialmente “VECCHIA BAGASCIA MARCIA!”, accompagnando il tutto da una virile e sonora manata sulla schiena. Ah, la nostalgia!
E le celebrità? Ha avuto modo di conoscere da vicino qualche personaggio da rotocalco, immagino. Si ricorda qualcuna fra quelle loro bizzarre abitudini per cui andavano tanto famosi?
Guardi, la più bizzarra di cui ho rimembranza è certo quella di Fornaciaro K. Panati, il famosissimo cantante. Questo bel tipo insisteva a non voler bere assolutamente nessun tipo di alcolici. Io la presi come un fatto personale, e gli portai un bel bicchierone di grappa, spacciandogliela per acqua. Lui bevve e diventò tutto rosso. Poi si accasciò lì, e si dovette chiamare un’ambulanza perché non accennava a muoversi. Penso sia morto in ospedale, o magari anche sul colpo, d’altra parte non è che mi possa ricordare tutto. Certo che quella gente è ben strana…
Ci racconti qualche aneddoto gustoso di quei tempi…
Beh, mi ricordo di quando capitava che qualche Capitano d’Industria, o qualche Politico importante portava qualche phya [e dice proprio così: phya – ah, la grazia di questo personaggio! N.d.R.] di nascosto in qualche suite. Sa, per trombarla o incularla, o che so io. Dopo poco che era salito, io lo chiamavo in camera e allarmato gli dicevo: “Attenzione, sta arrivando sua moglie!” Il tipo si agitava parecchio, si nascondeva, magari mandava via la tro… la signorina, e poi io lo richiamavo per dirgli che era tutto a posto, e che la moglie l’avevo intercettata e rimandata a casa, dicendole che lì suo marito non si era assolutamente visto. La cosa bella era che nessuna moglie è mai venuta a chiedere di nessuno, lì. E dopo, il Cliente, che pensava gli avessi salvato il culo (con rispetto parlando) era generosissimo con le mance. Con questo sistema mi sono costruito la villa che vede, non so se capisce, caro il mio merdone.
Oppure mi ricordo di quando al povero Rigilli, commis appena arrivato, proveniente da una famiglia di poveri ciabattini scionchi e sfortunati, dicevamo per scherzo che – ce lo avevano appena comunicato dalla segreteria – sua madre era appena morta di vajolo, solo che lui non poteva assolutamente assentarsi dal lavoro perché di lì a poco sarebbe arrivato l’ambasciatore di Samotracia per il pranzo di Gala in onore di Cane Pìpolo III, erede al trono di Mèrdia. Penso che per questi scherzi abbia perso svariati anni di vita, e forse è per questo che è schiantato in capo a due anni, dallo stress. Tanto, avrebbe sempre condotto una vita del cazzo, che ci vuol fare. In un certo senso gli abbiamo anche fatto un favore. Ma aneddoti del genere ce ne sarebbero a milioni (il regime di terrore imposto ai miei sottoposti per le mance, lo sgambetto alla vedova Nephey, la prova della bottiglia in culo ai nuovi assunti, ecc.). Dico solo questi perché la sua debole mente certo non reggerebbe ulteriormente lo sforzo...
 
Prima parlava delle lingue straniere. Ci dica: quanto è importante, in ambienti come quelli, essere poliglotti?
Beh, è senz’altro fondamentale. Io, comunque, me ne sono sempre sbattuto i coglioni, anche perché si figuri un po’ lei se dovevo anche mettermi a studiare qualche insulso e inferiore linguaggio da barbari (quando non da baluba: pensi un po’ agli idiomi parlati in négria – io rabbrividisco al solo pensarci). Dopo tutto erano loro che venivano in Italia; io per me restavo a casa mia, vuole mettere? S’avevano a arrangiare. Ma, più ancora che le lingue, o la cultura, o qualche altro inutile & tedioso cazzo, è una questione di signorilità: e lei, caro Palle ce n'ha? No direi... ma via, non mi faccia parlare, sennò divento troppo amaro. E poi, qui mi si decanta troppo il vino, mi si sciupa. Ah, gliel'ho detto che l'ho rubato a un Conte, come del resto tutta la sua adorata Cantina, quando soggiornò - era il 1975 - al Grand Hotel "Stambecco di Sterco" di Ambèriarotta? A lui dissi che un terremoto aveva distrutto tutta la sua riserva. Invece ero io, che facevo i rutti in un megafono e gli rompevo i vasi Ming, così per spregio e per rendere più credibile l'insieme. Pensi un po' lei...


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