Visite

giugno 30, 2009

OGGI È FORTE, IL SOTTO ROSPO 

E poi accade questo, anche:
un qualunque venerdì, verso le diciannove. Perché io esco alle diciannove, si pensi.
Faccio il conto alla rovescia per archiviare anche questa settimana, passata come le altre una dopo l'altra, come passerebbe un lungo viaggio in macchina su una strada dritta, un viaggio molto probabilmente senza fine. Piuttosto male, quindi.
E poi, mentre sei lì che brami l'uscita (e magari la sogni senza ritorno), e in mano ti scoppia la bega delle diciotto e cinquanta, puoi solo stare a sentire quel che succede, ripetendoti come un mantra evviva la vita evviva la vita evviva la vita, mentre qualcuno al telefono ti parla.
“Sono l'accompagnatrice del gruppo di austriaci sistemato all'hotel Eriberto. Siamo appena arrivati. Quest'albergo è indecente!”
Puoi solo balbettare qualcosa, di rimando. Ma... che succede... come mai... non so che... ci lavoriamo tanto e non è mai capitato nulla... cosa hanno detto, lì... è strano però... mi dispiace... ok, vengo a vedere di persona.
La bega delle 18.50, venerdì.
Come al solito, le camere sono sporche, i clienti si stanno lamentando e lasceranno sicuramente (orrore!) un feedback negativo alla loro agenzia, dalla quale quindi non avremo (noi chi?) più un cliente, e il personale è stato molto sgarbato e ci ha letteralmente tirato le chiavi delle stanze sul bancone, come se fossimo bestie, senza nemmeno farci un sorriso.
Non avendo mai tirato una chiave di una stanza a una bestia che si affaccia grufolando sul bancone, fatico a comprendere il dramma nella sua essenza; però vedrai è una sensazione umiliante, per la bestia. Gli animali son sempre migliori di noi, sapevo.
Mentre guido penso: che gli dico, a questi? Il fatto che ci sia un'accompagnatrice che parla italiano è già un dettaglio favorevole, visto che nessuno lì, sicuramente saprà una parola di tedesco. Io per primo, eh? Poi passo a considerare quale altro hotel c'è nei dintorni, casomai quegli allegroni venuti da oltralpe non vogliano intender ragione. Buio completo. Ancora non so un cazzo di questa cittadina piena d'alberghi, i cui abitanti hanno come tratto distintivo l'avere o il non avere ancora aperto (e chiuso) un bar o preso in gestione (e lasciato) un hotel. Cazzo, son veramente il ritratto della professionalità.
Parcheggio e scendo. Mi accoglie sulla porta il direttore dell'hotel Eriberto, un perticone omosessuale di due metri di secchezza, che mi guida per ogni scala, ogni angolo comune, ogni camera, bussando alle porte ed entrando quando non sente nessuno dire ja? da dietro. 

Vedi? Non sono sporche. Ti pare che siano sporche? Son un bel po' di metri quadri, lei dice che ho detto di pulirle dopo che sono arrivati, ma come facevo? Guarda, guarda... le vediamo tutte, tanto. Io come standard do un servizio da una cifra sicuramente superiore a quanto pagano loro. Guarda, guarda qui, entra... 

a seguire vengo introdotto innanzi alla capogruppo, una donnetta alta il giusto e piena di nei, acida e nera corvina come il peccato di cattiveria (il famoso peccato di cattiveria, sì). Si muove a scatti e si lamenta di un po' tutto il creato, e soprattutto del fatto che non è stato corretto aver visto prima il direttore e soltanto in seguito lei. Son problemi veri, questi, che vi credete. Il mio amico perticone mi fa capire che stamani, per esser qui adesso, tutti quanti si sono alzati alle quattro e hanno fatto tutta una tirata da Mengazzone sul Nerchio o dove cazzo erano, e quindi adesso saranno stanchi & nervosi. Più che altro lei, magari, visto che il resto dei placidi zii-itle improsciuttiti e informi, con piccole vene rossastre sulle guance, pascola lietamente nell'arrabattato giardino un po’ demodé dell’hotel, il quale gabella per centro benessere uno ex-sgabuzzino in lamiera ondulato o poco più. Ma insomma, siamo a Famaglione, alle pendici del monte Pigia, mica New York, e tutto il resto vien da sé.
Il mostriciattolo attacca subito, e un cliente così non lo ritrovate, e che vi pare un hotel che si può dare a degli adulti, (nell’interessante mondo del turismo vige la dicotomia adulti/studenti, coi secondi da mettere al macero e pigiare alla cinese, a fronte d’un rifarsi una verginità da oste squisito e convivialone coi primi), e che sarà possibile che alla reception non ci sia neanche un italiano, e io faccio da venticinque anni questo lavoro (brava! Io avevo già le crisi mistiche dopo nemmeno due mesi, e andavo vedendo Padre Pio che fumava al mentolo nella mia macchina, la sera) e a me non mi fregate; il tutto con noi due a mettere in piedi un siparietto posticcio di cui niente m’interessa e in cui purtuttavia devo prodigarmi: solitamente, la finalità per coloro i quali esibiscon come un vanto l'appartenenza a questo mondo è la mancia, pseudo-dorato sovrappiù d'accatto felicemente sbandierato, a consolazione della propria malcelata subalternità. Io, che preferirei forse perdere un coglione piuttosto che avere un qualche scamiciato gamellone in visita che m’allunga un diecino perché gli ho servito bene l’insalata, continuo a non voler entrar nel meccanismo.
In ogni caso, le provo e le riprovo, di buona lena: offriamo al donnino  iperteso un bell’aperitivino; il direttore giura che a cena servirà un buffet d’antipasti e promette cicchetti allo scostante portiere magiaro (magari era laureato in storia sua locale, ed odia gli austriaci, si sa un cazzo, alle volte); io uso tutte le doti di facondia e tatto che m’hanno insegnato nel corso degli anni. Nessuno me le ha insegnate, e di mio non le possiedo: ragion per cui sarò scusabile se dico di non aver risolto un cazzo.
Difatti tutto questo non serve a nulla, come da programma: il tapirotto con la rabbia resta pervicace nella sua idea inacidita, mentre si siede sola in un tavolino discosto dalla piscina, fuori, col suo aperitivo ormai tiepido. Ma il gruppo di zii-itle resta lì, e dormirà (già: l’ho detto che dovevano solo cenare, dormire e poi il giorno dopo ripartire?) felice (o meno) nei propri lettini. Magari (magari no) dopo arriveranno feedback negativi, e credo che dovrò vedermela – fornendo spiegazioni parimenti vane e inascoltate, oltreché del tutto inutili – del tutto col titolare. Ma in ogni caso me la sarei dovuta veder comunque, e poiché parlar con lui/lei o con un cardo mariano è uguale, fa poca differenza.
Io rimonto in macchina, chiedendomi cosa ho fatto negli ultimi quarantacinque minuti, oltre tutto fuori orario. Chiacchiere a vuoto, tanto per riempire, senza crederci nemmeno un po'. Cosa ha risolto, o modificato; a cosa cazzo è servito.
La risposta è: a un cazzo.

Sì, amo proprio il mio lavoro.

Nessun commento: