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maggio 26, 2009

DETTATO SENZA RILEGGERE, CON POCHI MINUTI A DISPOSIZIONE, PRIMA CHE IL CAMPANILE BATTA L'ORA CHE CONTA. LA SOLA, IN UN GIORNO FERIALE.

Ci sono libri che uno dovrebbe rileggere. Né più, né meno. Dovrei provare a ricominciare dall'inizio, penso, e vedere se tutto accadeva perché era una scoperta e una novità, o proprio perché avevo avuto il culo strano e tremendo di beccare tutti gli assi alle prime mani. Come sempre accade, sarà sicuramente una via di mezzo tra le molte ipotesi; ma, nel dubbio, ricominciare a leggere John Fante, Kafka, Vonnegut, Céline, Fitzgerald, Bukowski, Flaiano, i racconti di Maupassant, Carver, Roth e via discorrendo sarà decisamente piacevole. Ho qualche ricordo sempre più a brandelli (non che i ricordi si perdano del tutto, credo... semplicemente, restano via via sommersi sotto mille altre cose, a strati, come diverse ere geologiche, ogni tanto affiorando se qualche volenteroso magari si mette all'opera) di me che alzo la testa da Viaggio al Termine della notte letto sull'autobus avendo difficoltà a capire dove sono (in Africa delirante, a schiacciare insetti enormi? In Place de Clichy? Al Fronte nel '15-'18?); di me sul treno con accanto un tizio con cui condividevo un corso di Letteratura Italiana del Rinascimento che mi chiede chi è l'assassino? mentre sto leggendo Il rosso e il nero; di me che in una casa completamente vuota leggo l'Eneide sul terrazzo, di notte; di me che rido come uno scemo con la gente che mi guarda leggendo di Barney Panofsky o di Alex Portnoy. O quando, sempre con Céline (Morte a credito, stavolta) mi guardavo intorno dopo aver alzato gli occhi e mi pareva di essere in un mondo allucinato di pezzenti e straccioni (io per primo) da cui guardarsi. O ancora, di me che sottolineavo via via le frasi, riportando a penna (orrore! A penna! Non ho mai capito chi rompeva tanto i coglioni perché a penna non ci si scrive sui libri...) le note di Vittore Branca da un'edizione extra lusso del Decameron sulla mia; augurandomi di diventare un barbone mentre leggevo del vecchio Buk; bruciando per profonda empatia mentre ammiravo quel che scriveva John Fante. Ho solo ricordi di me, mi par di capire. Di me che leggo. Questo per notare che come al solito non faccio altro che guardarmi la pancia e autocommiserarmi, ripetendo senza sosta che tutto ciò che ho intrapreso l'ho portato a svuotarsi ed afflosciarsi dall'interno, necessariamente fallendo il colpo. Poi, nella lettura – come in tutte le altre cose, per la verità – conta più che altro lo stato d'animo che uno ci mette. Sei ben disposto? Andrà tutto bene. Forse se leggessi queste cose oggi, sarei comunque nello stato in cui sono, a metà fra l'immedesimarsi giusto una pagina sì e trenta no, e il non capirci un cazzo, del tutto.
Non lo so. Certo è che c'era una specie di grande magia la quale, come mille altre cose, si è perduta. Si è perduta così bene che non mi sembra nemmeno ci sia mai stata, forse. E forse non c'è mai stata davvero.
Per il resto, penso di aver avuto... bah, chissà quanti anni: mi ricordo che prendevo i libri dalla Biblioteca dei Ragazzi – un enorme raccolta di fumetti di Mafalda, volumi sui dinosauri, i libri di Giulio Verne. Ecco, lo chiamavano proprio così: Giulio Verne, tradotto che nemmeno si fosse ancora sotto Chiorbone (certo, a ben vedere... oggi Chiorbone si farebbe un trapianto di capelli e poi giù di sughero e cerone, a far volume), e quelli erano libroni cartonati e belli grossi, con disegni sulla copertina. Non ricordo molto, perché alla fine il tempo passa e la vita ti porta in altre direzioni; ma di sicuro era prima di quello che ricordo distintamente essere il mio primo libro, Il vecchio e il mare, impostomi da quell'acidissima bagascia della professoressa di italiano delle medie. Ricordo che mi parve fantastico, e che mi dissi: che cazzo c'entra lei, con questo libro? Lei che era una vera merda, che ci faceva domande tipo: qual è la funzione dei vescovi? Troia stupida e pazza. Ero offeso di aver trovato qualcosa di simile tramite lei. E non dico nemmeno  poi avrei capito, che lei era così perché doveva esserlo, che noi non potevamo capire, era colpa mia, eccetera eccetera. Lei era una troia stupida e pazza, una persona di merda. E con un'alitosi tremenda.
Però, dicevo. Dicevo che prima di questo ci furono alcuni romanzi di Jules Verne, primo fra tutti il Viaggio al centro della terra, in cui c'erano i mostri. I mostri. Potevo desiderare di meglio?
Insomma, facciamola corta: l'ho ritrovato qualche giorno fa. Al supermercato mi pare. Adesso frequento spesso il supermercato. Casi della vita. Era in edizione da grandi stavolta, Einaudi tascabili, pure con lo sconto e sotto la doppia cifra (ormai qualsiasi libro va dai 12 euro in su!).
Ho ricominciato, e forse un po' di quella polvere, di q
uella magia, c'è ancora, nonostante il lavoro e quello a cui ti porta incontro la vita, con o senza te che sei felice. Erano altri momenti, ed io ero un grand'uomo, con la mia giacca marrone grezza e il thè che prendevo alla macchinetta, uscito dalla sala di lettura, a Firenze.
A volte son solo momenti, poi tutto passa.
Perché tutto passa, come diceva il Buddha. E l'energia va e viene (più spesso, va...), e porta con sé le sensazioni positive, il benessere e l'euforia. O, al contrario, la disperazione, l'accidia e la tetraggine. Certi giorni saresti capace di far tutto, e se anche ti cacassero in macchina ci rideresti su. Certi altri ti arrabbi se il vento porta con sé una nuvola.
Che esseri del cazzo, che siamo!

 

1 commento:

Lypsak ha detto...

Meno male che non te lo sei perso per la via.


Comunque volevo farti notare che sei una merda d'omo perché vengo a vedere questo blog tutti i giorni per settimane e non ci trovo scritto niente di niente di niente, poi all'improvviso, manco per qualche giorno e TAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAC! dodicimila post.


Non so se incazzarmi a bestia o rallegrarmi. Cito la tua ultima frase, così, a spregio, e a plagio.