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ottobre 27, 2007

ED ORA, STRONZONI INCOLTI ED ABBRUTITI DALL’ALCOOL E DAL FETIDO GUANO CHE VI COLA SUI POMELLI (?), UN PO’ D’ALTA & SANA LETTERATURA. IL NOTO TRADUTTORE RAUL “BONGO” LAMORCHIA SI È CIMENTATO – BONTA’ SUA, IO NON ME NE SAREI DAVVERO GIOVATO – CON LO SCRITTORE KIRGHIZISTANO (NON SUCCEDE MAI UN CAZZO IN KIRGHIZISTAN. COME MAI? VE LO SIETE MAI CHIESTO? CONOSCEVATE L'ESISTENZA DEL KIRGHIZISTAN? ESSÌ CHE SON VICINI ALL'IRAN, ALL'UZBEKISTAN, ALLA CINA, POSTI PIENI TRADIZIONALMENTE DI GRANE & UCCISIONI ARBITRARIE. NESSUNO LI VUOL CONQUISTARE, NESSUNO NE STERMINA UN'ETNÌA, NESSUNO NE RECLAMA LA SOVRANITÀ SPODESTATA CON LA FORZA DA QUALCUN ALTRO. CAZZO FARANNO IN KIRGHIZISTAN PER STAR COSÌ TRANQUILLI?) PULCHRAM K. ISHMET BETUCCHI, REGALANDOCI LA TRADUZIONE DEL SUO NUOVISSIMO QUANTO PROFONDO ROMANZO DIPENDESSE DA ME TI GRATTUGEREI IL CAPO A FURIA DI NOCCHÌNI (INVERO, SI TRATTA D'UN TYTOLO PROVVISORIO, TIPO ERRIPÒTTER), IN USCITA IN ITALIA NEL BRUMAJO PROSSIMO (O ANCHE NO), PRESSO LE EDIZIONI LIMITROFE (LIMITROFE RISPETTO A COSA? MA A QUESTO BEL PAJO DI COGLIONI, MI PARE OVVIO)

“Mi chiamo Lorbetti Baurilio, come tutti – ma anche questa frase non è mia. Faccio o farò un lavoro qualunque, tipo rispondere al telefono e prendere appuntamenti, o ordinare materiali per costruire porte e infissi in legno. A volte sono felice; molto più spesso, triste. È che son sempre di più le cose brutte, rispetto alle cose belle; o comunque le prime pesano di più, come disse qualcun altro che ora non so bene. O magari è che è sempre più facile e comodo esser tristi. Siamo così stupidi che alla fine, penso, la cerchiamo proprio, la tristezza. E vogliamo che ci inquini tutto, anche se ci troviamo a vivere un momento bello. Che diritto abbiamo di vivere un momento bello, se si deve esser tristi perché le cose brutte sono di più rispetto a quelle belle? Perché dovremmo scindere e riuscire a attingere a presumibilmente piccole oasi di felicità, se tutto intorno è tristezza? Sai la fatica, alzarsi in piedi e scuotersi di dosso la cappa grigia che ci tiene giù, seduti piantati a terra nell’autocommiserazione e nella flagellazione della nostra personalità derelitta, ricercando il momento esatto in cui qualcosa è andato storto, perché dio solo sa se noi, proprio noi, non ci saremmo meritati quel destino, e allora dev’esser stata per forza una mancanza di un attimo, un calo di tensione, una leggerezza esecrabilissima, qualcosa che è accaduto e non ce ne siamo accorti e che ci ha fatto precipitare giù, giù, giù, in un limbo grigio e senza cielo, in cui per forza ci dev’essere negato ogni altra cosa che non sia quella, la tristezza. D’altro canto, come possiamo essere felici se tutto quello che dobbiamo fare, sempre, è rispondere al telefono per prendere appuntamenti, o ordinare materiali per costruire porte e infissi in legno? Produrre cuscinetti frenanti per sistemi meccanici? Registrare fatture? Promuovere la vendita dei nostri prodotti e servizi; i migliori, Signore, nel campo della telefonia fissa e mobile, mi creda? A voi, ve ne frega qualcosa?
Passo giorni interi senza ridere. A volte penso di essermi scordato come si fa. E invece non me lo scordo mai, sembra incredibile. Quando sono felice tendo a parlare di più, a sentire un fuoco dentro, che è forte, è contagioso, energia che si sviluppa – potrei costruirci un grattacielo, abbracciare una donna, suonare il pianoforte; scrivendo costruisco frasi subordinate, una pletora di congiunzioni, disgiuntive, avversative, pronomi relativi, i quali vanno a mostrare all’esterno quanto sono vivo, che ho ingegno, un ingegno e una voglia di vedere o questo o quello, che non è fine a se stessa, ma è un feroce bisogno di sapere, conoscere, capire, sentendosi magari i brividi addosso quando si entra in un concetto, si esperisce una nuova sensazione davanti a un quadro, si è felici perché si assapora che la vita è qualcosa di più.
Ma poi mi ricordo che il mio destino è sempre lì che mi attende, la mia dannazione continua, la mia tristezza sotto le ceneri di un attimo. E quindi torno triste, censurandomi e dando l'alt a tutto il resto. Perché: che diritto ha uno di essere felice e sentire tutto quello, se c’è sempre, poi, il basso continuo della tristezza? Quando sono triste tendo a chiuder tutto dentro, a veder tutto velato e fonte di fatica immane. Non scrivo, ma se scrivessi sarebbero frasi cortissime e secche. Così. Non c’è niente da dire, nella tristezza. È inutile e faticoso. Che senso ha capire un concetto? Perché una nuova sensazione? Prendersi la briga di fare, quando tutto quel che dobbiamo fare è vendere complementi d’arredo per il bagno, telefonare e piazzare prodotti gestionali per l’ufficio, archiviare documenti protocollati, produrre circuiti stampati per dio sa cosa. Tutte cose di cui non c’è mai fottuto un beneamato cazzo, gesù. E tutte cose che finiscono per contare più della nostra vita. Perché? Se, giocoforza, ci capita qualcosa di bello, lo viviamo quasi come una colpa, da sminuire o cancellare al più presto. Siamo un continuum che ha necessariamente un colore – ed è sempre più facile che sia il grigio, o il nero – non un agglomerato di momenti vari e diversi. Una dis-armonia grigia e triste che preferisce desiderare qualcosa d’altro e di lontano, invece di ragionare e scindere le cose e godersiproteggersi, a seconda del momento. Perché?"

1 commento:

ciofo ha detto...


Toccante ;__;


Anche Originale, ma soprattutto Toccante ;____;


Ah, e pure Realistico, e anche un po' Allegorico.



Il titolo e' quello che il lettore medio vorrebbe fare all'autore dopo aver letto le prime sei righe, VERO? >-)