Visite

dicembre 06, 2005

XXI.
Suonano il campanello, e vado ad aprire.
“SORPRESAAA!”, grida sguaiatamente la figura pesantemente incappottata che mi trovo davanti. È Al Pacino. Ci abbracciamo calorosamente, poi lui, ammiccando, mi fa:
“Guarda chi ti ho portato!”
E si scansa dalla soglia. Abbassandosi per non picchiar la testa, entra un omone che pare non finire più. È Charles Barkley, che si sfila gli occhiali neri, e con un’occhiataccia intorno delle sue, manda uno dei miei 7 gatti (Papègo, per la precisione, il mio gatto ellenico) a nascondersi sotto il divano. Mi stritola quasi, per salutarmi, mentre tutto il rumore ha attirato gli altri abitanti della casa: mia cugina, i miei due cognati con tanto di sorelle, bambini varî, mia madre. In particolare, la figlia di mia cugina (che adesso non so bene se può dirsi nipote, o bis-cugina, o semplicemente cugina anche lei), esclama, indicando Al Pacino:
“Mamma, guarda… Robert DeNiro!”
Ha otto anni, questa qui, e la scaccio con un calcio, per evitare altre figure. Al Pacino fa finta di non sentire, ma dentro di sé si vede bene che ha accusato il colpo. Ha sempre avuto il complesso di inferiorità nei confronti di Robert DeNiro, perché ha vinto meno Oscar di lui. E poi, pare sia geloso del fatto che DeNiro riesce ad assorbire meglio i colpi dell’età. Per non parlare del discorso relativo a quella maledetta parte ne Il Cacciatore. Ma questa è un’altra storia.
Comunque sia, guido i due ospiti a sorpresa per la casa, non ancora rendendomi conto di cosa stia succedendo (in effetti li aspettavo per il giorno successivo, ma una telefonata sardonica di Al Pacino, da San Francisco (sic!), in cui mi diceva che stavano partendo e che mi avrebbe portato una sorpresa, mi avrebbe dovuto mettere in guardia – in realtà, erano appena arrivati a Roma; ma questo l’ho scoperto solo dopo).
Resta il gran problema di dove sistemare Barkley, ma lui insiste a dire che dormirà nel garage. Lo vuole assolutamente vedere subito, e non capisco bene il perché. Ce lo porto; lui sistema un giaciglio in un angolo, e poi prende a frugare nel suo borsone. Tira fuori un trapano, quattro tiras del 16, e tutto di colpo mi si fa chiaro: si ricorda ancora dell’ultima volta! Non mi chiede neanche una scala, e comincia canticchiando a forare la parete esterna del mio garage. Al Pacino guarda compiaciuto, stropicciandosi le mani nella sciarpa di cachemire bianco. Fatti i fori, torna al borsone e tira fuori un canestro, e un pallone regolamentare NBA. Dannazione! Dovevo saperlo che quelli come lui se la legano al dito: anni fa – lui si stava giocando l’anello contro i Bulls – lo battei in una serie di memorabili One-to-One, a Los Angeles, nel campetto in asfalto della villa di Al Pacino (che faceva da arbitro). E non me l’ha mai perdonata.
(Ricordo che ogni volta che andava a canestro mi gridava in faccia: “NOBODY CAN GUARD MEEE!” per intimorirmi. Ricordo pure che, frustrato, volle provare anche un due contro due, chiamando per questo suo cognato – uno squallido botriòne intellettualmente nullo o comunque assai tardo dell’Arizona, che aveva come passatempo quello di bere birra e giocare a snooker – gabellandomelo per fenomeno incompreso, e lasciando a me Al Pacino. Riuscirono a costringerci all’overtime ma, mi sembra chiaro, la colpa fu tutta di Al Pacino, che sbagliò, a quattro dal termine, i due liberi decisivi, ottenuti per un discussissimo tecnico – gli aveva ruttato in faccia – fischiato al cognato di Barkley).
“Giocheremo domani”, faccio io, “sarai stanco”.
Ma Barkley pare non volerne sapere e si sfila la maglia. Sotto ha il 34 dei Phoenix Suns, proprio la maglia di quei tempi. Mi tira il pallone con fare minaccioso, gridando “COME ON!” (ma Barkey urla e basta? mi chiedo io), ma per fortuna mio cognato, quello che mi ha ceduto il fondo, viene a chiamarci per la cena. E quindi andiamo. Il giorno prima avevo preparato una deliziosa salsa Crescione & Bottarga, ottima per tartine e come sugo per la pasta. Barkley impazzisce per il suo gusto delicato e se la spolvera tutta. A tavola lo guardano allibiti, tranne Al Pacino, che lo conosce, e che poi mi sta tempestando di domande riguardo all’imminente apertura del mio negozio. Per farlo contento, provo alcuni scherzi, prendendo come cavia Barkley, il quale ormai è ridotto ad uno stadio di devozione schiavesca & catatonica dalla mia salsa. Lo faccio bere dal falso bicchiere (e sarebbe ancora lì che ci prova, se non glielo avessi sfilato di mano dopo una mezz’oretta buona), lo infiammo accendendogli un sigaro col MAP (tanto Barkley è già rapato di suo), lo ricopro di scorpioni di gomma (ma di quelli motorizzati, che si muovono, e lì Barkley, salsa o non salsa, diventa bianco…), ecc ecc.
Poi tutti a letto. Nella notte, sento singhiozzare dalla camera accanto.
“Oh, Gesù”, sospiro, “ospiti!”
Mi infilo la mia Vestaglia del Mercante di Scherzi (la vestaglia di ordinanza, grazioso regalo di Caloggero LoVòi della Carnasciali Gioiosi srl), e busso alla sua porta. Solita crisi notturna di Al Pacino, che rimpiange i tempi passati.
“Perché? Perché il tempo è così… mai più Toni Montana”, confessa tra le lacrime, con pause a effetto, “…una volta ero Carlito Brigante, e Mike Corleone... e poi il colonnello Frank Slade, altri mille, e anche di più… e adesso tutto è andato… sono bastati pochi anni… capisci? E quel maledetto Robert DeNiro… cosa ha più senso, così? dove vado a finire? Il tempo è…”, e tira pesantemente su col naso. Magari Barkley è in garage che ronfa, penso.
Coccolo Al Pacino nemmeno fosse la mia vedova di Ampelio sul Lago (ah, mia adorata C.X… che farai ora?), al chiaro della luce lunare che entra dalla finestra, e cerco qualcosa da dire. In realtà, so benissimo che gli passa dopo poco, in genere.
“È così, è la vita, dai... tu non pensarci… e poi Frank Slade era già un personaggio di mezza età”, butto là, così per ridere. Ma non fa effetto. E allora rincaro la dose:
“ognuno ha i suoi problemi… guarda me. Solo ora riesco nel sogno della mia vita, ma mica è tutto a posto. Sai che quasi ogni notte, qui, mia madre va a giro per la casa con un pareo celeste e io devo inseguirla dicendole: no, mamma, no; non sei il fantasma dell’ammiraglio Nelson, torna a letto!”
Questo invece fa effetto, e Al Pacino si calma, sdraiandosi. Faccio per andarmene, ma lui mi chiama, e commosso mi porge un suo Oscar (li porta sempre con sé, tutti quanti), per ringraziare. Rifiuto, e torno a letto. Il giorno dopo c’è la rivincita con Barkley, e bisogna esser riposati.
Difatti…

…giorno successivo – mattina, sul presto
vengo svegliato dal rumore di un pallone che rimbalza. È già pronto, mi aspetta, e quando scendo giù, trovo il frigorifero devastato. Mi informa mia cugina (che continua a non approvare il mio progetto, specie da quando ho scoperto quel che ho scoperto riguardo a Happy Days e al MAP – mi vado pure a mettere contro il Governo, ripete sempre), che il bestione è di umore nero, perché non ha trovato nessuna tartina Crescione & Bottarga. Sarà dura.
Vado fuori, e mi scaldo un po’. Cominciamo la partita: 13-4 per me. Lo faccio imbestialire chiamandogli continuamente “passi”; qualche volta arriva pure a far fallo di piede. Nel frattempo, è arrivato anche Al Pacino, che come sempre fa da arbitro. È allegro, stamani, e quando mia cugina (quella piccola) lo chiama ancora DeNiro, si gira e le risponde: “ehi, ma dici a me? Ma dici a me?” (proprio in Italiano, con la perfetta doppiatura di Ferruccio Amendola). Barkley è sempre più nervoso, ma anche Al Pacino, col suo fischietto nero da arbitro, concorda sulle sue infrazioni di passi.
Il tutto dura fino al 37 a 29 per me, esattamente fin quando Barkley, di rabbia – e anche un po’ di frustrazione – decreta la fine della partita: palla in mano, con uno schiaccione distrugge il canestro staccandolo dal muro. Ok, slam dunk. Riatterrando, mi guarda e grida: “NOBODY CAN GUARD MEEE!”
Poi, rientrando, mi chiede se a pranzo gli faccio i ravioli Crescione & Bottarga.
Che cafone, però, Charles Barkley… non mi ha chiesto nemmeno nulla del mio negozio.

Nessun commento: