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dicembre 07, 2005

XXII.
E venne il giorno della festa. Dall’alba, uno stuolo di persone lavorava, indefesso: nonostante i rispettivi rifiuti, i vari Burri, Giacometti (che aveva portato pure il cane, Filippo, bestiola assai acuta & carina, peccato fosse di scarsa collaboratività e, soprattutto, pesasse 80 kg, ovviamente a secco, cosa che non ci ha certo favorito quando – sia stato il caldo, o magari la noia, chissà – ha deciso di fare un tuffo nella vasca del ponce, raggiungendo così il rispettabilissimo peso di 130 kg), Pomodoro (giunto insieme a Piero Manzoni – sì proprio quello della “Merda d’Artista”… beh, insomma poteva mancare?), sono accorsi in aiuto, e lì mulinavano le loro gambette che parevano unti dal Signore Domineddio Nostro. C’era anche Valentino Zeichen, e se ne stava in un angolo, ancora imbronciato per il nostro recente battibecco; mi ha confessato di avere provato e riprovato a mettere insieme l’ottava che avevo chiesto – le occhiaie che gli cerchiavano l’occipite ne erano il miglior testimone e alleato. Intenerito, ho abbassato un attimo la guardia, e lui ne ha approfittato per mettermi in mano un foglio: “sa… intanto ho buttato giù qualche verso libero… no, mica vuol dir nulla, per carità, ma magari, intanto, mentre penso all’ottava, ci dà un’occhiata, così, per farsi un’idea… in fondo non mi sembra male, io intanto provo, se poi magari andasse bene anche così… insomma, capisce…”
anche in imbarazzo, il mariuolo cercava di uccellarmi! Notai che mentre parlava torturava qualcosa con le mani, dietro la schiena. Ho cercato di vedere cos’era, ma è stato rapido nel nasconderla. Capogrossi, che passava di lì con due vassoi di focaccine origano lampredotto & nutria d’Arno che avrebbe sistemato di lì a poco sulla tavola da rinfresco a centro sala, mi ha fatto cenno di lasciar perdere. Dopo, mi ha spiegato che si trattava di Orso, il coniglio di peluche che Valentino Zeichen porta con sé quando è nervoso, e che lui si ostina a chiamare Orso per motivi tuttora oscuri.
Cristino, il quale per l’occasione sfoggiava la classica pettinatura detta “schiaffo” (ogni giorno che passa sono sempre più perplesso relativamente alla virilità di Cristino), freneticamente saltellava con movenze da Colibrì di Maremma, ritoccando piccolezze stilistiche e suggerendo cosa era meglio e peggio in ambito di posizionamento dei fiocchi sugli scaffali.
Al Pacino conversava amabilmente un po’ con me, un po’ con Emilio Vedova (ah, mia C.X., la sua presenza è stata una vera tortura per me! Ho dovuto, per non pensarti troppo, chiamarlo sempre per nome, Emilio; e quello secondo me si è offeso, perché è uno – me l’ha detto Capogrossi, che pare sapere un po’ tutto di tutti – che a queste cose ci bada, e assai), e un po’ con Manzoni, il quale, piuttosto crudelmente direi, gli ha fatto credere di essere l’altro Manzoni, quello dei Promessi Sposi. Al Pacino era rapito, e continuava a ripetere, sbattendo gli occhi ammirato, nel suo italiano stentato: “questo matrimonio non s’ha da fare! Né domani, né mai!”. L’ingenuo.
Indi è arrivata la famiglia: cognati, cugine, sorelle, zie. Con il resto del menu da inaugurazione: oltre alle focaccine c’erano i crostini al burro di Persia (ricetta segreta di mia cugina – quella di otto anni, nessuno ha mai avuto il coraggio di chiederle come li fa), le tartine jena & trucioli, le coreografiche e delicate Pizzette sull’Orso (il quale, poi, è scappato in preda al panico furioso, lasciandoci così solo le pizzette, subito dopo che Giacometti è scoppiato a piangere. Capogrossi, al proposito, mi ha spiegato che lui si commuove sempre, alle feste), e infine i cornettini salati ventresca e scaglie di porfido. Il tutto accompagnato da tre vasche: una piena di Ponce al Mango, l’altra di spuma bionda, e l’ultima di raffinatissimo Angel Face. Ovviamente, non poteva mancare una bella zuppiera della mia salsa Crescione & Bottarga, al centro delle tavolate.
Così abbiamo atteso le 16 – orario di apertura rigidamente previsto dall’ALSCAR per tutti i negozi di scherzi di carnevale – amabilmente intrattenendoci, (insuperabili, al proposito, gli sketch a due di Piero Manzoni e Rotella). Il “Dingo Ceruleo” stava per nascere. Emozione. Gaudio. E, nell’attesa, sono arrivati: Ellade Bandini & Ares Tavolazzi (che viaggiano sempre in coppia, un po’ come Onoma & Rema), Moira Orfei, gli elefanti di Moira Orfei (non c’era Jazhir – lei mi ha detto che l’ha venduto, ma giuro che questa è l’ultima volta che invito o parlo con Moira Orfei!), Gianfrusto Pupazzy con il mio commercialista Limerno Pitocco, e infine l’on. Achille Totaro. Giacometti, di tendenze politiche tutt’altro che simili alle sue, ha pensato bene di aizzargli il cane Filippo, che invece di sbranarlo, ha a sua volta pensato bene di assaggiare il mio ponce, come ricordavo poco sopra. Le vasche utilizzabili sono così diventate due, e noi ci abbiamo guadagnato un cane ubriaco di 130 kg., che per tutta la durata dell’inaugurazione ha impazzato per il negozio e dintorni, seminando terrore & distruzione. Achille Totaro è scappato, e non ho potuto nemmeno fargli uno scherzo. Prima che Giacometti liberasse il cane, avevo solo potuto dargli un sigaro esplosivo. Abbiamo sentito un botto otto minuti più tardi, dalla strada che portava fuori dal paese. Siamo stati tutti molto soddisfatti, poi ho mandato Al Pacino a vedere che fine aveva fatto.
Quindi sono arrivate le 16, e la festa è iniziata. È arrivata la banda del paese, che suonava un ragtime di Scott Joplin. Gli elefanti ballavano a tempo, aggraziati. Moira Orfei no. Ci saranno state… non so… 1573 persone, nella piazzetta davanti. Il Dingo Ceruleo dell’insegna, ad un comando di Mimmo Rotella, si è acceso, tutto celeste e rosa. Io, pareva avessi un cucchiaino di zucchero nel cuore. Sono salito in soffitta, e da lì sul tetto del mio negozio-già-deposito-di-navi, e mi sono goduto lo spettacolo per un po’. Tutti si abbuffavano di tartine e crostini, e bevevano, e io rimanevo lì, in attesa di non avrei nemmeno saputo dire cosa. Ho sentito la voce di Cristino che mi chiamava; è salito sul tetto e mi ha dato un pacco a tubo, andandosene. Ho aperto: era il ritratto di Manlio Proaskinevic! Il cuore mi batteva, niente più ombra di zucchero. C.X. dietro aveva scritto, col rossetto (che peraltro non usa mai, cosicché la cosa dava assai maggior risalto all’evento): “questo è tuo padre. Mi manchi davvero…”
Dannazione. Il vento mi ha sferzato il viso. Poi mi sono accorto che non c’era affatto vento, ero solo io che stavo cadendo giù dal tetto. Fortunatamente sono caduto sul cane ubriaco di Giacometti.
Vedova (ironia del destino) mi ha tirato su. Mi ha presentato un tipo biondo, coi capelli lunghi lunghi che parevano spade: era Glenn Peter Strömberg, che siccome ha il dono della lucentezza, mi aveva “sentito” leggere il suo libro. Seppur corrucciato dal fatto che lo leggessi in traduzione – “orribile!”, ha garantito lui – ha comunque deciso di venirmi a trovare, per rendermi omaggio. Aveva portato con sé il suo cane, un spaniel turco di nome Achille, come Totaro, che appena l’ha saputo si è impermalito ed è riscappato via, con gran rammarico di Al Pacino, che l’aveva appena ritrovato e ricondotto lì. Stavolta abbiamo deciso che bastava così. E poi, lo avevamo appena spruzzato ben bene di polverina irritante…
“ma Lei non doveva essere morto?”, ho chiesto con discreto tatto a Strömberg. Lui non ci ha fatto caso, si è ravviato i lunghi capelli, e si è mescolato alla festa. Che continuava. Barkley ha passato la giornata cercando di rubare la zuppiera di salsa Crescione & Bottarga. Che dia una qualche forma di dipendenza?
Io, nell’ebbrezza, pensando un po’ al ritratto in mio possesso, un po’ alla notizia sconvolgente ivi vergata col rossetto, ho venduto un MAP ad un ragazzino coi capelli rossi. Speriamo bene…

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