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novembre 19, 2003

Le curiose recensioni del DOTTOR MERDA

Nico Demo, Johnny Merda e il budello di so’ ma’ – con rispetto parlando, ed. Nodoso Randello, pag. 373, Eurini 16,50.

Scritto in terza persona, con una prosa possente e fluida al tempo stesso, tanto che il Demo si è meritamente guadagnato gli speculari epiteti di “John Irving del Padano” (la su’ mamma) e quello di “cazzone vanaglorioso e tronfio che non sa nemmeno coniugare il congiuntivo del verbo cuocere” (Oreste Miceli – ex gloria dell’Ambrosiana Inter), il romanzo narra l’appassionante vicenda di Johnny T. Merda, emigrato dagli USA nel 1907, per cercare fortuna in Italia, con – a dire il vero – scarso tempismo e buon senso, ma con tanta, tanta originalità.
Il romanziere Salentino (o non era padano?) pone l’accento fin da subito sulle problematiche di inserimento: a quelle più materiali (Johnny Merda che il primo giorno viene pestato a sangue con un trinciapollo da un facoltoso uomo d’affari di Barletta, poiché non aveva osato rubargli il portafoglio) si accompagneranno subito quelle della lingua (celebre per sottigliezza psicologica la scena del “eh?”, “Puppa! Americani frittelle bandiera patatoni” – cap IX), e del lavoro. Proprio quest’ultima consente lo scioglimento della vicenda: trovato un impiego come tecnico di primo livello nella nuovissima fabbrica IBM di Cerfusto sul Trespolo, Johnny Merda si fa ben presto licenziare per la sua insistita & irritante abitudine di portarsi dietro la madre (“quel budello”, come dicono a più riprese i personaggi del romanzo) ogni mattina. La cosa è vieppiù complicata dall’essere, la fabbrica IBM, una cosa del tutto incongrua e gratuita rispetto alle unità di tempo, luogo e spazio del romanzo, ma – si sa – l’infrangere i cliché è proprio dei Grandi Autori. E Nico Demo Grandi Autori lo è, se permettete. E gli è quasi naturale il dimostrarcelo: di nuovo in mezzo a una strada, Johnny Merda pensa bene di affogare la madre nel fiume Hudson di Cerfusto sul Trespolo (in realtà è l’infido torrente Morchia, ma J.M. che può saperne, nella sua biblica rabbia?) così, per ripicca e per scaricare la tensione, ma proprio in quell’istante – agnizione improvvisa: glielo dice un passante, in realtà malcelata rappresentazione dell'autore stesso – scopre essere il figlio del padrone della IBM, e che quella lì è semplicemente una zia che era venuta a trovare il fratello (il padrone dell’IBM, appunto) dagli Stati Uniti, dov’era emigrata circa dieci anni fa, in compagnia del figlio Johnny Merda, che sbarcato in Italia ha subito subito (non è che ho scritto subito due volte: uno è l’avverbio di tempo, l’altro il participio passato…) una violenza non bene identificata (appunto, il facoltoso uomo d’affari di Barletta), tale da costringerlo a una settimanina o due di degenza presso il nosocomio di Nosocomio, prov. di Ortopedìa Dura. Allora e solo allora il figlio del padrone dell’IBM, Michele Merda, per il gran dolore provato aveva assunto l’identità del cugino Johnny, ed aveva – secondo il suo modo “di vedere, immaginare e sognare” – iniziato a lavorare nella fabbrica dello zio-padre, dove però non sapeva spiegarsi la presenza pressoché costante e indigesta di quella vecchia bagascia truccata. Peccato che la scoperta arrivi troppo in ritardo e il budello ormai sia fottuto (con rispetto parlando), con circa cento coccodrilli che le mordono “ogni lembo del suo sfattissimo corpo di bottàna”.
Nel finale tutto arriva a dissoluzione: Johnny Merda è il cugino Michele, il fiume Hudson è il torrente Morchia, i coccodrilli dell’Hudson sono i feroci piranha del Morchia, il budello di so’ ma’ è il budello di so’ ma’, e la fabbrica IBM “non è proprio un cazzo”. Così, tanto per gradire. Alla faccia vostra.

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