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dicembre 16, 2005

XXX.
È tutto pronto: parto. Di C.X. (ah, mia adorata C.X.! È tutto finito, dunque?) non ho più notizie, almeno da quando mi spedì l’immagine di mio padre, Manlio Proaskinevic o come diavolo si chiama, ormai. Quindi partirò solo. Ahimè! È l’ennesimo ritaglio buio di questa storia. Da quando io proprio io, Manlio Sacchetti, (ops… no, volevo dire: Manlio Lo Presti), ho messo in piedi il mio sogno, sono successe un sacco di cose molto strane. L’ultima, ieri: ho incontrato Astante Torchia Bernardini, gestore dell’albergo “Gli Astrusi Asterischi d’Astante”, di stelle quattro ma dubbie (in realtà è un misero due stelle, ma si dice in giro che abbia a suo tempo corrotto gli ispettori Michelin, blandendoli con un paio di treni delle omonime gomme, ben sapendo che per quella gente vanesia e superficiale l’avere anche i pneumatici della macchina con stampate le proprie cifre è una tentazione irresistibile), e si è lamentato del fatto che da qualche giorno ha un ospite che perde peli in maniera esagerata, e che da quando c’è lui ha già dovuto far cambiare alla cameriera dei piani quattro sacchi all’aspirapolvere. Inoltre, quello gli ha finito la scorta di Guinness.
Mah.
Qualcosa mi è ronzato in testa per un po’, come se fossero parole di una canzone già sentita, ma poi ho fatto finta di nulla. Solo, mi chiedo sempre come mai l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghe del Mondo non sia venuto all’inaugurazione. È stato l’unico. E poi, soprattutto: come diavolo mi è venuto in mente di chiamarlo, un tipo così? Cosa c’entrava, in tutto il mio sogno? Non avrà chiamato lui, e non ricordo?
Non lo so. Io so solo che devo partire.
L’ultimo sogno che ho fatto (anche questo è un segno ben preciso, direi) è stato del tutto diverso: sopra un palco celeste e rosa, realizzato solo su dei tubi al neon, c’era C.X. Ballava, una scena che ricordava tanto un qualche film con Rita Hayworth di cui adesso non ricordo il titolo. Mentre ballava, canticchiando mi confessava che era stata l’amante del tipo del quale mi aveva fatto avere il ritratto. Vale a dire mio padre. Scusate se è poco.
Potrei vivere in un guscio di noce e credermi re dell’infinito, se non fosse che ho brutti sogni…
Ma non diamo troppo peso ai sogni – C.X., lì, ha anche detto che non vuole essere cercata più: TETRA DISPERAZIONE! – tutto si risolverà: adesso sono qui (uno dei miei sette gatti, Mytridathe II, il persiano antico, è appena saltato sulla mia scrivania, miagolando) che scrivo queste ultime righe prima di partire da Gianfrusto sul Nerchio, in provincia di Zorro, e magari è pure tempo di bilanci. Sì, insomma… ho già venduto tantissimo (soprattutto cacche); ho il mio bel tesserino magnetico viola verde e rosa, la foto del guru degli scherzi (che ho pure, tra l’altro, scoperto essere mio crudele genitore); conto di scalar presto posizioni su posizioni nella graduatoria dell’ALSCAR grazie ai miei geniali suggerimenti, e via così. Un uomo felice, no? Inoltre, ho fatto scoperte rivoluzionare sul cast di Happy Days, e sul modo in cui Winston Churchill consolidò il suo potere in anni difficili.
E poi… ehi, ma che sta succedendo? Qualcuno di fuori mi chiama… sembra la voce di Cristino… l’avevo lasciato in negozio da solo, un’ora fa… che diavolo… cosa sta urlando…
STA BRUCIANDO IL NEGOZIO!
NO! Le mie cacche…
ODDIO!
Le mie cacche… no… brucia tutto… come mio zio… cioè, padre… no… devo andare a salvarle… io proprio io… brucerò con loro… no…
mmmmmmmmmmeeeeeeeeeeeerrrrrddddaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!

(Suore Orsoline o no…)

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