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dicembre 14, 2005

XXVIII.
Incontro Limerno Pitocco, a giro senza meta né scopo. Ciondolava, triste. Io tornavo dall’aver appena noleggiato la macchina, per il mio imminente viaggio verso le Highland Scozzesi, alla ricerca del mio presunto padre. L’ho noleggiata spendendo praticamente niente – è bastato impegnare i denti d’oro e il femore di Cristino, per avere un’auto con tutti i comfort del caso: una A-112 del ‘78, con tanto di tettino apribile e posacenere in madreperla, pieno di mentine dure, per di più colorate.
Dicevo, ho incontrato Limerno Pitocco, ed era alquanto giù. Ho chiesto che c’era, e dopo un po’ mi ha confessato che è depresso perché si taglia ogni volta che si fa la barba. Gli ho risolto questo problema, confidandogli sulla questione un importante e risolutivo segreto (che essendo segreto, e per giunta importante, mi pare logico che non scriverò qui…), e lui per gratitudine mi ha confessato una cosa che mi ha alquanto scioccato. Ha cominciato così, con un tono da rivelazione biblica:
“sai perché ci conosciamo tu ed io, Manlio? Perché si conoscevano i nostri Padri & Avi! E perché si conoscevano i nostri rispettivi Padri & Avi? Perché lavoravano insieme. Già, Manlio…” e qui la sua voce, da cavernosa si faceva più morbida, “l’attività della tua come della mia famiglia era tutta nel ramo contabilità!”
Santi Numi, e chi ne sapeva nulla?
“Il tutto finché tuo zio, colui che è morto nell’incendio del primo Dingo Ceruleo – già, perché quello non era affatto uno zio da parte di madre, come ti hanno fatto credere… no, è il fratello di tuo padre, e si chiamava Manlio. Insomma, quando tuo Zio, Manlio Lo Presti, prese la decisione di aprire il negozio di scherzi, tuo padre, Prohaska Lo Presti (tuo nonno, Cilestrino Lo Presti detto Ceruleo appunto, era un grande fan del giocatore, e ai mondiali tifava sempre Austria…) lo canzonò per tre giorni e tre notti. Di fila. Semplicemente, non concepiva l’idea: la contabilità è roba solida, sicura; l’aprire un negozio di Cacche Finte di Carnevale & Affini, no, almeno ai suoi occhi. Ma tuo zio Manlio tirò per la sua strada ed aprì così il negozio, spolverando ogni giorno con allegria le sue Cacche Finte, lì in bella vista sugli scaffali. Inutile dirti che all’inaugurazione – una festa gioiosa con tanto di intervento di un anziano Robert Mitchum, di Moses Malone agli albori della carriera, di Moira Orfei e un sacco di altri personaggi, tra cui anche l’onesto Zac – tuo padre, il fratello di Manlio Lo Presti, non partecipò affatto, assai piccato”.
Quel goffo personaggio che solo poco prima era depresso perché si tagliava a farsi la barba raccontava bene; aveva un tono quasi da cantilena, fiabesco. Seduto su una panchina accanto a lui, quasi mi addormentavo. E lui andava avanti, e la sua voce mi cullava:
“e piccato, Prohaska, lo era soprattutto per una cosa: passavano i giorni e il negozio andava a gonfie vele! Non se ne capacitava, e piano piano diventarono sempre più tesi i rapporti fra i due fratelli. Finché l’uno decise di fare uno scherzo all’altro. Un giorno che l’aiutante di tuo zio al negozio, tale Luiso Di Pasquale, era in ferie (era nato suo figlio, quel Cristino che adesso lavora per te…), tuo padre condusse lì tua cugina, vale a dire la figlia di tuo zio. La prese in braccio e la mise accovacciata su uno scaffale su cui erano riposte in bella mostra – Luiso era di una precisione maniacale – l’assortimento di cacche. La bambina ci lasciò la sua. Prohaska pensava che sarebbe stato bello vedere la faccia di Manlio mentre faceva per prendere e incartare per qualcuno quella che pensava fosse una sue delle tante cacche finte!”
Mi stavo addormentando davvero, nonostante quello là mi stesse illustrando il mio vero albero genealogico. Come mai non riuscivo a star sveglio? Io, proprio io…
“sfortunatamente nessuno gliela chiese mai, e il sole, dietro la vetrina, fece il resto. Dell’incendio, sai già tutto, penso. Quello che non sai invece, è che tuo padre si rese subito conto della gravità dell’accaduto e in lui si fece strada la convinzione che fosse colpa sua…”
(già, come potè mai pensarlo?, mi chiedevo quasi ironico, mentre ormai i miei occhi cedevano al sonno, e nel dormiveglia irreversibile notavo che Limerno prendeva a ravviarsi i peli che gli spuntavano dalle ascelle, e che parevano lunghi, sempre più lunghi, lunghissimi… pareva anche che si stesse sfilando una maschera… e non riuscivo a capire se stavo sognando – e come allineare logicamente, pensavo, tutti questi eventi, e come collocare poi il fatto che mi stesse pure tornando in mente il fatto che Limerno Pitocco era da sempre completamente glabro, e suo padre faceva il ciabattino a Ramazza sul Chiorbo, lì vicino, e non il contabile? Maledizione, c’era qualcosa che non tornava, provai a dirmi, a partire dal fatto che gli avevo lasciato, a suo padre, un paio di scarpe a risuolare e quello non me le aveva mai rese… ma già ormai stavo scivolando nel sogno, nel mio solito sogno, che venne di corsa e obnubilò tutto quello che successe dopo… mi avvolse, e mi avvolse ancora, e ancora…ancora…).
Mi svegliai più tardi, ed ero da solo. Le parole finali che avevo sentito, o così mi pareva di ricordare, erano: “tua madre da allora è impazzita, e pensa ogni notte di essere l’ammiraglio Nelson. Tuo padre ha capito che il futuro sta nelle cacche, e ha preso il nome e l’attività di tuo zio, altrove. NON vuole essere trovato…”
accanto a me c’era un mucchietto di peli, che presto il vento scompigliò via.
Dannazione… che fare, adesso?

1 commento:

ciofo ha detto...

MA QUESTO E' UN COLPO DI SCENA!! O_O


e io invece continuo a ridere, o picchiami!! :-DDDDD