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dicembre 12, 2005

XXVI.
Sono prossimo alla pazzia. Quel maledetto sogno continua a tormentarmi. Di più, si arricchisce ogni giorno che passa. In origine era solo un comunissimo incubo, in cui mi appariva qualcosa di molto simile ad uno spettro, con dei serpenti per capelli, ed enormi ragni scuri al posto delle mani (avvicinandomi, però, scoprivo che erano serpenti e ragni di gomma, di carnevale). In faccia, assomigliava vagamente ad un visone, ma con la barba. Lo spettro rideva, e dopo un po’ cominciava a tossire e grattarsi dappertutto. Questo, finché si dissolveva. A questo punto dal nulla guizzava una trota, una bella trota fario, grossa e sana. Nemmeno un’iridea o una salmonata: no, una trota fario, la quale pensava bene di dirmi, con voce cavernosa (non si pensa mai a che tipo di voce possa avere una trota fario, almeno finché questa non si decida a parlarti – veramente sorprendente): “PARTI, FESSO!”
Poi, qualcosa è cambiato, man mano che i giorni passavano: dapprima, a condurmi al cospetto dello spettro compariva un vecchio zoppo, ravvolto in un tabarro unto, da straccione; poi allo spettro si è sostituito l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo, che col tempo teneva stretta a sé la mia vedovella preferita (ah, mia C.X.! Come puoi farlo? Non con uno come lui!); finché ecco come mi si propone al momento – e sono comunque pienamente consapevole del fatto che anche stanotte potrebbe essersi già rinnovato. Angoscia, angoscia tremenda.
Provo a raccontarlo, per farne esorcismo:
è il quattro del mese, ed io busso ad una porta enorme. Ho indosso la mia vestaglia d’ordinanza. Viene ad aprirmi uno zoppo piuttosto malconcio, tutto coperto da un razzimato tabarro. Mi guarda e mi dice, beffardo: “alla faccia dello zoppo!”, poi mi fa cenno di seguirlo. Mentre mi conduce da qualche parte (e io so già dove andremo), si gratta frenetico, e ad ogni passo pesta una cacca di cane. Ogni volta si gira, e ammiccando mi dice: “meno male che è finta!”. Poi scompare. Dal niente allora appare l’Uomo dai Peli delle Ascelle più Lunghi del Mondo. Mi guarda, comincia a ridere beffardo, e allunga un braccio nel buio che lo circonda. Lo ritira pieno, vale a dire con avvinghiata ad esso C.X., la quale ha ai piedi un paio di coturni rosa (le stanno a meraviglia, va notato). Dopo avermi detto qualcosa che ogni volta non riesco a ricordarmi, paiono sparire entrambi a bordo di una nave, mentre C.X. pare baciarlo. Io, qui, solitamente comincio a piangere copiosamente. La nave è guidata da Winston Churchill, e invece che nell’acqua, naviga per una verdissima e folta foresta shakespeariana, foresta dalla quale escono un visone inseguito da un feroce dingo azzurro, un coniglio bianco, e Ralph Malph (Donnie Most) con i capelli in fiamme. Quindi si fa buio, e appena i miei occhi si abituano all’oscurità mi ritrovo faccia a faccia con una persona che ogni volta stimo essere il cav. Aperitivio Terrazzy, e invece è Roberto Malone. Quest’ultimo mi mette in mano – dannazione: di tutti, proprio lui? – una boccia di vetro, dentro la quale Ares Tavolazzi & Ellade Bandini stanno amabilmente nuotando. Non c’è acqua lì dentro, ma solo la mia salsa Crescione & Bottarga. Guizza un elefante, con Moira Orfei in groppa, e quando è in aria mi sputa in faccia una trota (l’elefante, non Moira Orfei, che non si permetterebbe mai, ammetto). La trota è Fario, ancora. La scaccio con la mano, e quella, da terra, mi spara questi versi:

Amor è que’ che mi guida e conduce
nell’opera la qual a scriver vegno;
Amor è que’ ch’a far questo m’induce,
e che la forza mi dona e lo ‘ngegno;
Amore è que’ ch’è mia scorta e mia luce,
e che di lui trattar m’ha fatto degno;
Amor è que’ che mi sforza ch’i’ dica
un’amorosa storia molto antica.

Prima che possa riconoscerci il Ninfale Fiesolano di Boccaccio, la voce nasale di Valentino Zeichen (la riconosco ogni volta!) stride: “Parti, e raggiungi tuo padre!”
Così, ovviamente, sciupa la metrica, inzeppando un ottonario che nulla c’incastra con la serie di endecasillabi troteschi di poco prima, ma questo lui non lo sa – d’altra parte, il Quattrocento è finito da un pezzo… gliel’ho pure detto non so più quante volte. Senza contare che il Ninfale Fiesolano è pure del secolo prima.
Devo partire, devo andare alla ricerca di mio padre. Il mio PRESUNTO padre! Solo, vorrei tanto che C.X. venisse con me! Ma è come se non esistesse più. Che sia stata un sogno, anche lei?


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