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febbraio 20, 2004

E quest’oggi, acciocché gli stolti vedano qualcosa e per un attimo non si faccia caso allo squallore del mondo e di tutti i suoi abitanti, un bel raccontino di Franz Kafka:

C’era un avvoltoio che dava colpi di becco contro i miei piedi. Aveva già rotto stivali e calze, ora già dava colpi di becco proprio contro i miei piedi. Continuava a colpire, volò poi inquieto più volte intorno a me e si rimise all’opera. Passò un signore, guardò per un momento e poi chiese perché sopportassi quell’avvoltoio. “Sono inerme”, dissi, “è arrivato e si è messo a darmi colpi di becco, naturalmente volevo cacciarlo via, ho perfino cercato di soffocarlo, ma una simile bestia ha grandi energie, stava già per saltarmi in faccia, allora ho preferito sacrificare i piedi. Ora sono già quasi dilaniati.” “Perché lasciarvi tormentare così”, disse il signore, “uno sparo e l’avvoltoio è liquidato.” “E’ così?”, chiesi, “e vorrebbe farlo lei?” “Volentieri”, disse il signore, “devo solo andare a casa a prendere il fucile. Ce la fa ad aspettare ancora mezz’ora?” “Non lo so”, dissi, e restai irrigidito per un momento per il dolore, poi dissi: “La prego, ci provi in ogni caso.” “Bene”, disse il signore, “mi affretterò.” L’avvoltoio durante la conversazione aveva ascoltato tranquillo e il suo sguardo vagava fra me e il signore. Mi accorsi che aveva capito tutto, si alzò in volo, indietreggiò per prendere lo slancio sufficiente e, come un lanciatore di giavellotto, lanciò il becco nella mia bocca, a fondo, dentro di me. Cadendo all’indietro, liberato, sentii che nel mio sangue che riempiva tutte le mie cavità, che superava ogni argine, quello irrimediabilmente affogava.

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