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settembre 01, 2011


Se devo proprio ripensare a qualcuno, allora ripenso a tre tizi della casa accanto, un condominio su tre piani e sei appartamenti, tre terrazze una sopra l'altra per quelli esposti a sud, che davano sul giardino del palazzo, proprietà privata di chi abitava nell'appartamento a piano terra. Da questo terrazzo scavalcavano i Fanfulla, tre diavoli sudici e sghembi, selvaggi e scatenati, ognuno con la sua particolarità: William Fanfulla, il più grande, con una manciata di denti grossi sparati a caso in bocca; Katiuscia Fanfulla, la mezzana, futura culona sempre ridente in modo sgangherato; Devis Fanfulla detto Chicco, un paperotto paffuto a cui pareva mancare solo il becco, alto un metro e mezzo e largo meno della metà, che seguiva sempre i due fratelli come ombre ed aveva un'espressione ebete ma quantomeno occhi dolci e capelli colati come un tortino ricoperto alla mou. Il padre era Mariano Fanfulla, un pezzo grosso - o più probabilmente medio - della vicina acciaieria portuale, che poco tempo dopo sarebbe stato licenziato insieme ad altri cento, ed avrebbe allora aperto una specie di locale, un pub dalle pareti giallo canarino e i tavoloni di legno rosso, lui e un tizio che pareva il maggiordomo di The Rocky Horror Picture Show però coi baffi.
Comunque, coi tre fratelli, usavamo la rete a maglie larghe che divideva i due giardini per fare giochi di varia natura: da una classica quanto approssimativa pallavolo, con la palla che doveva esser sistematicamente battezzata tirandola in testa a Chicco come preavviso di battuta da parte loro, a cose assai più schifose, tipo cucinar qualcosa (fango), cuocere qualcosa (fango), far mangiare qualcosa a Chicco (fango, cotto o crudo che fosse), dopo avergli tirato una pallonata in testa a scopo benaugurante.
A volte scavalcavano la rete per venir di qua, storcendola tutta e sputacchiando per lo sforzo: una volta di qua, davano morsi alle pesche sugli alberi, ancora con la buccia e tutto, e poi tiravano in terra o in testa al fratello il frutto mezzo morsicato. O si arrampicavano dove potevano, cose così.
Dalla loro parte avevano perennemente mattonelle di scorta impilate, foratini e mini sacche di cemento; roba per piccoli lavori da fare in casa, foglie e pacciame vario.
Una volta, mentre giocavamo a pallavolo, William disse che ci avrebbe fatto vedere come cacava tra due mattonelle. La sorella rise. Chicco non disse nulla, e si prese un'altra pallonata in testa, a rintronarlo ancor di più. Quindi, sparato il pallone in alto a caso, verso la nostra parte, cercando di tirarlo il più lontano possibile, William si girò; si abbassò i pantalonacci unti piegandosi, e la sorella prese due mattonelle - le scelse con cura, non prese le prime due - usandole a mo' di sandwich sotto il culo del fratello, la parte buona all'interno, aperte, in attesa. Poiché per i primi minuti niente successe, Katiuscia, sempre ridacchiando, diede due colpi con la mattonella di sopra al fratello:
"Forza... culone!"
Il fratello cominciò a cacare.
Uno spettacolo.
La sorella la chiuse fra le due mattonelle.
Devis Fanfulla detto Chicco guardava in silenzio, finché poi cominciò, di punto in bianco, a piangere - forse di gelosia, perché di sicuro avrebbe voluto averci pensato lui.
William si girò soddisfatto tirandosi su i pantaloni.
Non mi ricordo mica, cosa ne fecero di quelle due mattonelle.

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