RIENTRARE IN CONTATTO CON SE STESSI
Mi chiedevo come mai un tempo considerassi un ubriacone della California come mio personale Guru, supporto e conforto per tutto quanto non ero stato e quant’altro mai. Una volta esauriti i suoi libri, per quanto il buon John Martin della Black Sparrow Press ne avesse ancora una buona riserva (più che altro poesie, facili a leggersi e a scriversi, quantomeno all’apparenza) e anche dall’Italia – si potrebbe mai mancare, noialtri? – si continuasse a mungere nei modi più ridicoli e scorretti una vacca ripiena di whisky che oramai non c’era più eran già molti anni; una volta chiuso – dicevo – il cerchio, per cui ricordo ancora le tesserine di carta Feltrinelli che all’epoca bucavano a mano ogni 5 euro di spesa e a me andavano via una dopo l’altra, fra Hollywood, Hollywood, Il capitano e fuori a pranzo e mille altre cose, me l’ero quasi dimenticato, il perché. Poi è uscito Azzeccare i cavalli vincenti che, visto il prezzo, la veste editoriale e la natura postuma e posticcia, puzzava di truffa (ah, a proposito: anche Einaudi ne sta facendo di simpatiche, vedi alla voce Carver, maledetti loro e i cazzo di soldi che oggi tutto comandano). A volte però gli odori son solo nel naso di chi annusa, ed ecco dunque che si rivela un sorprendente Buk (non Chinaski, stavolta; proprio il vecchio Buk in prima persona, e per quanto il primo fosse il suo alter ego, di differenze ce ne corrono, credete a un quantomeno ex-esperto della materia!) in rubriche, confessioni e racconti da noi inediti, il tutto curato con una precisione e competenza da Meridiano Mondatori. Come di consueto, si tratta di un autore molto diseguale (e di certo non potranno essere considerate di pari valore le storielle zozze spedite alle riviste pornografiche e Post-office, per dirne uno), ma all’interno, spogliàti (ogni tanto) i panni del personaggio a tutti i costi, vengon fuori cose piuttosto interessanti, che quantomeno a me son servite per ricordarmi perché un tempo considerassi un ubriacone della California, senza qualifiche particolari, con la pelle rovinata dall'acne, incapace di tenersi un lavoro, al centro di mille e mille beghe con puttane, donne e corse di cavalli, il mio personale Guru. Io che tutt'al più, nella vita, potevo diventare soltanto un impiegato. E infatti. Il resto conta poco.
"Dopo cento lavori e anni di vagabondaggio, ho alzato la testa e mi sono accorto che facevo lo stesso lavoro da undici anni. Ho cominciato a notarlo quando ho visto che non riuscivo più ad alzare le mani oltre i fianchi dopo una giornata di lavoro. Nervi a pezzi. Mi tenevano per le palle. Ho tentato molti tipi di cure, parecchi dottori. Non ha funzionato niente. L’unica cosa che funzionava ero io – otto, dieci, dodici ore al giorno. In questo lavoro non avevo scelta. Lo straordinario era obbligatorio e ti aggiungevano le ore una dopo l’altra. Non sapevi mai per certo quando sarebbe finita la tua giornata di lavoro.
Il lavoro mi stava uccidendo. L’avevo sopportato per dieci anni, sentendomi soltanto spiritualmente indignato per essere forzato a fare un lavoro ripetitivo, stupido. Poi, nell’undicesimo anno, il corpo cominciò a morire. Decisi che avrei preferito ritornare nei bassifondi, a piedi nudi, piuttosto che morire in sicurezza. Un uomo potrebbe sentirsi sicuro anche in prigione o in manicomio. All’età di cinquant’anni, con il problema di mantenere una figlia, mi sono licenziato. Stranamente, questo ha fatto arrabbiare molti miei colleghi; preferivano che morissi con loro invece che da solo.
[…]
Quando un uomo lavora per anni alla stessa occupazione il suo tempo diventa quello di un altro uomo. Voglio dire, anche con una giornata di otto ore, quella giornata è presa. Sommate il tempo del viaggio per e dal lavoro, il lavoro vero e proprio, il tempo per mangiare, dormire, fare il bagno, comprare vestiti automobili, gomme, batterie, pagare le tasse, scopare, ricevere amici, ammalarsi, gli incidenti, l’insonnia, preoccuparsi per la lavanderia e i ladri, se piove o se c’è il sole e per tutte le altre cose che non possono essere enumerate, non resta NEANCHE UN PO’ DI TEMPO PER SE STESSI. E, se lo straordinario viene richiesto spesso, alcune di queste attività devono essere eliminate, persino il sonno e, più spesso, le scopate. E per cosa, cazzo? E addirittura ci sono settimane di cinque giorni e mezzo, di sei giorni lavorativi, e alla domenica ci si aspetta che uno vada in chiesa o che visiti i parenti, o entrambe le cose. La persona che ha detto: “l’uomo medio vive una vita di quieta disperazione” ha detto una cosa parzialmente vera. Ma il lavoro calma anche gli individui, gli dà qualcosa da fare. E impedisce a molti di pensare. Gli uomini – e le donne – non amano pensare. Per loro il lavoro è il rifugio perfetto. Gli viene insegnato cosa fare e come farlo e quando farlo. Il 98 per cento degli americani sopra i ventun anni lavora, morti viventi. Il mio corpo e il mio cervello mi dissero che entro tre mesi sarei stato uno di loro. Mi sono ribellato."
Mi chiedevo come mai un tempo considerassi un ubriacone della California come mio personale Guru, supporto e conforto per tutto quanto non ero stato e quant’altro mai. Una volta esauriti i suoi libri, per quanto il buon John Martin della Black Sparrow Press ne avesse ancora una buona riserva (più che altro poesie, facili a leggersi e a scriversi, quantomeno all’apparenza) e anche dall’Italia – si potrebbe mai mancare, noialtri? – si continuasse a mungere nei modi più ridicoli e scorretti una vacca ripiena di whisky che oramai non c’era più eran già molti anni; una volta chiuso – dicevo – il cerchio, per cui ricordo ancora le tesserine di carta Feltrinelli che all’epoca bucavano a mano ogni 5 euro di spesa e a me andavano via una dopo l’altra, fra Hollywood, Hollywood, Il capitano e fuori a pranzo e mille altre cose, me l’ero quasi dimenticato, il perché. Poi è uscito Azzeccare i cavalli vincenti che, visto il prezzo, la veste editoriale e la natura postuma e posticcia, puzzava di truffa (ah, a proposito: anche Einaudi ne sta facendo di simpatiche, vedi alla voce Carver, maledetti loro e i cazzo di soldi che oggi tutto comandano). A volte però gli odori son solo nel naso di chi annusa, ed ecco dunque che si rivela un sorprendente Buk (non Chinaski, stavolta; proprio il vecchio Buk in prima persona, e per quanto il primo fosse il suo alter ego, di differenze ce ne corrono, credete a un quantomeno ex-esperto della materia!) in rubriche, confessioni e racconti da noi inediti, il tutto curato con una precisione e competenza da Meridiano Mondatori. Come di consueto, si tratta di un autore molto diseguale (e di certo non potranno essere considerate di pari valore le storielle zozze spedite alle riviste pornografiche e Post-office, per dirne uno), ma all’interno, spogliàti (ogni tanto) i panni del personaggio a tutti i costi, vengon fuori cose piuttosto interessanti, che quantomeno a me son servite per ricordarmi perché un tempo considerassi un ubriacone della California, senza qualifiche particolari, con la pelle rovinata dall'acne, incapace di tenersi un lavoro, al centro di mille e mille beghe con puttane, donne e corse di cavalli, il mio personale Guru. Io che tutt'al più, nella vita, potevo diventare soltanto un impiegato. E infatti. Il resto conta poco.
"Dopo cento lavori e anni di vagabondaggio, ho alzato la testa e mi sono accorto che facevo lo stesso lavoro da undici anni. Ho cominciato a notarlo quando ho visto che non riuscivo più ad alzare le mani oltre i fianchi dopo una giornata di lavoro. Nervi a pezzi. Mi tenevano per le palle. Ho tentato molti tipi di cure, parecchi dottori. Non ha funzionato niente. L’unica cosa che funzionava ero io – otto, dieci, dodici ore al giorno. In questo lavoro non avevo scelta. Lo straordinario era obbligatorio e ti aggiungevano le ore una dopo l’altra. Non sapevi mai per certo quando sarebbe finita la tua giornata di lavoro.
Il lavoro mi stava uccidendo. L’avevo sopportato per dieci anni, sentendomi soltanto spiritualmente indignato per essere forzato a fare un lavoro ripetitivo, stupido. Poi, nell’undicesimo anno, il corpo cominciò a morire. Decisi che avrei preferito ritornare nei bassifondi, a piedi nudi, piuttosto che morire in sicurezza. Un uomo potrebbe sentirsi sicuro anche in prigione o in manicomio. All’età di cinquant’anni, con il problema di mantenere una figlia, mi sono licenziato. Stranamente, questo ha fatto arrabbiare molti miei colleghi; preferivano che morissi con loro invece che da solo.
[…]
Quando un uomo lavora per anni alla stessa occupazione il suo tempo diventa quello di un altro uomo. Voglio dire, anche con una giornata di otto ore, quella giornata è presa. Sommate il tempo del viaggio per e dal lavoro, il lavoro vero e proprio, il tempo per mangiare, dormire, fare il bagno, comprare vestiti automobili, gomme, batterie, pagare le tasse, scopare, ricevere amici, ammalarsi, gli incidenti, l’insonnia, preoccuparsi per la lavanderia e i ladri, se piove o se c’è il sole e per tutte le altre cose che non possono essere enumerate, non resta NEANCHE UN PO’ DI TEMPO PER SE STESSI. E, se lo straordinario viene richiesto spesso, alcune di queste attività devono essere eliminate, persino il sonno e, più spesso, le scopate. E per cosa, cazzo? E addirittura ci sono settimane di cinque giorni e mezzo, di sei giorni lavorativi, e alla domenica ci si aspetta che uno vada in chiesa o che visiti i parenti, o entrambe le cose. La persona che ha detto: “l’uomo medio vive una vita di quieta disperazione” ha detto una cosa parzialmente vera. Ma il lavoro calma anche gli individui, gli dà qualcosa da fare. E impedisce a molti di pensare. Gli uomini – e le donne – non amano pensare. Per loro il lavoro è il rifugio perfetto. Gli viene insegnato cosa fare e come farlo e quando farlo. Il 98 per cento degli americani sopra i ventun anni lavora, morti viventi. Il mio corpo e il mio cervello mi dissero che entro tre mesi sarei stato uno di loro. Mi sono ribellato."
1 commento:
Oddio, per me il problema non sussiste.
Avéllo, un lavoro, almeno mi lamenterei con ragione.
Ma non ho nemmeno questa consolazione!
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