La neve era bassa, stamani, sulle montagne a ridosso della città. Nella gola sotto il cavalcavia c'era una nebbia fitta, spumosa, d'un colore perlaceo, che come fosse ovatta copriva tutto. La stessa era sparsa anche in qualche angolo guardando a destra o a sinistra dell'autostrada, sui pendii delle stradine in salita che la costeggiavano, sulle rientranze delle curve, negli avvallamenti un po' più in basso e intorno a qualche olivo dei cigli più alti. Guardavo tutto questo e non mi sono accorto che lo stronzo di turno mi stava sfanalando, dietro di me, mentre io stavo sorpassando una fila di camion. Andavo a 110-120 all'ora, ma il povero idiota aveva senz'altro da metter fretta alla propria vita, per dimostrare a se stesso di essere vivo. Sono rientrato nella mia corsia, fra due camion, mentre quello spariva chissà dove. Alla radio parlavano di Bertolaso, e del nuovo scandalo che è inutile (penso) continui a meravigliarci: è soltanto che hanno alzato questo di coperchio, in questi giorni – chissà, magari sotto soffiata di qualche ministro geloso del favore che quest'ultimo cortigiano pareva godere presso il gran visir. È il sistema che è questo, prendere o lasciare, ed è anche perfettamente consequenziario all'essere italiani - l'utilizzatore finale è italiano, fino a prova contraria, fino al midollo.
Poi è passato un nugolo di storni. Non ne avevo mai visti tanti così. Si posavano, tutti insieme, poi ripartivano. Descrivevano una specie di cerchio in aria, compatti, poi tornavano a posarsi. Stormi giganteschi; un albero spoglio ne era completamente ricoperto, sembrava gli uccelli fossero le sue foglie.
Io andavo nel solito posto, come ogni mattina, come ogni pomeriggio, e quegli uccelli erano lì, come la nebbia prima, la neve sui monti e chissà quante altre cose intorno, sopra e sotto di me, che non contavo un cazzo nell'ordine delle cose ma mi rendevo conto che non per questo tutto ciò mi potesse essere precluso.
Pare debba venir più freddo.
Poi è passato un nugolo di storni. Non ne avevo mai visti tanti così. Si posavano, tutti insieme, poi ripartivano. Descrivevano una specie di cerchio in aria, compatti, poi tornavano a posarsi. Stormi giganteschi; un albero spoglio ne era completamente ricoperto, sembrava gli uccelli fossero le sue foglie.
Io andavo nel solito posto, come ogni mattina, come ogni pomeriggio, e quegli uccelli erano lì, come la nebbia prima, la neve sui monti e chissà quante altre cose intorno, sopra e sotto di me, che non contavo un cazzo nell'ordine delle cose ma mi rendevo conto che non per questo tutto ciò mi potesse essere precluso.
Pare debba venir più freddo.
1 commento:
C'è sempre tempo per un po' di freddo in più, anche ad agosto.
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