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giugno 27, 2007

...tra le tante cose che uno può pensare, uno dirà: perché è come se lo dicessi di me? siamo tutti dei cazzoni imbranati col mondo che ci spara addosso, allora? E perché la conclusione di una persona normale sa sempre tagliare la testa al toro con una naturalezza & semplicità che i cazzoni imbranati col mondo che gli spara addosso non riescono a raggiungere mai? Non credi che sia per tutti lo stesso? Cazzo, era così facile...

Avevi cercato di raccontarle, come meglio potevi, chi eri, cosa si provava a essere te. Avevi descritto quella sensazione di essere fuori posto, di vedersi sempre dal di fuori, di guardarsi vivere nel mondo pur vivendo nel mondo, di non sapere se anche gli altri si sentissero così. Le avevi detto di aver sempre pensato che gli altri avessero le idee più chiare su quello che stavano facendo, che non si preoccupassero tanto del perché lo facevano. Avevi raccontato del tuo primo giorno di scuola. Ti eri messo a piangere aggrappato alla sua gamba. Ricordavi ancora la consistenza dei suoi pantaloni scozzesi, ti pizzicavano le guance. Lei ti aveva detto di salire sull’autobus – qui ti aveva interrotto per dirti che nemmeno lei era molto felice, quel giorno – ma tu ti eri nascosto fra gli alberi fino a quando l’autobus era partito, poi eri tornato a casa e le avevi detto di averlo perso. Allora la mamma ti aveva accompagnato in macchina, ed eri arrivato con un’ora di ritardo. Tutti ti avevano guardato entrare in classe col biglietto di giustificazione, e ti avevano ascoltato spiegare che avevi perso l’autobus. Alla fine, quando ti eri seduto al tuo posto, avevi capito che non saresti mai riuscito a diventare come gli altri.

“Non credi che tutti provino più o meno le stesse sensazioni?”

(J. McInerney, Le mille luci di New York)

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