LE POLITE AVVENTURE LAVORATIVE DI TVBJNGXYA©
In principio c'è una macchina da caffè espresso, nera e cromata.
Il caffè che ne deriva è qualcosa di osceno: acidulo, aggressivo, forte. Non buono né per lo stomaco né per niente altro; ma crea un attimo di pausa, un'oasi, un'illusoria stasi, ed è per questo ben accetto e vieppiù richiesto.
Comunque sia, la macchina funziona a cialde. Sul davanti c'è un'apertura, con lo spazio circolare del filtro, su cui viene adagiata la cialda. Sotto il basamento (e scolatojo) del piedistallo su cui viene poggiato il bicchierino in plastica c'è un'apertura longitudinale, con un pomello che scorre in orizzontale, per azionare un meccanismo va a chiudere il filtro, chiudendolo e stringendolo sulla cialda inserita. L'acqua, scaldata da una resistenza, passa dal filtro e – divenuta la spiacevole bevanda scura di cui sopra – confluisce in un tubicino metallico che si conclude a cannella, sotto il quale viene messo il bicchierino, a raccogliere il risultato dell'operazione. Il tutto si aziona economicamente con un bottone.
La cialda, tonda, ha la polvere di caffè pressata e racchiusa in un involucro di carta velina, con una linguetta per poterla maneggiare ad agio. Tu scarti la cialda, la prendi per la linguetta, la inserisci nell'apertura e compi tutta la sequenza di azioni che ti portano alfin ad ottenere il pernicioso liquido nero con un po' di ambita (?) crema marron, racchiuso in un parimenti dannoso contenitore di plastica che come minimo rilascia chissà quali sostanze nocive.
A seguito di tutto ciò, e goduto del tempo in parentesi di una giornata solitamente molesta, sarebbe buona norma riaprire il filtro e togliere - prendendola per la linguetta - la cialda, la quale altrimenti potrebbe:
- restar pervicacemente saldata al filtro, che detto per inciso (com'è anche ovvio che sia), brucia;
- lacerarsi, rilasciando inopportuna ed abbondante dose di polvere di caffè umida per ogni dove.
Perché mai, dunque, ogni qualvolta che Tvbjngxya© si trova a – bontà sua – essere assente, o a non aver maneggiato la suddetta micidiale macchina si trova innanzi a una cialda secca, lasciata stretta nel filtro e con esso spesso tutt'una, e – beffa ancor più grossa – con la linguetta magicamente sul dietro del filtro, quindi del tutto irraggiungibile ed inutilizzabile?
Perché tale apparentemente inoppugnabile rigor logico non è sistematicamente fatto proprio né da MothorynoKïedithore© né da HangoshyaPhermanenthe©? Cosa le/li muove, in luogo d'esso? Cosa alberga nel di loro material grigio o presunto tale?
E perché cazzo Tvbjngxya© deve quindi ogni volta bruciarsi i DITINI® e invocare un notevole pantheon di santi e/o beati fra cui Sant'Onelio Pacilli, anni quarantatré barrato, benigno protettor dei tennici delle macchine da caffè e di chi lo invoca, e don Pulmino Moneglia, tutelare nume di chi nel culo se lo piglia?
In principio c'è una macchina da caffè espresso, nera e cromata.
Il caffè che ne deriva è qualcosa di osceno: acidulo, aggressivo, forte. Non buono né per lo stomaco né per niente altro; ma crea un attimo di pausa, un'oasi, un'illusoria stasi, ed è per questo ben accetto e vieppiù richiesto.
Comunque sia, la macchina funziona a cialde. Sul davanti c'è un'apertura, con lo spazio circolare del filtro, su cui viene adagiata la cialda. Sotto il basamento (e scolatojo) del piedistallo su cui viene poggiato il bicchierino in plastica c'è un'apertura longitudinale, con un pomello che scorre in orizzontale, per azionare un meccanismo va a chiudere il filtro, chiudendolo e stringendolo sulla cialda inserita. L'acqua, scaldata da una resistenza, passa dal filtro e – divenuta la spiacevole bevanda scura di cui sopra – confluisce in un tubicino metallico che si conclude a cannella, sotto il quale viene messo il bicchierino, a raccogliere il risultato dell'operazione. Il tutto si aziona economicamente con un bottone.
La cialda, tonda, ha la polvere di caffè pressata e racchiusa in un involucro di carta velina, con una linguetta per poterla maneggiare ad agio. Tu scarti la cialda, la prendi per la linguetta, la inserisci nell'apertura e compi tutta la sequenza di azioni che ti portano alfin ad ottenere il pernicioso liquido nero con un po' di ambita (?) crema marron, racchiuso in un parimenti dannoso contenitore di plastica che come minimo rilascia chissà quali sostanze nocive.
A seguito di tutto ciò, e goduto del tempo in parentesi di una giornata solitamente molesta, sarebbe buona norma riaprire il filtro e togliere - prendendola per la linguetta - la cialda, la quale altrimenti potrebbe:
- restar pervicacemente saldata al filtro, che detto per inciso (com'è anche ovvio che sia), brucia;
- lacerarsi, rilasciando inopportuna ed abbondante dose di polvere di caffè umida per ogni dove.
Perché mai, dunque, ogni qualvolta che Tvbjngxya© si trova a – bontà sua – essere assente, o a non aver maneggiato la suddetta micidiale macchina si trova innanzi a una cialda secca, lasciata stretta nel filtro e con esso spesso tutt'una, e – beffa ancor più grossa – con la linguetta magicamente sul dietro del filtro, quindi del tutto irraggiungibile ed inutilizzabile?
Perché tale apparentemente inoppugnabile rigor logico non è sistematicamente fatto proprio né da MothorynoKïedithore© né da HangoshyaPhermanenthe©? Cosa le/li muove, in luogo d'esso? Cosa alberga nel di loro material grigio o presunto tale?
E perché cazzo Tvbjngxya© deve quindi ogni volta bruciarsi i DITINI® e invocare un notevole pantheon di santi e/o beati fra cui Sant'Onelio Pacilli, anni quarantatré barrato, benigno protettor dei tennici delle macchine da caffè e di chi lo invoca, e don Pulmino Moneglia, tutelare nume di chi nel culo se lo piglia?
2 commenti:
Quoto il ciofo che per queste cose c'ha arte, c'ha.
Riconoscolo...
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