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novembre 07, 2006

Non erano che le nove, e la nebbia stava coprendo tutto quello che ci circondava, lì intorno; anche se forse c'era dalla notte, in un pensierino delle elementari si sarebbe potuto scrivere che ammantava piano le cose, e che le nascondeva. I bambini la notte dormono, ne possono saper qualcosa? Ma in un pensierino delle elementari dubito che lo scenario sarebbe stato il vialone della zona industriale "Bernareggio", di Vimercate Azzurrone. Le strade, le macchine, i capannoni: su tutto si stendeva velocemente quel sipario biancastro, latte allungato e sporco, a spremere fuori da tutto ciò che man mano copriva il resto di quella tristezza che cercava di nascondersi.
“E lei quand’è che ha saputo che sarebbe diventato direttore di banca?”, chiesi al direttore, seduto al posto del passeggero, la cintura allacciata a contrasto con la pancia tesa e la mano stretta sulla valigetta, in equilibrio sulle ginocchia.
“Andavo da un mio amico a giocare, quando ero piccolo. Piccolo – da Medie, diciamo. Non ricordo, o forse avrò avuto 12 anni. Insomma, stavamo nel suo giardino, che era sul retro della casa e partiva da uno spiazzo d’asfalto ricavato sotto il piano rialzato della casa, proseguendo da lì col giardino vero e proprio, terra erba e piantine e tutto. Una volta sbucò fuori un topo. Un bel ratto, una pantegana. C’era anche la mamma del mio amico, in quel momento. Io avrò avuto 12 anni, come dicevo. Insomma, mi segui? Lei e il mio amico corsero alla porta-finestra, chiudendosi dentro, e rimasero a guardare fuori. Io non li avevo seguiti: ero rimasto col topo, ed ora mi trovavo proprio di fronte a loro, con quello che mi correva tra i piedi, impazzito. Insomma, presi un rastrello e lo costrinsi in un angolo. Cominciai a menare colpi alla cieca. Lo colpii una, due volte; tre – su cento colpi che tirai. E la pantegana morì. Insomma, poi rientrai in casa, e dissi alla mamma del mio amico di prendere un sacchetto per la spazzatura. Presi il topo per la coda e lo buttai dentro. Poi, non ricordo; forse ci preparò la merenda, forse ricominciammo a giocare in giardino…”
guidavo piano nella nebbia, cercando di orientarmi fra quel che restava da vedere di quei cazzo di capannoni tutti uguali e tutti tristi.
“capisco”, dissi; ma in realtà non capivo proprio un beato cazzo, e pensavo: “stronzate. Questo ciccione crede che sia uno strizzacervelli?
“È il fatto…”, proseguì lui inumidendosi orridamente le labbra, “è il fatto che non mi sia più ricordato il nome del mio amico, a distanza anche di poco tempo che mi ha dato da pensare. Insomma, mi ricordo benissimo la scena e non ricordo come si chiamava quel mio amico. Capisci, adesso?”
“Capisco”, ripetei; ma ancora nulla, e continuavo a pensare: “stronzate. Ciccione di merda.
“Se sei in grado di uccidere chi è più piccolo di te e non badi ai particolari pur di arrivare dritto al tuo scopo, hai dentro le potenzialità di un Grande della Finanza. Se quando lo fai, ti senti veramente al tuo posto, senza nessuna indecisione e con un gusto in te che ti prende la mano e ti fa grande, puoi pure diventare dirigente, o addirittura direttore di banca. Si chiama attitudine al comando. E ce l’hai o non ce l’hai, forse; ma si può sempre migliorare o anche coltivare. Ora ti è più chiaro?”
Avevo trovato il capannone giusto, che emergeva nella nebbia solo qua e là. Era come essere in cielo, e guidare fra le nuvole. Parcheggiai, e scendemmo. Io pensavo ancora: “stronzate”.
“È per questo che io sono il capo, qui, e tu no. Continua pure a non prendere niente sul serio; vedrai quanto lontano ti porta!”
Stronzate. Eravamo nulla più che dei banditi, dei criminali autorizzati e tanto celebrati dalla famosa parte-buona della Società. E adesso andavamo a riscuotere il credito. O a far impancare un altro debito con noi a qualcuno, per quel che ne sapevo. Poi ci saremmo presi tutto, anche lì.
Suonai, e quelli ci aprirono. Feci passare il capoi, la sua pancia, la sua valigetta.
“Poco tempo dopo era il mio compleanno, e i miei genitori mi aprirono il mio primo libretto, e ci versarono il mio primo milione. Segnali, altri segnali…”, disse sorridendo.
Un giorno morirai, stronzo”, pensai. Gli sorrisi, annuendo.
C’era da salir le scale, e poi stare a sentirlo un altro po’, col coglione di turno.

1 commento:

amaranta69 ha detto...

ti ringrazio per il tuo commento...in effetti non ho mai apprezzato la prosa della Mazzantini, né quella di Baricco...

ciao, a presto

A.