Quando ero bambino, c'era questa vecchia nel mio palazzo, una vecchia bisbetica e maligna, acida, dedita alle più turpi pratiche quali ad esempio imboccare il cane (un orrida bestiola col pelo bianco sporco che pareva un fuoco d'artificio scoppiato male) sul letto; maledire noialtri bambini perché potevamo far confusione sulle scale e in giardino, parlar male del prossimo augurandogli cose tipo una gamba rotta, una settimana in ospedale e via discorrendo. Ricordo anche che le piaceva la pasticceria più sporca e squallida della città, "da Frullone-Patacchio", che già come nome non è che inviti granché, poi per carità tutti i gusti son gusti, se rimangono tra le proprie pareti - dico questo perché tutte le volte che ci andava riportava dei dolci stantii e guasti, e voleva che noialtri bambini si mangiassero davanti a lei e a quel cane mefitico, col risultato che a volte ti veniva quantomeno la diarrea. Il suo disegno era chiaro: ripulire il condominio da tutti i bambini, così da poter disporre di tutti gli spazi e di tutti i diritti che nella sua mente marcia immaginava le fossero sottratti a causa dei bambini.
Insomma, una vecchia malvagia e senza dio; una vecchia, per di più, che si circondava d'ogni sorta di animali, anche e soprattutto i più molesti. Pare avesse anche un biacco e un pipistrello, in gabbia o sotto il letto. Noialtri (io, c'ero solo io nel condominio, ma proprio per questo avevo tutta una schiera di amici immaginari - il Setola, Cisti, Baracca, Trappolone sol per citare i più degni) la chiamavamo Tzìnghera. Gli unici parenti che aveva erano un mostro pieno di nei, che non ho mai capito se fosse uomo o donna, e una nana che guidava una A112 blé. Questo, mi rendo conto, non depone né a suo favore né a suo sfavore, però facevo tanto per dire.
Per dire che in ogni caso, la fucina che l'aveva forgiata era chiaramente guasta, quantomeno a livello di genìa.
Comunque sia, Tzìnghera - quando la vedevamo avvicinarsi io e il Signor Pachancka (un altro dei miei amici immaginari, quello distinto ma di origini ucraine) canticchiavamo sempre prendi questa manaaaaaaaaaaaaa tzingheraaaaaaaaaaaaaaaaaa - una volta mi raccontò che la sera prima le era morto un canarino. Era sempre una tragedia di proporzioni bibliche, quando le moriva un animale, e di tutti quanti amava, col suo gusto tutto perverso, raccontarci i patimenti e le ragioni dei decessi.
In pratica, questo canarino era morto come "strozzato alla rovescia": aveva da deporre un uovo, e quello gli si era messo di traverso al momento dell'uscita. Spingi spingi, il canarino era morto (presumibilmente, ma non potrei giurarlo) in preda ai patimenti. La diagnosi era certa poiché Tzìnghera si era poi unta il dito ed era risalita nell'orifizio dell'animale, per andare a scoprire il perché d'una morte così repentina e apparentemente senza traumi esterni. Aveva - come si suol dire (insomma: qualcuno da qualche parte lo dirà pure) - messo un dito in culo all'uccello (e tirato fuori l'uovo).
E se pensate che la morte dell'uccello - povera bestia - sia stata atroce, che potreste dunque dire di questo modo di passare il tempo? Immagino che il cane, l'orrida bestia di cui sopra - che detto per inciso si chiamava Anacione, o Alberto, o Meregazio III, non mi ricordo granché bene - sia stato lì a osservare, poi desso e padrona si siano guardati soddisfatti e abbiano tirato un'altra tacca sul muro, ché la vita è sofferenza e morte.
Per il me-bambino era decisamente troppo: checché ne sapesse lei, io però conoscevo il suo punto debole. La vecchiaccia temeva fortemente i ragni; e io avevo giustappunto un amico, Maurizio-Mangia-e-Caca (stavolta, un amico vero, un compagno di scuola) che aveva un grosso ragno di gomma, fatto piuttosto a paura. Entrambi erano fatti piuttosto a paura, invero, ma ora mi interessa il ragno di gomma: era tanto che glielo puntavo, e lui non voleva saperne di prestarmelo: decisi quindi di rubarlo - la faccio corta in merito, non essendo questa la storia in cui Maurizio-Mangia-e-Caca si erga a protagonista (seguirà, oh se seguirà!) - mettendo in pratica la prima lezione che la vita ebbe dunque da offrirmi (ruba al prossimo tuo, prima che lo faccia lui), e la mattina dopo mi appostai dietro un tronchetto della felicità appena innaffiato, sul pianerottolo sopra all'appartamento di Tzìnghera. Da lì - la ringhiera che avevamo era aperta, in ferro battuto, non in muratura - vedevo benissimo la tromba delle scale. Avevo il ragnone grigio stretto in pugno, e mentre l'orrida settuagenaria risaliva le scale glielo lanciai, senza darmi a vedere, addosso.
Appena si accorse di ciò che stava accadendo, Tzìnghera cominciò ad urlare, smaniando e dando in escandescenze. Corse in casa e si sbatté dietro la porta. Morì la sera stessa, di crepacuore o di vanagloria non ricordo bene. Anacione la seguì due giorni dopo, finendo così di esplodere, vecchio fuoco d'artificio andato a male del cazzo. Lei, non si era nemmeno accorta che il ragno era finto. Era - per così dire - morta a vuoto.
E noi tutti fummo liberi, e ciò - neanche a dirlo - aprì a me una vita di infinite felicità & successy.
Un'operetta vana & inconcludente - Odio il 90% delle persone che conosco. E anche di quelle che non conosco, senz'altro.
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marzo 14, 2011
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1 commento:
E il ragno assassino che fine ha fatto?
:) Bella storia
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