A distanza d’un bel po’ di tempo, torna a seguito richiesta esplicita (?) la rubrica
LE GRANDI FRASI PER TUTTI I GIORNI
Esegesi. Etimologia. Filologia. Tauromachia.
Ecco un uomo/
che mi insegue/
e mi lancia/
un COLAPPIO/
Che fortuna, non mi ha preso/
ed io lo DISPERDERO'!"
LE GRANDI FRASI PER TUTTI I GIORNI
Esegesi. Etimologia. Filologia. Tauromachia.
Ecco un uomo/
che mi insegue/
e mi lancia/
un COLAPPIO/
Che fortuna, non mi ha preso/
ed io lo DISPERDERO'!"
Frammento di una ballata del XII sec, la cui editio princeps (cod. Palatino LH657, Ambrosiana di Milano, 1519 ca.), è a tutt’oggi irrimediabilmente perduta, a seguito o di un pauroso incidente fra CAMI (precisamente, si trattava di un camion della ditta CIUINO™, di Ruvo Molisano, specializzata in trasporto ballate & lupi-a-nolo, e di un autoblindo della ditta BLINDA™, di Colle val Merda, trasportante empietà e trasudante livore e sprezzo del pericolo, anche e soprattutto guidando contromano a occhi chiusi, cantando uacciuariuariuariuààà), o per futile scommessa – la cosa non è del tutto chiarita.
Comunque sia, l’esegesi del testo – ahimè, del frammento di testo! – in nostro possesso, ci porta a considerare anzitutto il tytolo, che pur se non ho riportato (abbiate pazienza, me ne son accorto ora) era Il cane randagio. E dunque ben si spiega l’arcana l’ambientazione: non la Cornovaglia, non l’Averno, bensì Vicolo Malconsiglio, in quel di Barbone-di-Yul (YU), dove il cane randagio waga per i cazzi propri, grufolando lercio nella merda e nel pattume, com’è suo costume & diritto, finché arriva un uomo (antenato del moderno accalappiacani – si noti che nel mille e cento tale figura esisteva veramente, e si chiamava Guidrigildo o anche Menco, io li conoscevo PERSONALMENTE – eran due omini veramente laidi e butirrosi; poi morirono, pace, meglio loro che io) che gli lancia un COLAPPIO.
Ora, cos’è un colappio? Si sono fatte le più disparate ipotesi a riguardo: il Concetti, il Mangiacazzi, il Succiacàpridi, la Bobi, la Pinpi, tutti gli studiosi più autorevoli hanno detto la loro (particolarmente suggestiva e fantasiosa la versione della Bobi, la quale individuava, attraverso il criterio della lectio difficilior, una differente lezione, riportata in un altro codice, il Trivulziano di Milano, AX-732-BZ – che non è una targa, come molti di voi idiotoni avrà pensato: COLABARDA, cosa che ci riportava quindi, magari aggiungendo la denominazione SPAZIALE – lectio, quest’ultima, contenuta forse in un non precisato codice, il Tribudiùlo della collez. priv. Trotti-Piponi – a un complesso ma inutile marchingegno di provenienza marziana, utile per sterminare senza pietà i mostri haniba e quelli di Mazinga, che ora non ricordo come si chiamavano. Ma questi son problemi di filologia, che cazzo ve lo dico a fare, che ci volete capire, voi).
Tuttavia, resi sicuri da nuovi studi & approfondimenti, e ancor più dalla sicumera che contraddistingue chi è piamente nel giusto e nel certo, possiamo affermare che i suddetti insigni studiosi si son distinti solo per le stronzate sparate, l’inferno li danni: ciò perché il Colappio è indubitabilmente uno strumento immaginario, fatto di fili e nodi del tutto immaginari e trasparenti, che qualcuno lancia a qualcun altro quando lo vuole ACCOLAPPIARE (declinazione falsa ed immaginaria del verbo accalappiare, appunto). Del resto il lemma è attestato anche in opere coeve o vicine, quali il Trésor di Brunetto Latini (“e di me facea colappio: / ogni spinta era uno schioppo”) ed alcune cronache locali anonime (“avvinto a lui per un colappio, tosto reso fermo dal pingone su per lo culo, li due sodomiti dello scorno fean gran vanto”). Nessun dubbio quindi, con buona pace della Bobi, alla quale per ripicca mi riprometto di far assaggiar la VERGA™ quanto prima, a scopo punitivo. In filologia funziona così. È uno sporco lavoro, ma bisogna pur farlo, che volete farci.
Proseguendo nell’esegesi, è chiaro il motivo per cui il cane dichiara di non esser stato preso dal colappio. Facile: essendo il colappio lo strumento immaginario dell’amore, risulta chiaro come il cane non possa nutrire alcun sentimento di tenerezza o quand’anche di accondiscendenza verso l’uomo. Quindi, la conseguenza è scontata, con tanto di riferimento alla fortuna, a quel tempo ritenuta dea che dispensa e atterrisce, secondo la famosa ruota.
A quel punto resta un COLAPPIO da DISPERDERE. Perché disperdere, e come fare? Il colappio è aria. Altra aria la disperde. Ed ecco spiegato: se il narratore ha lasciato all’intendimento del lettore, c’è qui l’esperto che vi spiega. Buon per voi.
Il cane scorreggia, e il calappio si disperde fra i vapori flatulenti. Del resto l’occorrenza del sintagma è anche nel più tardo Brutesio indeciso di Compiuta Donzella (“ed i’ sul tuo colappio / ci scureggio sovra”), nonché nei vv. 156-157 di un Sirventese di Cielo D’Alcamo (“o madonna, ché ingratamente scorreggiar sul mio colappio?”).
Purtroppo l’infausta sorte ci ha privato del proseguir di siffatto esempio di lirismo, nonché dell’autore di questo, ma – ahimé! – la vita è così: pensate che ieri uno che conosco camminava per strada; a un certo punto ha sentito uno strizzone di corpo, e la sera sono andato a trovarlo all’obitorio, morto intasato dalla sua stessa merda. Oppure pensate a Oriana Fallaci: è ancora viva, poverina. O ai vip, o a Muccino. Nessuno li ammazza. Eh sì, la vita è proprio dura.
Comunque sia, l’esegesi del testo – ahimè, del frammento di testo! – in nostro possesso, ci porta a considerare anzitutto il tytolo, che pur se non ho riportato (abbiate pazienza, me ne son accorto ora) era Il cane randagio. E dunque ben si spiega l’arcana l’ambientazione: non la Cornovaglia, non l’Averno, bensì Vicolo Malconsiglio, in quel di Barbone-di-Yul (YU), dove il cane randagio waga per i cazzi propri, grufolando lercio nella merda e nel pattume, com’è suo costume & diritto, finché arriva un uomo (antenato del moderno accalappiacani – si noti che nel mille e cento tale figura esisteva veramente, e si chiamava Guidrigildo o anche Menco, io li conoscevo PERSONALMENTE – eran due omini veramente laidi e butirrosi; poi morirono, pace, meglio loro che io) che gli lancia un COLAPPIO.
Ora, cos’è un colappio? Si sono fatte le più disparate ipotesi a riguardo: il Concetti, il Mangiacazzi, il Succiacàpridi, la Bobi, la Pinpi, tutti gli studiosi più autorevoli hanno detto la loro (particolarmente suggestiva e fantasiosa la versione della Bobi, la quale individuava, attraverso il criterio della lectio difficilior, una differente lezione, riportata in un altro codice, il Trivulziano di Milano, AX-732-BZ – che non è una targa, come molti di voi idiotoni avrà pensato: COLABARDA, cosa che ci riportava quindi, magari aggiungendo la denominazione SPAZIALE – lectio, quest’ultima, contenuta forse in un non precisato codice, il Tribudiùlo della collez. priv. Trotti-Piponi – a un complesso ma inutile marchingegno di provenienza marziana, utile per sterminare senza pietà i mostri haniba e quelli di Mazinga, che ora non ricordo come si chiamavano. Ma questi son problemi di filologia, che cazzo ve lo dico a fare, che ci volete capire, voi).
Tuttavia, resi sicuri da nuovi studi & approfondimenti, e ancor più dalla sicumera che contraddistingue chi è piamente nel giusto e nel certo, possiamo affermare che i suddetti insigni studiosi si son distinti solo per le stronzate sparate, l’inferno li danni: ciò perché il Colappio è indubitabilmente uno strumento immaginario, fatto di fili e nodi del tutto immaginari e trasparenti, che qualcuno lancia a qualcun altro quando lo vuole ACCOLAPPIARE (declinazione falsa ed immaginaria del verbo accalappiare, appunto). Del resto il lemma è attestato anche in opere coeve o vicine, quali il Trésor di Brunetto Latini (“e di me facea colappio: / ogni spinta era uno schioppo”) ed alcune cronache locali anonime (“avvinto a lui per un colappio, tosto reso fermo dal pingone su per lo culo, li due sodomiti dello scorno fean gran vanto”). Nessun dubbio quindi, con buona pace della Bobi, alla quale per ripicca mi riprometto di far assaggiar la VERGA™ quanto prima, a scopo punitivo. In filologia funziona così. È uno sporco lavoro, ma bisogna pur farlo, che volete farci.
Proseguendo nell’esegesi, è chiaro il motivo per cui il cane dichiara di non esser stato preso dal colappio. Facile: essendo il colappio lo strumento immaginario dell’amore, risulta chiaro come il cane non possa nutrire alcun sentimento di tenerezza o quand’anche di accondiscendenza verso l’uomo. Quindi, la conseguenza è scontata, con tanto di riferimento alla fortuna, a quel tempo ritenuta dea che dispensa e atterrisce, secondo la famosa ruota.
A quel punto resta un COLAPPIO da DISPERDERE. Perché disperdere, e come fare? Il colappio è aria. Altra aria la disperde. Ed ecco spiegato: se il narratore ha lasciato all’intendimento del lettore, c’è qui l’esperto che vi spiega. Buon per voi.
Il cane scorreggia, e il calappio si disperde fra i vapori flatulenti. Del resto l’occorrenza del sintagma è anche nel più tardo Brutesio indeciso di Compiuta Donzella (“ed i’ sul tuo colappio / ci scureggio sovra”), nonché nei vv. 156-157 di un Sirventese di Cielo D’Alcamo (“o madonna, ché ingratamente scorreggiar sul mio colappio?”).
Purtroppo l’infausta sorte ci ha privato del proseguir di siffatto esempio di lirismo, nonché dell’autore di questo, ma – ahimé! – la vita è così: pensate che ieri uno che conosco camminava per strada; a un certo punto ha sentito uno strizzone di corpo, e la sera sono andato a trovarlo all’obitorio, morto intasato dalla sua stessa merda. Oppure pensate a Oriana Fallaci: è ancora viva, poverina. O ai vip, o a Muccino. Nessuno li ammazza. Eh sì, la vita è proprio dura.
1 commento:
Frammento fornito da tal LOSKA, che ringraziamo, con un colpo a mano aperta sul coppino, e con l'urlo disumano a tradimento nell'orecchio destro.
Dovrei mettere il suo link, immagino, ma la cosa contravverrebbe al D.Lgs. 196/03; quindi, ivi sommando il fatto che il sito non sembra esister più, mi sembra stupido farlo.
Comunque, lo faccio uguale. Era:
www.loska.splinder.com
toh, piglia.
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